È datata dicembre 2021 la scoperta di resti che si ritiene appartenuti a un complesso sacrale buddista risalente al II secolo a.C., o addirittura al III, secondo ipotesi attendibili, ma ancora da verificare con i risultati delle analisi al radiocarbonio. Si tratta di uno dei più antichi templi buddisti al mondo.
Il luogo del rinvenimento è la città di Barikot, nella regione dello Swat, in Pakistan. Qui opera da anni la missione italiana dell’IsMeO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente), adesso guidata dall’ateneo veneziano della Ca’ Foscari, in collaborazione con il dipartimento provinciale pakistano di archeologia (DOAM KP) e con il locale Swat Museum. Come afferma il direttore della spedizione Luca Olivieri: «La scoperta di un grande monumento religioso fondato in età indo-greca rimanda senz’altro a un grande e antico centro di culto e di pellegrinaggio».
Veduta dall'alto dello scavo
Foto: Missione Archeologica Italiana in Pakistan - ISMEO/Ca' Foscari Università di Venezia & Directorate of Archaeology and Museums KP, Pakistan
Gli scavi
La città di Barikot, anticamente nota con il nome di Bazira, fa parte della valle dello Swat, principato che rimase autonomo fino al 1969, quando fu annesso al Pakistan. Il distretto fu da sempre, per la sua posizione di confine tra la Cina e l’India e per la sua ricchezza agricola, crocevia di culture e scambi commerciali. Così, la religione buddista diffusasi nella regione poté accogliere nella propria arte elementi persiani, indiani, cinesi e greci. La scoperta del tempio buddista a Barikot permette di comprendere l’evoluzione di tali influssi nella produzione artistica e nella storia dell’area.
Gli scavi, infatti, hanno portato alla luce diversi reperti dello stesso tipo, ma temporalmente lontani tra loro: vasellame, monete, iscrizioni, sculture in pietra e stucco, oggetti in terracotta, sigilli e monili. Soltanto alla fine dell’operazione, in una delle zone più antiche della città, sono stati rinvenuti materiali risalenti presumibilmente al III secolo a.C. Questi costituivano le fondamenta di un monumento del 150 a.C., periodo in cui probabilmente regnavano il re indo-greco Menandro I e i suoi immediati successori. In precedenza, l’area aveva destato interesse quando a ottobre, all’inizio dello scavo, erano stati scoperti i resti di un antico tempio buddista alto fino a tre metri, composto da un podio absidato, una cella cilindrica, e il podio di un pilastro monumentale. Il tutto datato tra il I e il III secolo d.C., grazie alle iscrizioni presenti e ad alcuni elementi costruttivi della scala che apriva su un cortile pubblico, affacciato su un’antica strada. Sia il monumento del 150 a.C. sia quello successivo sono affiancati da stupa, monumenti che originariamente, subito dopo la morte di Budda, venivano eretti per conservarne le reliquie. «Certamente getta luce ulteriore sul favore con cui i sovrani greci già alla metà del II secolo a.C. guardavano al buddismo» ha spiegato il direttore della missione archeologica.
Veduta aerea del tempio
Foto: Missione Archeologica Italiana in Pakistan - ISMEO/Ca' Foscari Università di Venezia & Directorate of Archaeology and Museums KP, Pakistan
Un dialogo tra Oriente e Occidente
La scoperta permette, dunque, d'indagare l’architettura dei primi templi del buddismo, sulla scorta delle varie commistioni e delle reciproche influenze con altre religioni e culture, ma soprattutto con quella ellenistica. Che i greci conoscessero la valle dello Swat, attraversata dal fiume da cui prende il nome, è attestato da varie fonti classiche. Sicuramente era nota ad Alessandro Magno che, nel 327 a.C., durante una spedizione contro i persiani, sostò proprio a Barikot espugnandola. Nelle sue Historiae Alexandri Magni Curzio Rufo la descrive come urbs opulenta, proprio perché il microclima favorevole della valle l'aveva resa una specie di "città granaio", e dunque un luogo di rifornimento fondamentale per la spedizione macedone.
«Era un centro di controllo dell’enorme ricchezza agricola dello Swat, uno dei pochi posti del nord-ovest dell’antica India dove si poteva ottenere un doppio raccolto agricolo» racconta il direttore dello scavo, e aggiunge: «A regime lo Swat poteva avere dunque un surplus alimentare pari al cinquanta per cento della sua produzione agricola. Quindi è chiaro che un’area come questa fosse una colonia agricola di primaria importanza».
La valle dello Swat con il colle di Barikot
Foto: Missione Archeologica Italiana in Pakistan - ISMEO/Ca' Foscari Università di Venezia & Directorate of Archaeology and Museums KP, Pakistan
Si comprende così l’interesse degli studiosi per l’arte del Gandhara, termine con cui si indica proprio l’arte buddista che si sviluppò nelle regioni settentrionali del Pakistan tra i secoli I a.C. e il IV-V d.C. e che rivela le maggiori contaminazioni con il mondo occidentale. Già nel 2007 questa vicinanza aveva sorpreso gli studiosi italiani e internazionali dell’IsMeO, quando vi avevano trovato una scultura rupestre del Budda alta sei metri e risalente al VI secolo.
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La missione: un po’ di storia
Proprio l’idea di studiare il passato delle civiltà antiche come la storia di scambi e contaminazioni è ciò che guida gli scavi condotti nello Swat dall’IsMeO, ora diretto da Luca Maria Olivieri, professore di archeologia e culture del Gandhara alla Ca’ Foscari.
I primi studi italiani nell’area dello Swat risalgono al 1955, con la missione guidata da Giuseppe Tucci, che nel 1933 aveva fondato l’IsMeO (allora Istituto per il Medio ed Estremo Oriente) con l’obiettivo di reimpostare gli studi accademici sulla cultura orientale. Da allora, in collaborazione con le autorità e le università locali, la valle dello Swat è diventata un luogo di formazione (grazie anche alla creazione dello Swat Museum) e di continua ricerca.
Scavi del tempio buddhista a Bakirot in Pakistan
Foto: Missione Archeologica Italiana in Pakistan - ISMEO/Ca' Foscari Università di Venezia & Directorate of Archaeology and Museums KP, Pakistan
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