Nei secoli XVI e XVII vennero fatti importanti sforzi per estendere l’educazione primaria attraverso una nuova rete di scuole parrocchiali, gratuite o molto economiche, che insegnavano a leggere, scrivere e fare di conto. L’educazione secondaria, invece, rimase limitata alle famiglie economicamente privilegiate, come quelle della nobiltà e della borghesia medio-alta, che in questo modo cercavano di facilitare l’accesso dei loro figli a carriere professionali di prestigio, come la magistratura, l’amministrazione o la Chiesa.
Un gruppo di studenti assiste a una lezione. Miniatura di Giovanni Pietro Birago. XV secolo. Biblioteca Trivulziana, Milano
Foto: Oronoz / Album
Chiusi in collegio
L’educazione secondaria veniva impartita nei collegi. Originariamente questi erano residenze di studenti universitari, che con il tempo andarono assumendo funzioni di insegnamento preuniversitario. Il loro esempio fu imitato in molte città, dove vennero creati collegi, finanziati e controllati dai comuni o ben amministrati da ordini religiosi, come quello dei gesuiti, che arrivarono a essere considerati i più prestigiosi.
Gli alunni entravano in collegio intorno ai dieci anni, generalmente in regime di pensione, soprattutto quelli che provenivano dalla campagna o da piccoli villaggi e si trasferivano a studiare in una città più grande. In Francia, la meta preferita era Parigi, che nel XVII secolo contava circa cinquanta collegi, che variavano per dimensioni e reputazione. Durante gli otto anni della durata del ciclo completo dell’istruzione secondaria, l’alunno viveva praticamente rinchiuso in collegio, sottoposto a una disciplina molto rigida che viene dettagliatamente descritta negli statuti dei collegi di Parigi promulgati nel 1598 e successivamente riconvalidati.
Per esempio, era proibito uscire dal collegio senza il permesso del direttore, motivo per cui l’ingresso era presidiato da un sorvegliante. Le porte del collegio venivano chiuse alle nove di sera e il custode consegnava le chiavi nelle mani del direttore. I pensionanti dovevano assistere ogni giorno alla messa e mangiavano quotidianamente insieme con il direttore del collegio e i professori. Inoltre, era proibita la lettura di libri profani ed era anche stabilito che il direttore del collegio e i suoi subordinati visitassero ogni mese le stanze dei pensionanti per sincerarsi che essi non nascondessero libri «di dottrina sospetta, o armi o ancora altri oggetti contrari alla disciplina scolastica».
Lezione di grammatica. Formella. Luca della Robbia. XV secolo. Museo del duomo, Firenze
Foto: AKG / Album
Questa vita da reclusi era molto difficile da sopportare per dei giovani. «Ero più rinchiuso di un religioso nel chiostro, ed ero costretto ad assistere al servizio divino e alla lezione a determinate ore, poiché tutto era stabilito», racconta il protagonista di un romanzo pubblicato nel 1623, Storia comica di Francion, di Charles Sorel, ricordando la sua permanenza in un collegio di Parigi. E anche se gli statuti esigevano che le pensioni offrissero un buon trattamento ai ragazzi e che le strutture brillassero, nella letteratura del periodo è assai comune la figura del povero pensionante affamato perché l’amministratore della pensione lesina quanto più possibile sui pasti. Il protagonista di Storia comica di Francion racconta come ogni giorno otto alunni dovessero dividersi una misera coscia di pollo, anelassero l’ostia e non venisse loro data legna per riscaldarsi durante l’inverno.
Immersione nel latino
Al suo arrivo in collegio l’alunno veniva esaminato per essere assegnato alla classe cui la sua preparazione corrispondeva. In Francia vi erano sei classi, numerate in senso inverso, dalla sesta alla prima. Le classi dalla sesta alla terza erano chiamate di grammatica; la seconda era di umanistica e l’ultima di retorica. Seguivano due anni di filosofia, un ciclo “preuniversitario” che non tutti i collegi offrivano. Al suo termine si otteneva il titolo di baccalaureato, che permetteva di intraprendere la carriera universitaria, studiando diritto, medicina o teologia.
A quell’epoca non vi erano materie per come le conosciamo oggi. Le lezioni erano basate sullo studio di testi letterari dell’antichità, a partire dai quali i professori insegnavano le regole della grammatica e facevano eseguire agli studenti esercizi di traduzione ed elaborazione. L’unica differenza fra le diverse lezioni era il grado di difficoltà dei testi. L’obiettivo era che gli studenti imparassero a leggere, scrivere e parlare in latino (a volte anche in greco), lingua al tempo indispensabile volendo dedicarsi al diritto o intraprendere la carriera ecclesiastica.
Pagina di un almanacco francese del 1691. Incisione: Luigi XIV come un maestro che punisce i suoi alunni discoli. Museo del Louvre, Parigi
Foto: Jean-Gilles Berizzi / RMN-Grand Palais
Perciò, ogni attività in classe doveva essere condotta in latino: «Quando un professore o un pedagogo interroga un alunno, gli impartisce un ordine o fa un’osservazione, deve farlo in latino». Gli alunni erano obbligati a impiegare il latino anche per parlare fra loro. L’uso della lingua volgare era considerato una mancanza tanto grave quanto non assistere alla messa, e il nome di chi lo faceva veniva inserito in un elenco di trasgressori che ogni settimana il vigilante presentava al direttore del collegio.
Professori e alunni
La disciplina nelle classi era rigida. Il professore aveva una tenuta solenne: portava una parrucca e indossava una tunica che gli arrivava ai talloni, con larghe maniche e una mantellina. Gli studenti portavano un berretto rotondo e un vestito chiuso da una cintura. Gli statuti sollecitavano il professore a non scherzare né ad avere un atteggiamento di familiarità con gli alunni. Le punizioni fisiche erano all’ordine del giorno. Il protagonista del già citato romanzo Storia comica di Francion ricordava di avere un professore «dall’aspetto terribile, che camminava sempre con un bastone in mano, di cui sapeva servirsi al meglio». Quando agli studenti toccava in sorte un professore di questo tipo dovevano armarsi di pazienza, perché avrebbero avuto lo stesso docente per tutte le ore di insegnamento e per tutto l’anno scolastico, sebbene pare fosse anche comune avere un professore al mattino e uno al pomeriggio.
Come era uso nelle università medievali, gli alunni pagavano i loro professori, in teoria volontariamente, anche se di fatto erano stabilite tariffe a seconda del livello del corso e dell’uso del pensionato. Il salario che ne risultava era spesso piuttosto modesto, e questo si ripercuoteva, ovviamente, sulla qualità del corpo docente, almeno nei collegi meno prestigiosi. A proposito di un professore, il protagonista di Storia comica di Francion commenta che «era il più grande asino che fosse mai salito su di una cattedra. Non ci spiegava altro che sciocchezze e ci faceva sperperare il tempo in infinite futilità».
Un bambino che dorme sui compiti. XIX secolo. Museo di belle arti, Cadice
Foto: Oronoz / Album
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Due settimane di vacanze
L’orario scolastico era esteso. Secondo gli statuti citati, nei collegi di Parigi venivano impartite sei ore di lezione ogni giorno: dalle sei alle sette del mattino, dalle otto alle dieci, dalle dodici all’una e dalle tre alle cinque del pomeriggio. Un regolamento del 1626 indicava una distribuzione diversa: dalle otto alle undici del mattino e dalle due alle cinque del pomeriggio (dalle tre alle sei in primavera ed estate). Era stabilito anche che ogni giorno si dedicasse un’ora di ripasso per «imparare i precetti e le regole e approfondirle con il professore», e altre due ore, una di mattino e una di pomeriggio, destinate a «comporre versi o prosa e a discuterne».
Secondo un regolamento del 1598, la prima lezione in collegio iniziava alle 6 di mattina
Anche nella giornata del sabato erano previste lezioni, ma soltanto di mattina. Secondo lo stesso regolamento, quel giorno veniva effettuata una verifica dei progressi degli alunni, che dovevano «recitare a memoria ciò che avevano imparato durante tutta la settimana ed essere interrogati minuziosamente su ciò che è particolarmente importante conoscere». Era anche stabilito che dovessero presentare al direttore del collegio «le composizioni eseguite, e sarebbero stati castigati coloro che non avessero presentato almeno tre tesi o frammenti di francese tradotti in greco o in latino e firmati dal professore per evitare qualsiasi inganno».
Le vacanze scolastiche erano sorprendentemente brevi rispetto a oggi: gli studenti di grammatica avevano appena quindici giorni, dal 14 settembre al 1° ottobre; quelli di retorica e umanistica, tre settimane, dal 7 di settembre al 1° ottobre, e quelli di filosofia avevano un mese di vacanze. Bisogna tenere conto, tuttavia, che nel calendario religioso dell’epoca abbondavano i giorni festivi, quindi durante l’anno tanto gli alunni quanto i professori godevano di giorni di riposo aggiuntivi.
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Per saperne di più
Il pedante gabbato. Cyrano de Bergerac. Rizzoli, Milano, 2003