«Sol per sfogare il core»: il Sacro Bosco di Bomarzo

Fatto costruire nella seconda metà del cinquecento da Vicino Orsini, questo parco popolato da misteriose figure allegoriche venne dimenticato per secoli e riscoperto solo nel XX secolo

«Voi che per il mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua dove son facce orrende, elefanti, leoni, orsi e draghi». Con queste parole viene accolto il visitatore del Sacro Bosco di Bomarzo, o Parco dei Mostri, in provincia di Viterbo. Fatto costruire fra il 1552 e il 1580 da Pierfrancesco Orsini il parco è popolato da strane creature inquietanti o ammaliatrici a seconda dei casi. Sirene, eroi mitologici, animali esotici, ma anche architetture strampalate e iscrizioni ermetiche:  tutto quello che poteva catturare l'immaginazione di un ospite del XVI secolo e che indubbiamente colpisce ancora oggi seppure per ragioni differenti. Se infatti i personaggi rappresentati erano ben noti alla cultura dell'epoca, e quindi immediatamente riconoscibili, il turista di oggi rimane più incuriosito dai misteriosi significati allegorici nascosti.

Vicino Orsini, il padrone di casa

Pierfrancesco Orsini, meglio noto come Vicino Orsini, nacque a Roma il 4 luglio del 1523. Figlio di Gian Corrado e Clarice di Franciotto Orsini di Monterotondo, alla morte del padre si trovò ad affrontare suo malgrado una disputa ereditaria col fratello minore, Maerbale. A questa pose fine nel 1542 il cardinal Alessandro Farnese, vicecancelliere dello stato pontificio, che gli assegnò le terre di Bomarzo. Proprio in quel periodo Vicino trascorse un anno a Venezia, dove prese a frequentare gli ambienti intellettuali della città lagunare come il salotto poetico di Franceschina Baffo, dove probabilmente conobbe Francesco Sansovino con cui strinse amicizia. L'atmosfera culturale della Serenissima si confaceva allo spirito curioso e raffinato di Vicino, ma come tutte le cose belle, durò poco. Lasciata Venezia, l'11 gennaio 1545 convolò a nozze con Giulia Farnese, rafforzando così i già solidi rapporti fra le due famiglie. Siamo però portati a pensare che non si trattò solo di un matrimonio d'interesse, dal momento che quando la moglie morì, nel 1560, lui fece costruire il famoso parco «sol per sfogare il core» e le dedicò un tempietto.

'Giovane che sfoglia un libro'. Dipinto di Lorenzo Lotto, presunto ritratto di Vicino Orsini

'Giovane che sfoglia un libro'. Dipinto di Lorenzo Lotto, presunto ritratto di Vicino Orsini

Foto: Pubblico dominio

In ogni caso, anche le gioie del matrimonio durarono poco, dal momento che l'anno successivo alle nozze dovette prendere servizio presso l'esercito pontificio. La carriera militare durò dodici anni, durante i quali partecitò alla spedizione di Paolo VI in Germania contro i principi protestanti della Lega di Smalcalda; poi combatté in Francia, e infine fu nuovamente dislocato in Italia. Qui nel 1557 restò coinvolto in un drammatico episodio che sicuramente segnò il suo animo, incline più all'arte delle lettere che all'arte della guerra. Il suo contingente cadde in un'imboscata durante l'assedio della città laziale di Montefortino (oggi Artena) nel corso della guerra contro gli spagnoli. Un centinaio di soldati delle truppe papali venne massacrato. La vendetta del pontefice Paolo IV fu tremenda: fece sterminare gli abitanti e dopo aver raso al suolo la città vi fece gettare del sale, affinché non vi crescesse più nulla. Non sappiamo se Vicino Orsini abbia assistito alla carneficina, ma ne rimase senz'altro turbato. Qualche tempo dopo l'episodio, si ritirò a vita privata nella villa di Bomarzo, dedicandosi allo studio delle lettere e della filosofia e allo scambio epistolare con amici intellettuali.

Il Sacro Bosco di Bomarzo

Rimasto vedovo e ritiratosi ormai già da qualche tempo dalla vita pubblica, Vicino Orsini decise di portare a termine il progetto di un parco fantastico, popolato da misteriose creature esotiche o leggendarie, e costellato da indizi che guidano l'ospite attraverso la riflessione interiore. Non conosciamo le reali intenzioni di Orsini, ma il risultato è un labirintico percorso iniziatico attraverso i meandri della conoscenza, della mente e dell'anima. Come non pensare, d'altronde, alla selva oscura di Dante e al suo intento purificatore quando il viaggio nel Sacro Bosco comincia proprio nel punto più oscuro?

Il progetto venne affidato a Pirro Ligorio, antiquario e architetto di grido che alla morte di Michelangelo (1564) assumerà la direzione della fabbrica di San Pietro. Le ambigue sculture che il visitatore incontra al suo passaggio, vennero scolpite sul posto in massi di basalto. Secondo la tradizione, furono gli schiavi turchi della battaglia di Lepanto che in catene realizzarono le opere, ma le date non coincidono, sfatando così questa leggenda. Sappiamo invece che le sculture furono in parte ideate dall'orvietano Simone Moschino, mentre il tempietto dedicato a Giulia Farnese è attribuito al Vignola. Realizzato in stile dorico, è forse una delle opere più discrete, soprattutto se paragonato alla casa inclintata, che come in un parco giochi dei giorni nostri disorienta l'ospite facendogli perdere il senso dell'equilibrio. Oppure la stanzetta cui si accede dopo essere stati fagocitati dalle fauci dell'orco, che dispone anche di un tavolo in pietra su cui (metaforicamente) banchettare. Oggi sulla bocca dell'orco risaltano le parole «Ogni pensiero vola», ma la scritta originaria era ben diversa, e rimandava proprio al viaggio dantesco: «Lasciate ogni pensiero voi ch'intrate».

Giulia Farnese, moglie di Vicino Orsini duca di Bomarzo. 1550 circa

Giulia Farnese, moglie di Vicino Orsini duca di Bomarzo. 1550 circa

Foto: Mary Evans P.L. / Cordon Press

E ancora statue che si rifanno alla mitologia classica come l'echidna, metà donna e metà serpente, che cerca d'impedire il cammino ai viaggiatori, Pegaso che fa sgorgare le fonti (forse anche quelle della conoscenza), il gigantesco Plutone, dio degli inferi, le enigmatiche sfingi, oppure riferimenti alla letteratura dell'epoca, dall'Orlando Furioso alla Hipnerotomachia Poliphili alla Divina Commedia, o ancora animali esotici come l'elefante turrito a dimensione reale. Insomma, tutto ciò che può colpire la fantasia oggi come allora.

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Il bosco dimenticato

Vicino Orsini trascorse i suoi ultimi anni in uno stato di malinconico pessimismo, forse deluso dalla vita. La morte lo colse a Bomarzo il 28 gennaio del 1585. Oltre a lasciare la tenuta ai figli avuti con Giulia Farnese, assegnò un lascito anche ai due figli illegittimi avuti da una popolana, Clelia di Clemente. Gli eredi però forse non capirono il valore di quello che il padre chiamava “il Boschetto”, che venne progressivamente abbandonato e poi dimenticato.

Agli inizi del XX secolo quello che era stato il rifugio spirituale di Orsini era ormai un labirinto di piante incolte, una selva oscura ben lontana dalle intenzioni del suo ideatore. Quando nel 1938, alla vigilia della guerra Salvador Dalì scoprì questo luogo ormai frequentato solo dai pastori e dai loro greggi, ne rimase (è il caso di dirlo) stregato, tanto che dieci anni dopo realizzò un documentario. Due anni più tardi anche il regista Michelangelo Antonioni seguì il suo esempio girando La villa dei mostri. Nel 1954 una facoltosa coppia, Giancarlo e Tina Severi Bettini, rilevò il parco. A proprie spese e senza il minimo aiuto da parte delle istituzioni, i due lo disboscarono, lo ripulirono, dissotterrarono le statue interrate, lo risistemarono e infine lo aprirono al pubblico. Oggi questi indomiti mecenati moderni riposano nel tempietto assieme a Giulia Farnese.

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L'orco del Parco dei mostri di Bomarzo

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L'orco del Parco dei Mostri di Bomarzo

Foto: Ullstein / Archiv Gerstenberg / Cordon Press

Una furia. Parco dei mostri di Bomarzo

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Una furia. Parco dei Mostri di Bomarzo

Foto: Pubblico dominio

Nettuno. Parco dei mostri di Bomarzo

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Nettuno, o forse Plutone. Parco dei Mostri di Bomarzo

Foto: Pubblico dominio

Tartaruga. Parco dei mostri di Bomarzo

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Tartaruga. Parco dei Mostri di Bomarzo

Foto: Pubblico dominio

«Sol per sfogare il core»: il Sacro Bosco di Bomarzo

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