In una società così capillarmente burocratizzata come l’antico Egitto, con funzionari in ogni dove che controllavano l’operato dei sottoposti, l’alfabetizzazione doveva essere certamente molto diffusa. Il faraone in primis sapeva leggere e scrivere e questo, nel mondo antico, non era scontato. Allora come oggi i genitori cercavano di invogliare i figli ad andare a scuola facendogli capire che, studiando, avrebbero potuto ambire alle professioni migliori. In un testo letterario chiamato La satira dei mestieri si legge di un padre che, accompagnando il figlio a scuola, passa in rassegna una serie di professioni. Di tutte trova sempre il lato tragicomico, e alla fine l’unica che elogia è quella dello scriba concludendo che non esiste al mondo professione migliore. Secondo la mentalità egizia, studiando si poteva ambire ad arrivare fino ai piedi del faraone. Certo, per farlo ci volevano i mezzi e non tutti li possedevano ma, almeno in linea teorica, ciò era possibile. Le classi sociali egizie infatti non si fondavano sulla condizione di nascita, ma sul lavoro e sulla carriera intrapresi.
Quattro scribi che scrivono su tavolette. XVII dinastia, Nuovo regno
Foto: Spl/Age Fotostock
La scuola e la carriera
Le scuole si trovavano nelle vicinanze del palazzo del re e presso i templi nelle cosiddette “Case della Vita”, istituzioni preposte all’istruzione dei giovani scribi con tanto di grandi biblioteche. Il percorso scolastico iniziava tra i cinque e i sei anni, ne durava una decina e alla fine si otteneva l’ambitissimo titolo di “scriba”. Pur essendo il gradino più basso dell’amministrazione era un titolo necessario per poter fare carriera in qualsiasi ramo dell’amministrazione statale. L’alternativa alla scuola era l’istruzione a casa con precettori privati, come è testimoniato da una stele della XII dinastia dove è menzionato, accanto ai nomi di tutta la famiglia, anche quello di un “maestro di scrittura”, forse un tutore privato. Nella maggioranza dei casi è probabile che le ragazze adottassero questo tipo di istruzione, anche se siamo a conoscenza di parecchie nobildonne e principesse che frequentarono la scuola presso il tempio o il palazzo del re. Conosciamo pure il nome di molte donne scriba, come la principessa Idut dell’Antico regno, la quale si fece rappresentare nella sua tomba di Saqqara su una barca di papiro provvista di tutto il materiale del mestiere: paletta per l’inchiostro nero e rosso e sottili giunchi per scrivere. Frequentare la scuola del palazzo reale voleva dire entrare in contatto con l’élite del Paese e con i figli del faraone e questo dava la possibilità di fare carriera. Questa scuola era frequentata anche dai figli di sovrani stranieri vassalli dell’Egitto che, prelevati forzatamente dai loro Paesi d’origine, venivano istruiti e indottrinati in tali istituzioni. Si sperava che, una volta riportati in patria, questi giovani principi così “egittizzati” provassero un senso di fedeltà incondizionata verso il faraone.
Libro dei morti di Maiherperi da tebe, arte egizia del Nuovo regno
Foto: Scala,Firenze
Esercizi scolastici
Gli studenti andavano a scuola tutte le mattine da soli o accompagnati dai genitori e si portavano la merenda da casa, un po’ di pane e una brocca di birra (ovviamente a bassa gradazione alcolica). Una volta arrivati si sedevano a terra in una stanza o in un cortile colonnato e aspettavano il maestro. Che facessero anche l’appello? Sembrerebbe proprio di sì. I giovani allievi dovevano imparare due grafie: il geroglifico e lo ieratico (geroglifico corsivo), una miriade di segni e di regole da imprimere nella mente. Per prima cosa iniziavano a scrivere parole intere, non segni isolati come si fa ora per imparare i geroglifici. Dopodiché passavano a scrivere frasi compiute sotto dettatura o ricopiandole direttamente da papiri.
Paletta in legno usata dagli scribi, con due buchi
Foto: Age fotostock
I testi letterari utilizzati dal maestro erano scelti con cura e venivano riuniti in antologie chiamate dagli studiosi “Miscellanee scolastiche”. Queste raccolte contengono brani di vario genere: esempi di lettere, insegnamenti morali, storie edificanti, inni al faraone e agli dèi. Pezzi selezionati con cura che svolgevano una duplice funzione: oltre a essere un utile esercizio per imparare a scrivere, inculcavano nella mente dei giovani scribi i principi fondamentali su cui si basava la loro società. Nel Nuovo regno, una volta acquisita la padronanza della lingua madre, i giovani venivano introdotti all’alfabeto cuneiforme dell’accadico, lingua franca per la diplomazia di allora. Anche la geografia, la cartografia, le mappe catastali, la matematica e la geometria erano considerate fondamentali per la formazione dei futuri funzionari. Per scrivere i ragazzi non usavano il papiro, troppo caro, ma gli ostraka (singolare ostrakon) parola greca che vuol dire “coccio”: sottili frammenti calcarei o pezzi di vasi sulla cui superficie si poteva scrivere. Questi ostraka scolastici, redatti dagli studenti con grafie talora precise, altre volte incerte, sono pieni di correzioni o integrazioni fatte dai maestri. Tali “quaderni” scolastici sono una miniera inesauribile di informazioni sull’antica letteratura egizia che, di solito, era scritta su papiro, supporto ben più fragile. Grazie a questi, gli studiosi sono riusciti a recuperare testi antichi sconosciuti, a volte unendo insieme come in un puzzle vari ostraka; altre volte se ne sono serviti per integrare lacune in testi letterari già conosciuti. L’egittologo Sergio Donadoni scrisse: « La letteratura egizia è un deserto su cui si ergono rovine»; beh grazie a questi scolari e ai loro “quaderni” il deserto è certamente meno arido.
Ostraka su pietra calcarea. Disegno di una favola. XIX dinastia
Foto: Bridgeman/Aci
Una dura disciplina
Nella scuola degli scribi la disciplina era rigida poiché doveva preparare gli alunni all’austerità del servizio nell’amministrazione statale. Le qualità richieste erano carattere, ambizione e sottomissione al superiore. L’educazione dello scolaro veniva paragonata all’ammaestramento delle scimmie, dei cavalli, dei tori e dei cani che, alla fine, volenti o nolenti, si piegano al giogo. Ma la gioventù è ribelle per natura e i maestri erano più volte costretti a rimproverare duramente gli studenti: «Mi è stato detto che hai abbandonato la scrittura e che vai a spasso tra i piaceri, che hai voltato la schiena ai geroglifici! Non concedere il tuo cuore ai piaceri, altrimenti sarai un fallimento». Sembra di sentire le ramanzine di oggi: il tempo è passato ma a quanto pare i rimproveri non sono cambiati poi tanto.