Sifilide, il "male" contro l’integrità della razza

Conosciuta in Europa sin dalla prima Età moderna, la sifilide fu considerata una malattia prettamente femminile che colpiva in primo luogo le prostitute. Nonostante la campagna fascista contro la degenerazione della razza, negli anni ’30 del XIX secolo la sifilide provocava 30mila decessi all’anno su circa 800mila casi

Cunegonda Longini detta “Norma” è una prostituta piacentina nata nel 1878. Trascorre la sua intera giovinezza per strada, dove esercita abusivamente la prostituzione, e viene arrestata più volte per oltraggio al pudore. All’epoca il meretricio era consentito solo all’interno di appositi locali – le case di piacere, tolleranza, “case chiuse” o “bordelli” – sottoposti a una serie di controlli e restrizioni. Nel 1918 Norma riesce a realizzare la massima aspirazione della sua vita: diventa tenutaria, cioè gestisce una casa di piacere a Rovigo fino al 1929. Ma da qualche tempo Norma era affetta da un male che non le dava tregua e del quale aveva solo poche certezze riferitele dal “tubista”, il medico-ginecologo incaricato della salute delle prostitute e della prevenzione delle malattie veneree. La sifilide aveva a che fare con il contatto sessuale non protetto, infliggeva al corpo danni simili a quelli prodotti dalla lebbra e nella sua fase più avanzata provocava danni irreversibili al cervello. E Norma cadeva spesso preda di stati di delirio, aveva visioni orribili e sconvenienti che, presto o tardi, ne avrebbero compromesso la libertà. In epoca fascista il suo corpo femminile, considerato il focolaio di ogni impudicizia, doveva restare separato da quello dei cosiddetti individui “sani”.

Fotografia di una prostituta di Treviso

Fotografia di una prostituta di Treviso

Foto: Archivio storico trevigiano / pubblico dominio

Da Sisifo a Fornovo

Il male che dimora nel corpo di Norma è di antica data. La sifilide, conosciuta anche con il termine “lue”, che in latino può essere tradotto con “pestilenza, morbo, epidemia, contagio”, mieteva vittime da almeno tre secoli. L’origine della parola viene fatta risalire a una sorta di favola riportata dal medico e filosofo Girolamo Fracastoro nel trattato Syphilis, sive morbus gallicus (1530). Mentre pascolava le greggi del re Alcitoo il pastorello Sisifo offese il dio Apollo e in poco tempo si ritrovò il corpo ricoperto da «ulcere immonde». In De Contagione et Contagiosis Morbis (1540) Fracastoro attribuisce ad alcuni corpuscoli chiamati «seminaria» il ruolo di veicoli della trasmissione delle malattie. Secondo il medico cinquecentesco «di questo malore gli uomini andavano lordi ben molti avanti la scoperta del Nuovo Mondo, il conquisto di Granada, l’espulsione degli ebrei dalle Spagne, e la discesa dei Francesi in Italia. Tuttavia è assai dubbio che Greci e Romani conoscessero questo male».

Le prime descrizioni mediche riguardanti la sifilide risalgono al 1495, data della battaglia di Fornovo che vide contrapposti l’esercito francese di Carlo VIII, che batteva in ritirata da Napoli, e quello della Lega italiana guidato da Luigi Gonzaga. Durante il conflitto i medici rilevarono la presenza di pustole sui genitali dei soldati e, ovviamente, la colpa della diffusione del flagello veniva attribuita da ciascuno al proprio nemico: «mal francese» o «morbo gallico» per gli italiani, «mal napolitain» (male napoletano) per i francesi. La tesi della trasmissione della malattia mediante i rapporti sessuali si procedeva di pari passo con quella di chi considerava la sifilide un flagello di natura divina venuto a punire i peccati della carne. Per la Chiesa l’unico rimedio preventivo accettabile era la castità.

Un soldato spagnolo riceve un trattamento per la sifilide (il "male napoletano". Incisione francese. XVII secolo​

Un soldato spagnolo riceve un trattamento per la sifilide (il "male napoletano". Incisione francese. XVII secolo​

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Treponema

Tre secoli e mezzo dopo gli studi di Fracastoro, il medico canadese William Osler (1888) si concentrò sulla varietà e sulla complessità dei sintomi dell’infezione sifilitica. Alcuni di questi erano talmente simili a quelli causati da altre patologie da portare lo scienziato ad affibbiare alla sifilide l’epiteto di “grande imitatrice”. I medici che operarono alla fine del XIX secolo fecero un gran lavoro per isolare il bacillo “incriminato”. Tra questi si distinse Sigmund Lustgarten, assistente della clinica dermosifilopatica di Vienna. Egli rinvenne nell’ulcera dura (ulcera sifilitica o sifiloma) un bacillo (poi chiamato “bacillo di Lustgarten”) che presentava una certa somiglianza con i microrganismi responsabili della lebbra e della tubercolosi.

Ma il definitivo passo in avanti nella conoscenza dell’agente patogeno venne fatto nel 1905 dal biologo Fritz Schaudinn e dal dermatologo Erich Hoffman, entrambi tedeschi, i quali individuarono in alcune papule nella vulva di una paziente un microrganismo caratterizzato da spire fini, regolari e con le estremità appuntite. Per via della sua scarsa colorabilità il parassita fu catalogato con il nome di Spirochaeta pallida. Successive osservazioni condotte da Schaudinn sulla conformazione del bacillo, che al microscopio si presentava con una forma a spirale simile a quella di un cavatappi, portarono alla sua classificazione come Treponema pallidum. Grazie al suo inconfondibile movimento a spirale, il bacillo penetrava in profondità nei tessuti umani. Prima della scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming nel 1928, la sifilide veniva trattata con presidi terapeutici assai discutibili e comunque inefficaci. Il mercurio veniva somministrato tramite pillole, impiastri o inalazione ma le controindicazioni (diarrea, tremori, perdita dei denti, ulcere cutanee) sfiancavano corpi già emaciati. Si provò inoltre con il “legno santo” o guaiaco, e persino con l’oro, l’argento, il platino, l’arsenico e il bismuto, ma i benefici furono inesistenti o minimi.

Treponema pallidum, il bacillo che causa la sifilide, osservato al microscopio.

Treponema pallidum, il bacillo che causa la sifilide, osservato al microscopio.

Foto: Pubblico dominio

Un problema tutto femminile

La consapevolezza che la malattia si trasmetteva mediante rapporti sessuali, unita alle teorizzazioni dell’epoca sull’inferiorità femminile, portò a individuare la fonte del “male” nella donna e soprattutto nella prostituta. Come sostengono le studiose Valeria Laura Carozzi e Alessandra Querzoli «si dava per scontata la direzione univoca del contagio: dagli organi genitali femminili, dove si annidava il “veleno dell’infezione” a quelli maschili». Già dalla prima metà dell’800 i governi europei si attrezzarono per arginare la malattia con norme di sorveglianza igienica e regolamentazione della prostituzione. In Francia prevalse la teoria dello “stato igienista” avanzata dal medico Alexandre Jean-Baptiste Parent-Duchâtelet, secondo cui la difesa igienico-sanitaria era un bene supremo in nome del quale si poteva sacrificare anche il diritto alla libertà individuale. Per Parent-Duchâtelet le prostitute erano delle cloache umane: fonte di perversione e di bacilli tra cui quello responsabile della sifilide, le meretrici dovevano essere relegate nei bordelli e sottoposte a rigida sorveglianza sanitaria.

In questa illustrazione del XIX secolo la propagazione della sifilide è attribuita a una prostituta. J.J. Grandville, Francia

In questa illustrazione del XIX secolo la propagazione della sifilide è attribuita a una prostituta. J.J. Grandville, Francia

Foto: Rue des Archives/ Cordon Press

Il controllo della polizia sulle prostitute, le visite sanitarie obbligatorie e l’ospedalizzazione coatta furono le principali misure previste dai Contagious Diseases Act, emanati tra il 1864 e il 1869 nel Regno Unito per limitare la diffusione delle malattie veneree. In Italia la prima legge di regolamentazione della prostituzione reca la firma di Camillo Benso Conte di Cavour (1860), che con il suo Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione rese possibile il meretricio solo all’interno di case di piacere poste sotto il controllo statale. Ciascuna prostituta avrebbe dovuto registrarsi in un Ufficio sanitario: qui sarebbe stata sottoposta a visita ginecologica (da ripetersi di norma ogni due settimane) e avrebbe ricevuto un apposito libretto recante l’indicazione del locale pubblico o abitazione privata in cui si sarebbe prostituita. Nei casi d’insorgenza di malattie veneree, la legge Cavour prevedeva il ricovero coatto delle prostitute nei sifilicomi, strutture dagli intenti più carcerari e punitivi che curativi.

Sull’onda dei movimenti emancipazionisti e delle pressioni dei sostenitori delle libertà civili e delle riforme sanitarie, le successive leggi Crispi (1888) e Nicotera (1891) abolirono alcune misure particolarmente liberticide. Venne tolto l’obbligo del libretto per ciascuna prostituta e della tenuta di appositi registri di meretrici da parte della polizia. Anche la visita ginecologica e il ricovero nel sifilicomio diventarono pratiche basate sul trattamento libero e volontario e non coercitive. Una legge di sanità pubblica emanata nel 1905 impedì inoltre alla polizia d’interferire nel trattamento medico delle malattie veneree.

Prostitute in attesa di clienti in un bordello di Napoli nel 1945

Prostitute in attesa di clienti in un bordello di Napoli nel 1945

Foto: Pubblico dominio

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In difesa del piccolo italiano

La dittatura fascista invertì la tendenza liberalizzatrice in fatto di prostituzione. Secondo la storica Mary Gibson «i motivi che portarono Mussolini a ripristinare un controllo draconiano sulle prostitute derivano da una complessa mescolanza di timori originati dalla guerra, mire totalitarie ed eugenetiche del regime e nuove ricerche positiviste che confermavano la pericolosità delle prostitute». Se il Regolamento per la profilassi delle malattie veneree e sifilitiche voluto da Mussolini nel 1923 si rifaceva a quello emanato da Cavour nel 1860, le successive leggi di pubblica sicurezza e il Codice Rocco estesero i poteri speciali della polizia sulle prostitute al controllo di tutte le persone affette da sifilide.

Il ministro Luigi Federzoni considerava la lotta contro la tratta di donne e fanciulli come il «frutto di un vigore sano, ardito, fattivo come può e deve essere quello del fascismo». Egli si propose di combattere tutte quelle malattie come la sifilide che, trasmettendosi di madre in figlio, avrebbero causato la degenerazione della razza. In nome dell’eugenetica di stampo positivista (disciplina che alla fine dell’Ottocento mirava al miglioramento della razza e al trattamento di malattie ereditarie tramite l’ingegneria genetica) il ministro affermava che era «preciso dovere del Governo Nazionale dare opera con tutto l’ardore e con tutto lo zelo possibile alla difesa del bambino, del piccolo italiano». In tale contesto il diritto individuale di scegliere se, dove e quando farsi curare fu limitato nell’interesse dello stato. Nonostante l’imponente campagna fascista “giocata” sui corpi delle donne, e in particolar modo su quelli delle prostitute, i numeri riportati dalla storica Patrizia Dogliani per la fine degli anni ‘30 sono impietosi: «La sifilide produceva ancora circa 30mila decessi all’anno, interessava forse 800mila individui, creando più di 10mila minorati, oltre a procurare in alcune aree il 50% di parti prematuri e l’80% di casi di aborto spontaneo».

Illustrazione che rappresenta un neonato affetto da sifilide. Ricord's Iconograph. William Wood, New York, 1883

Illustrazione che rappresenta un neonato affetto da sifilide. Ricord's Iconograph. William Wood, New York, 1883

Foto: shorturl.at/eOW07

La fine di Norma

Un giorno, mentre si trovava nella sala d’aspetto della sua casa di piacere insieme a due militi fascisti che attendevano il proprio turno, la tenutaria Cunegonda Longini detta “Norma” cade in stato di trance. Secondo il racconto delle camicie nere, Norma ha delle visioni spaventose: una sorta di danza macabra nella quale si susseguono le immagini delle teste mozzate del principe ereditario, del deputato socialista Giacomo Matteotti [rapito e ucciso dai fascisti nel 1924, ndr], e un’altra che per sua stessa ammissione rappresentava il popolo italiano piangente e rattristato.

Per i contenuti sconvenienti e potenzialmente sovversivi di quella visione Norma viene immediatamente arrestata, condotta in questura e sottoposta a visita medica da parte dell’ufficio sanitario del comune. Un certificato medico attesta che Cunegonda Longini «non è sana di mente per postumi sifilitici al cervello». La sua casa di meretricio viene chiusa e lei ricoverata prima nel manicomio di Piacenza e poi in quello di Rovigo, dal quale non uscirà mai più.

Per saperne di più

  • Puttane antifasciste nelle carte di polizia. Matteo Dalena, Il filorosso, 2017.
  • Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia biologica. Mary Gibson, (Bruno Mondadori, 2004.
  • Il fascismo degli italiani. Una storia sociale. Patrizia Dogliani, UTET, 2008.
  • Sifilide. Scienza, storia, costume, letteratura. Piero Grima, Besa Muci, 2016.
  • Valeria Laura Carozzi, Alessandra Querzoli (a cura di). La grande imitatrice. Sifilide e questione femminile. Valeria Laura Carozzi, Alessandra Querzoli (a cura di), La Vita Felice, 2019.

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