Talvolta i figli ribelli fanno strada. E la vita di Giuseppe Tartini fu segnata dalla ribellione. Il padre, Giovanni Antonio, era un commerciante fiorentino che si era trasferito a Pirano, in Istria, per affari. La città all’epoca faceva parte della Serenissima repubblica di Venezia, e qui conobbe e s'innamorò di Caterina Zangrando, figlia di un nobile del luogo. Dal loro matrimonio avvenuto nel 1685 nacquero nove figli di cui Giuseppe, venuto alla luce nel 1692, era il quarto. Lo stesso anno Giovanni Antonio ottenne la nomina a pubblico scrivano dei sali, carica prestigiosa in una città la cui principale attività economica era rappresentata dalle saline, e che permise alla famiglia di diventare una delle più ricche di Pirano. Giuseppe trascorse un’infanzia serena fra la città natale e le vacanze nella villa di campagna a Strugnano, a pochi chilometri. A sei anni venne mandato a studiare dai frati minori, di cui il padre venne in seguito nominato protettore e benefattore. Fu qui che, oltre ad apprendere i primi rudimenti della scrittura e della matematica, prese confidenza con la musica. Crescendo iniziò probabilmente a frequentare assieme al padre anche l’Accademia dei virtuosi, un circolo d’élite che ospitava artisti e intellettuali locali. All’età di dodici anni venne mandato in collegio a Capodistria, dove ebbe modo di costruirsi una solida formazione umanistica, matematica e fisica. Qui imparò a tirare di scherma e a suonare il violino, un'attività che i genitori cercarono invano di scoraggiare.
Ritratto di Giuseppe Tartini (1692 - 1770). Autore anonimo. XVIII secolo. Museo del castello, Milano.
Foto: Pubblico dominio
Come si usava nelle famiglie aristocratiche per i figli cadetti, giunto in età adolescenziale Tartini indossò l’abito clericale, ma non prese i voti. Nel 1708 partì alla volta di Padova per studiare legge. Approfittando della lontananza da casa, il giovane continuò a tirare di scherma. In poco tempo diventò così abile che uscì vittorioso da numerosi duelli e iniziò a progettare di trasferirsi a Napoli o a Parigi per aprire una scuola di scherma. Eppure, la sua attività principale, nonostante le posizioni contrarie dei genitori, era suonare il violino. Nel 1710 Giovanni Antonio morì improvvisamente in circostanze misteriose, lasciando la famiglia in difficoltà finanziarie. In quello stesso periodo Tartini, emancipatosi dall’autorità paterna, sposò in segreto Elisabetta Premazzone, nipote del cardinale Giorgio Cornaro (o Corner) contro la volontà delle due famiglie. Quando il cardinale scoprì il matrimonio, il neosposo si sentì pesantemente minacciato e decise di scappare da solo abbandonando la moglie, forse con l’intenzione di tornare una volta che le acque si fossero calmate.Trovò rifugio ad Assisi, nello Stato Pontificio, presso il convento francescano dove uno zio, Giovanni Torre da Pirano, faceva il custode. Qui conobbe Bohuslav Černohorsky, compositore boemo che alloggiava nel convento e che probabilmente gli insegnò l’arte della composizione.
Il Trillo del diavolo
Nel 1713 Tartini compose la Sonata per violino in sol minore, meglio nota come Il Trillo del diavolo. Questo nome nasce dalla leggenda cui è legato il brano. Tempo dopo aver composto la sonata, infatti, lo stesso compositore raccontò all’astronomo francese Jérôme Lalande di aver sognato il diavolo. Questi gli avrebbe offerto di esaudire qualunque suo desiderio e così Tartini gli chiese di suonare il violino. Il diavolo accettò, e dallo strumento scaturì una melodia straordinaria e difficilissima. Svegliatosi Tartini provò a riprodurla ma senza riuscire mai ad ottenere lo stesso effetto del sogno. Probabilmente continuò ad elaborarla per anni, fino al 1740. Forse fu proprio questo sogno a spingerlo, negli anni seguenti, a studiare gli effetti acustici. Grazie alle sue ricerche, il musicista scoprì il cosiddetto terzo suono, una vibrazione del registro grave che si avverte quando si eseguono due note combinate simultaneamente.
Il sogno di Tartini. Incisione rinvenuta nella collezione della Filarmonica di Parigi
Foto: Fine Art Images / Cordon Press
In seguito alla morte dello zio Giovanni Torre, avvenuta intorno al 1714, Tartini cominciò a trovarsi qualche ingaggio come violinista suonando nel teatro della vicina Ancona. Secondo la leggenda, durante un’esecuzione un soffio di vento alzò la cortina dietro la quale stava suonando e un padovano presente fra il pubblico lo riconobbe e riportò la notizia alla moglie. Vera o meno che sia la storia, ritrovatosi solo e senza la protezione dello zio Tartini rientrò in patria e in famiglia. Per un periodo gravitò su Venezia ma poco dopo tornò nello Stato Pontificio, dove continuò i suoi studi sul suono e fece realizzare archetti più lunghi del consueto per le sue sperimentazioni. Nel frattempo suonava come primo violino nell’orchestra del Teatro La Fenice di Ancona. A partire dal 1716 Tartini fece la spola tra Assisi, Camerino, Milano, Bologna, Napoli e Palermo dove all’attività di musicista affiancò quella di compositore. Allo stesso tempo iniziò a impartire lezioni private ai figli delle famiglie aristocratiche, attività che continuò anche una volta tornato a Venezia, nel 1719. Nel 1721, grazie ad una raccomandazione della potente famiglia Giustignani, divenne primo violino alla basilica di Sant’Antonio di Padova, per la quale doveva anche dirigere l’orchestra e comporre.
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La scuola delle Nazioni
Nel 1723 Carlo VI venne incoronato re di Boemia. A Praga accorsero artisti da tutta Europa per omaggiarlo. Tartini, il cui nome era ormai noto anche all’estero, venne assunto dal cancelliere Kinsky in qualità di compositore di corte e restò nella capitale per tre anni, ma il clima rigido non favorì la sua salute e così nel 1726 tornò in patria rifiutando da quel momento ogni incarico estero. Tornato a Padova riprese il suo incarico presso la basilica di Sant'Antonio e aprì la sua scuola di violino, che chiamò la Scuola delle Nazioni. Qui insegnava i livelli avanzati di tecnica, armonia, composizione e contrappunto. La sua fama era solida, tanto che studenti benestanti e musicisti di professione con una carriera avviata continuavano ad affluire anche da diverse parti d’Europa. Fra i suoi discepoli, va ricordata Maddalena Laura Lombardini che al contrario si differenziava dagli altri allievi della scuola per le umili origini. La fanciulla, infatti, aveva imparato a suonare il violino presso l'ospedale dei Mendicanti di Venezia. Il suo talento venne scoperto da Antonia Cubli, maestra del coro ed ex allieva di Tartini, che intercesse presso il maestro che la prese dunque sotto la sua ala. Celebre è la lettera che il compositore scrisse nel 1760 a un destinatario sconosciuto, e che contiene non solo attestazioni di stima e incoraggiamento per la fanciulla, ma anche le basi del suo metodo didattico.
La lettera è giunta sino a noi, ed esordisce così: «Signora Maddalena mia stimatissima, Finalmente, quando a Dio è piaciuto, mi sono sbrigato da quella grave occupazione, che fin quì mi ha impedito di mantenerle la mia promessa, sebben anche troppo mi stava a cuore, perché di fatto mi affliggeva la mancanza di tempo». La missiva continua con consigli pratici, insistendo sulla necessità di un esercizio metodico e costante. Tartini era dunque un uomo di parola, che desiderava dedicare il tempo necessario ai suoi allievi. In particolare, aveva preso particolarmente a cuore la siatuazione di Maddalena, se in un’altra lettera scrive:«La povera giovine tanto malignata e invidiata nel pio Luogo [….] altro non cerca che uscirne fuori per non morir ivi di rabbia, o di qualche cosa di peggio».
Da sinistra Georg Friedrich Haëndel, Johann Sebastian Bach, Giuseppe Tartini, Johann Joachim Quantz, Christoph Willibald Glück e Niccolò Jommelli. Collezione privata
Foto: Fine Art Images / Heritage / Cordon Press
Gli anni degli studi teorici
Nel 1740, durante una sua permanenza a Bergamo, fu colto da una paresi al braccio destro. Questa disavventura da un lato portò ad una drastica riduzione dell'attività concertistica, ma dall'altro lo spinse a intensificare la sua attività di compositore e di ricercatore. L'anno successivo, infatti, pubblicò a Parigi il trattato sulle Regole per arrivare a suonare bene il violino cui seguirono approfondimenti sul terzo suono e le leggi fisiche e matematiche che regolano l'acustica che portarono nel 1751 alla realizzazione del Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia. Prima della pubblicazione, lo sottopose all'attenzione del compositore e studioso della teoria musicale Giovanni Battista Martini e del matematico Balbi, che però “bocciarono” l'opera con grande dispiacere del musicista. Ciononostante, nel 1754 il testo andò in stampa.
Nel 1765 Tartini abbandonò il lavoro alla basilica di Sant'Antonio ricevendo una pensione. Il musicista però continuò la sua attività di ricerca e composizione. Nel 1767 pubblicò il Miserere, uno dei pochi pezzi cantati da lui realizzati. La prima rappresentazione avvenne l'anno seguente a Roma, nella Cappella Sistina, alla presenza di papa Clemente XIII. Lo stesso anno Elisabetta, sua moglie, morì lasciandolo solo. Antonio Vandini, l'amico di una vita, e Pietro Nardini, suo allievo prediletto, dando una grande prova di affetto e solidarietà si trasferirono a casa del maestro per confortarlo ed aiutarlo nei suoi ultimi anni. Tartini morì nel 1770 per una cancrena al piede sinistro. Venne sepolto accanto ad Elisabetta nella chiesa di Santa Caterina d'Alessandria, vicino a casa. Furono in molti a rimpiangerlo, non solo per il suo genio, ma anche per la sensibilità dimostrata in vita nei confronti dei deboli e degli indigenti cui aveva sempre prestato aiuto.
Basilica di Sant'Antonio di Padova
Foto: By Tango7174 - Own work, CC BY-SA 4.0, shorturl.at/jxEKS
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