A pochi mesi dall’unità d’Italia Roma subì l’ennesima esondazione del Tevere, che il 28 dicembre del 1870 straripò in più punti, allagando la città per giorni. Fin dalle sue origini l’Urbe era stata afflitta da simili calamità; il governo italiano si pose quindi il problema di studiare un efficace sistema di difesa dalle inondazioni. Il primo gennaio 1871 fu istituita una commissione tecnica, destinata a rimanere inoperosa per mancanza di fondi. Infine, la situazione si sbloccò nel 1872 grazie al deciso intervento di Giuseppe Garibaldi, allora deputato, e fu approvato il progetto dell’ingegnere idraulico Raffaele Canevari, che prevedeva la costruzione di muraglioni per contenere le piene nel tratto urbano del fiume e l’apertura dei Lungotevere.
Il cubicolo B della villa era coperto da una volta a botte e decorato con scene mitologiche e paesaggi. Palazzo Massimo alle Terme, Roma
Foto: Luciano Romani / Scala, Firenze
Nel giardino di villa Farnesina, magnifico palazzo rinascimentale sulla riva destra del Tevere, nel corso dei lavori per la sistemazione degli argini tornarono alla luce «avanzi di una nobilissima casa privata dell’epoca augustea, adorna dei più vaghi dipinti murali che mai sieno stati ammirati in Roma». Così annunciava entusiasta Giuseppe Fiorelli, direttore generale degli scavi e musei del regno, nel marzo del 1879.
L’ampio complesso residenziale, risalente al I secolo a.C., spiccava per la ricchezza degli affreschi miracolosamente conservati. Fino ad allora erano ben pochi gli esempi di pittura murale romana riemersi nella capitale dell’antico impero; tra questi vi erano le decorazioni parietali della casa di Livia sul Palatino e i dipinti dell’auditorium di Mecenate sull’Esquilino. Lo studio della pittura romana antica si basava dunque quasi esclusivamente sulle contemporanee scoperte pompeiane.
Il recupero dei dipinti
I lavori di scavo, come si evince dai rapporti di Rodolfo Lanciani, ingegnere dell’ufficio tecnico degli scavi a Roma, furono eseguiti in condizioni di estrema difficoltà e in un brevissimo arco di tempo per via delle continue inondazioni del fiume e della necessità di demolire le strutture appena scoperte per realizzare i Lungotevere. Esse furono abbattute con una tale rapidità che non vi fu neppure il tempo per documentarle con precisione. Tuttavia, lo splendore delle decorazioni ambientali, ritenute all’epoca le più belle mai viste, impose un distacco accurato degli affreschi e il recupero degli stucchi di alcune volte e mosaici.
Il triclinio invernale presenta una decorazione su fondo nero, colore che assorbe il calore. In alto corre un fregio con richiami al mondo egizio
Foto: L. Romano / Scala, Firenze
I preziosi reperti vennero conservati nel vicino Orto Botanico, dove sarebbero rimasti fino al 1889, quando furono trasferiti nelle terme di Diocleziano, sede storica del Museo nazionale romano. Infine, nel 1998, avrebbero trovato definitiva collocazione presso palazzo Massimo alle Terme.
Le stanze della villa della Farnesina, tornate a risplendere grazie al recente allestimento che ripropone gli ambienti della dimora secondo l’originaria disposizione, costituiscono uno straordinario esempio della decorazione domestica delle residenze aristocratiche romane. Tra le ipotesi formulate dagli archeologi circa il proprietario del complesso, quella più accreditata lo individua nel generale Marco Vipsanio Agrippa, che l’avrebbe edificata in occasione delle sue nozze con Giulia, la figlia di Augusto, nel 21 a.C.
La villa si ergeva nel cuore di Trastevere, un quartiere che già in età augustea – quando si chiamava Regio Transtiberina – pullulava di botteghe artigiane e grandi magazzini, come le Cellae Vinariae Nova et Arruntiana, depositi vinari scoperti nel 1877 proprio nei giardini della Farnesina. Questa zona non era prediletta dall’edilizia residenziale romana, attestata piuttosto sulle pendici del Gianicolo o in prossimità dell’area vaticana. Tuttavia, secondo le fonti latine, nella zona di Trastevere sorgevano i celebri Horti di Giulio Cesare, complesso circondato da splendidi giardini, dove risiedette Cleopatra durante il suo soggiorno a Roma. Qui avrebbero inoltre dimorato altre celebri personalità come Clodia, la Lesbia amata e cantata dal poeta Catullo.
Gli affreschi del cubicolo D raffigurano temi tipici della pittura greca del V secolo a.C., quali paesaggi idilliaci e cicli di scene dionisiache
Foto: L. Romano / Scala, Firenze
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Lusso sul Tevere
La planimetria acquerellata dell’architetto Domenico Marchetti e la relazione di Rodolfo Lanciani sono le uniche testimonianze rimaste della struttura architettonica del complesso. L’impianto residenziale, del tipo della villa suburbana con due corpi simmetrici ai lati di un grande emiciclo, era disposto panoramicamente sulla riva del Tevere. Gli affreschi che si sono conservati, raffiguranti perlopiù scene mitologiche e di vita quotidiana, decoravano il triclinio, tre stanze da letto (cubicula), l’esedra e il criptoportico, un passaggio seminterrato comunicante con gli alloggi della servitù.
Mentre nei cubicula dominava il colore rosso, la grande sala da pranzo si caratterizzava per la decorazione a fondo interamente nero, un colore da porre in relazione all’uso dell’ambiente: si trattava probabilmente di un triclinio invernale, con pareti scure per conservare il calore del sole e nascondere lo sporco creato dai bracieri.
Poiché all’interno dell’edificio non sono stati rinvenuti arredi scultorei di pregio o altri oggetti comuni nelle abitazioni, gli studiosi hanno ipotizzato un abbandono forzato della villa, forse dovuto proprio alle continue piene del fiume.
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