Talvolta il fatto di nascere in una famiglia tradizionalista può portare i figli a fare delle scelte molto lontane da quelle dei genitori. È questo il caso di Sylvia Beach, che abbandonò l'America per Parigi, diventando imprenditrice di successo ed editrice di uno degli autori più censurati del XX secolo: James Joyce.
Dall'America a Parigi
Nata a Baltimora nel 1887 Sylvia era la terza figlia del pastore presbiteriano Sylvester Woodbridge Beach e di Eleanor Thomazine Orbison, donna che riversava le proprie insicurezze sul controllo della prole. Dopo aver passato l'infanzia fra il Maryland e il New Jersey, da adolescente viaggiò in Europa al seguito del padre, che si spostava spesso per lavoro. Ben presto si appassionò alla letteratura e cominciò a sognare di aprire una libreria francese a New York. Il fato, l'amore e gli affitti proibitivi della Grande Mela cambiarono però i suoi progetti. Giunta a Parigi nel 1916 per studiare letteratura francese, capitò in una libreria aperta solo l'anno prima da una donna imponente e matriarcale: Adrienne Monnier.
Sylvia Beach e Adrienne Monnier nella libreria Shakespeare & Company, a Parigi, nel 1925
Foto: ©Rue des Archives/RDA / Cordon Press
Fra di loro l'intesa scattò subito, e diventarono presto compagne nella vita e nel lavoro. Infatti il 19 novembre 1919 anche Sylvia aprì la sua libreria, la Shakespeare and Company, situata in rue Dupuytren 8, a pochi passi da rue de l'Odéon 7, dove di trovava quella di Adrienne, la Maison des Amis des Livres. La porta d'ingresso del nuovo negozio era sormontata da una tabella che rappresentava Shakespeare, e che secondo Beach «guardava con occhio benevolo all'impresa». Le due donne avevano applicato un sistema molto particolare per fare affari: non si limitavano a vendere i libri, ma li noleggiavano previo acquisto di una tessera. Una specie di sistema bibliotecario privato, insomma. Sylvia si era specializzata nella letteratura anglosassone, ed entrambe le donne vendevano solo ed esclusivamente libri che avevano letto ed amato.
Odéonia
Nei mesi successivi alla fine della Prima guerra mondiale, la capitale francese si era popolata di una folta schiera di esuli americani che avevano deciso di stabilirsi lì per respirare aria nuova rispetto a quella stantia e puritana degli Stati Uniti, che applicavano delle forti limitazioni alla libertà d'espressione. Intellettuali, scrittori, artisti si erano dunque trasferiti in massa nella ville lumière dando vita ad una comunità bohèmienne e feconda. Personaggi del calibro di Hemingway, Ezra Pound, Man Ray, Francis Scott Fitzgerald, T.S.Eliot o Gertrude Stein, solo per fare alcuni nomi, avevano preso a frequentare la libreria di Adrienne, e poi anche quella di Sylvia che nel giro di qualche tempo si spostò anch'essa in rue de l'Odéon, di fronte alla Maison des Amis des Livres.
Sylvia e Adrienne vendevano solamente libri che avevano letto e amato
Erano anni in cui il fermento creativo del dopoguerra era alle stelle. In un clima di entusiasmo, voglia di libertà e solidarietà, stava nascendo il Modernismo. La sperimentazione coinvolgeva tutte le arti, non solo la letteratura, ma anche la pittura, le arti grafiche, la fotografia, la musica. Perfino la sessualità veniva indagata e sperimentata in maniera nuova. E per la prima volta anche le donne entravano a pieno titolo negli ambienti delle classi intellettuali. La Prima guerra mondiale aveva infatti decimato un'intera generazione maschile, lasciando campo libero alle donne. Le più fortunate delle quali avevano potuto proseguire gli studi proprio durante il conflitto ed ora si gettavano a capofitto nella vita intellettuale e artistica. Tamara de Lempicka, Colette, Alice Toklas, Djuna Barnes, Janet Flaner e altre avevano dunque condiviso al pari degli uomini l'esperienza di quella che ormai tutti a Parigi chiamavano Odéonia, l'universo creato da Adrienne e Sylvia.
Ernest Hemingway con alla sua destra Sylvia Beach davanti alla libreria Shakespeare & Company nel marzo del 1928
Foto: ©Rue des Archives/RDA / Cordon Press
Le due librerie non erano solo delle attività commerciali: erano proprio dei modelli di vita. Spesso Adrienne, che amava cucinare, offriva degli aperitivi agli ospiti, e alcuni di essi tiravano tardi la sera, bevevano vino rosso in scatolette vuote del tonno e restavano a dormire lì. Alle serate di potevano unire musicisti come Eric Satie e Francis Poulenc, che improvvisavano dei concertini, e i giovani intellettuali facevano di tutto per entrare nell'entourage delle due donne. Se Adrienne allietava le serate con i suoi famosi spuntini, Sylvia era una brillante padrona di casa, fine, elegante e con una parlantina briosa e comunicativa che si entusiasmava sinceramente alle idee dei suoi ospiti. Questa donna minuta ed educata con la sigaretta sempre in bocca ed una curiosità quasi infantile per le novità gestiva la libreria senza un reale piano commerciale, ma sull'onda dell'emotività, e spesso ci rimetteva. Ad esempio quando prestava i libri ai suoi bunnies (abbonati) in numero esagerato e poi non ne sollecitava la restituzione. O quando si lanciò nella folle impresa della pubblicazione dell'Ulisse di Joyce.
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Sylivia Beach e James Joyce
Beach conobbe Joyce ad una festa nell'estate del 1920. Lo scrittore irlandese era da poco arrivato nella capitale francese assieme alla famiglia, composta dalla moglie, Nora Barnacle, e dai due figli, Giorgio e Lucia. Era stato Ezra Pound a convincerlo a lasciare la Svizzera, Paese in cui aveva passato gli anni della guerra, e a raggiungerlo a Parigi. Sylvia provava un senso di soggezione nei confronti di Joyce, ma al tempo stesso voleva ardentemente collaborare con quello che già considerava un genio delle letteratura. I due parlarono dell'Ulisse, il libro a cui stava lavorando James, e lei si propose come editrice. Amava sognare in grande, e propose di stamparne mille copie. Pubblicare il libro non fu facile: Sylvia si dovette scontrare con avversità d'ogni genere: tanto per cominciare i capricci di James, che continuava a modificare il manoscritto quando era già in fase di trascrizione; poi le difficoltà economiche aggravate dal fatto che lui le metteva in conto tutto, anche le cene in ristoranti lussuosi per sé e la sua famiglia. Perfino la sua scrittura indecifrabile creò problemi alle dattilografe che poi rinunciavano al lavoro.
Andre Chamson, romanziere e saggista francese, assieme a Sylvia Beach nella Shakespeare & Company intorno al 1940
Foto: © Rue des Archives/Tal / Cordon Press
Oltre a ciò, la scure della censura e la difficoltà a trovare un tipografo che si assumesse la responsabilità di stampare quell'opera considerata oscena. Lo individuò dopo lunghe ricerche a Digione, e le prime copie arrivarono col treno il 2 febbraio 1922, il giorno del quarantesimo compleanno dello scrittore. Lei aspettava alla stazione per ritirarle di persona e fargliene omaggio. Beach continuò per anni a curare le ristampe e la distribuzione del libro, oltre alle stravaganze di Joyce e alle sue continue richieste di denaro. Ma lei lo adorava, e pur essendo cosciente dell'ingratitudine di James lo accontentava e si esponeva per lui. Sylvia non era l'unica persona ad accettare i rischi di una pubblicazione tanto osteggiata dalla censura: anche Hemingway si espose, coinvolgendo un amico che faceva la spola fra Toronto e gli USA con due libri alla volta, fissati alla cintura per nasconderli. Tanta generosità da parte di Sylvia e del suo entourage non fu però adeguatamente ripagata, dal momento che nel 1934 Joyce la piantò in asso da un giorno all'altro, firmando un accordo con Random House, a cui cedeva i diritti di pubblicazione.
La guerra e gli ultimi anni
La Grande depressione del 1929 segnò la fine di un'epoca. Molti della cosiddetta “Generazione perduta della Rive Gauche” tornarono in patria, e sull'Europa ben presto iniziarono a soffiare venti di guerra. Il primo settembre del 1939 la Francia entrò in guerra contro la Germania di Hitler. Gestire la libreria era sempre più difficile. Quando i nazisti entrarono a Parigi, Beach si oppose alla provocazione di un ufficiale tedesco rifiutandosi di consegnagli una copia del Fiennagans Wake di Joyce. Fu arrestata e mandata in un campo di concentramento a Vittel, che sorgeva in un ex stabilimento termale. Lì venivano rinchiusi i prigionieri di Paesi nemici o neutrali in attesa di uno scambio di prigionieri civili tedeschi. Lei ci restò sei mesi, poi tornò a Parigi dove visse in clandestinità fino alla fine della guerra. La libreria non riaprì più. Nel 1955, a seguito di una grave malattia, Adrienne Monnier si tolse la vita. Sylvia morì nel 1962 nella sua Parigi, che tanto aveva amato.
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