La vita di Austen Henry Layard, l’esploratore britannico che nel 1847 scoprì la maestosa capitale assira di Ninive, fu piena di viaggi, avventure e pericoli. Di famiglia ugonotta, dopo un’infanzia felice a Firenze, dove imparò il francese e l’italiano, visse un’adolescenza difficile in un collegio di Richmond (Inghilterra) che ne temprò il carattere. Non poté frequentare l’università e visse di stenti, cercando di trovare il suo posto nel mondo. Iniziò a lavorare in uno studio legale londinese ma, appena ventenne e dietro insistenza di un suo zio, nel 1839 partì alla volta dello Sri Lanka per cercare fortuna, sempre come avvocato. Fece un viaggio via terra, attraversando l’Anatolia e visitando luoghi come Petra, Baalbek, Babilonia, Ctesifonte, Bisotun o Susa e convivendo con tribù locali. Non arrivò mai nello Sri Lanka, ma dimostrò di appartenere alla stessa stirpe di avventurieri del posteriore e leggendario archeologo britannico che passò alla storia come Lawrence d’Arabia.

Ritratto di Austen Henry Layard nel 1877
Foto: Granger / Album
Layard racconta: «Nell’autunno del 1839 e nell’inverno del 1840 ho viaggiato in Asia Minore e in Siria, cercando di non tralasciare nessun luogo santificato dalla tradizione, né evitando di visitare una rovina consacrata dalla storia. Al mio fianco avevo qualcuno non meno curioso ed entusiasta di me (ovvero il suo amico Edward Ledwich Mitford). A nessuno dei due importava il confort e non ci curavamo dei pericoli […] La nostra unica protezione erano le nostre mani; il nostro armadio era una una valigia dietro le nostre selle […] Spogli di lussi superflui e liberi dall’influenza e dal pregiudizio di altre persone, ci siamo mescolati con le popolazioni locali, adottando quasi senza sforzo le loro abitudini e godendo di quelle emozioni uniche che provocano, per la varietà di sensazioni che suggeriscono, scenari così nuovi e così ricchi».
Nel 1842 Layard iniziò a svolgere incarichi diplomatici per sir Stratford Canning, l’ambasciatore britannico a Istanbul, la capitale dell’impero ottomano; successivamente sir Stratford Canning avrebbe finanziato parte degli scavi di Layard. Dopo aver visitato in lungo e in largo l’Asia Minore e la Siria, Layard sentì «un irresistibile desiderio di penetrare nelle regioni che si trovano oltre l’Eufrate, ovvero in quelle terre che la storia e la tradizione identificano come la culla della conoscenza e della saggezza dell’Occidente». Questo lo portò a intraprendere il viaggio che si sarebbe concluso con la scoperta di Ninive.
Fra Nimrud e Ninive
Da Istanbul, Layard attraversò il mar Nero fino a Samsun, sulla costa dell’Anatolia. Appena sbarcato, si lanciò all’avventura: «Attraversai i monti del Ponto e le grandi steppe di Usun Yilak tanto rapidamente quanto permettevano i cavalli, discesi le terre alte fino alla valle del Tigri, galoppai per le grandi pianure dell’Assiria e raggiunsi Mosul in dodici giorni». Aveva percorso 1.200 chilometri. Arrivato a Mosul (oggi in territorio iracheno) nel 1845, Layard realizzò i suoi primi scavi a Nimrud, dove si trovava l’antica capitale assira di Kalhu e scoprì i resti di due palazzi, uno dei quali appartenente al re Assurnasirpal II, del IX secolo a.C. Fra il 1845 e il 1851, nel corso di varie campagne, riportò alla luce un numero considerevole di opere d’arte, oggi conservate nel British Museum di Londra.

L’incisione ricrea il sollevamento e il trasporto di una delle statue dei tori alati al British Museum. 1867
Foto: Bridgeman / Aci
Ciononostante, e in parte a causa dell’importante assiriologo inglese Henry C. Rawlinson, Layard credette erroneamente di aver portato alla luce la città di Ninive, come dimostra il titolo della sua opera Ninive e le sue rovine (1849), nella quale pubblicò le sue scoperte a Nimrud. In realtà, come lo stesso Layard riconobbe successivamente, le rovine di Ninive si trovano sulla sponda orientale del fiume Tigri, al lato opposto di Mosul, e nel tell di Kuyunjik, il nuovo obiettivo di Layard.
I tell sono piccole colline artificiali formate dai resti di città antiche. Basandosi sulle sue precedenti esperienze archeologiche, Layard effettuò un’attenta ispezione della collina: «La conoscenza della natura e del modo di costruire gli antichi edifici dell’Assiria sono fondamentali per esaminare le colline. Quando gli assiri volevano costruire un palazzo o un tempio costruivano un palco o una base di terra e di mattoni cotti al sole, a una distanza compresa fra i nove e i dodici metri dal livello del suolo. Su questa base costruivano il monumento […] Di conseguenza, la prima cosa da fare al momento di scavare alla ricerca di resti è arrivare alla piattaforma di mattoni di adobe. Una volta trovata la base, bisogna iniziare a scavare fossati allo stesso livello [...] Poi si deve continuare a scavare in direzioni opposte, sempre partendo dalla piattaforma».
Layard continua a raccontare con dovizia di particolari i procedimenti archeologici utilizzati sia a Kuyunyik (Ninive), sia a Nimrud: «I lavoratori erano divisi in differenti gruppi […] Tutti gli operai erano vigilati da un sovrintendente che doveva mantenerli in ordine e informarmi qualora si avvicinassero a qualsiasi resto antico in modo che io potessi essere presente durante la pulizia e lo spostamento […] La piccola somma di denaro che avevo a disposizione mi obbligò a seguire un piano che consisteva nello scavare trincee lungo le pareti delle stanze per recuperare i bassorilievi e le sculture, lasciando purtroppo il centro della stanza pieno di macerie. Di conseguenza potemmo esaminare interamente solo poche sale e molti piccoli oggetti di grande interesse rimasero sepolti. Dopo aver copiato le iscrizioni e spostato le sculture, le trincee venivano nuovamente riempite con terra e con i resti degli scavi successivi».

Nel libro di Giona si narra che Ninive era così grande che erano necessari tre giorni per percorrerla tutta
Foto: 3D Graphic Kais Jacob
Fu così che Layard scavò a Ninive trincee fra i sei e i nove metri di profondità. Quando era necessario arrivare più in fondo, scavava tunnel provvisti di pozzi per permettere il passaggio di luce e aria. In questo modo, e con enorme stupore dei locali, portò alla luce l’equivalente di 3,2 chilometri di pareti ricoperte di bassorilievi e iscrizioni di circa tre metri di altezza e due e mezzo di spessore, per un totale di oltre settecento fra lastre e frammenti.
Layard scavò a Ninive l’equivalente di 3,2 chilometri di pareti ricoperte di bassorilievi e iscrizioni
Tra gli altri molteplici tesori, l’archeologo rinvenne tori alati con teste umane – chiamati lamassu nell’antica lingua accadica–, alti fra i quattro e i cinque metri; il palazzo e la favolosa biblioteca di Assurbanipal, al cui interno si trovavano più di 22mila tavolette cuneiformi, e il palazzo di Sennacherib, decorato con monumentali rilievi.
Layard racconta così la scoperta: «Una mattina, mentre ero a Mosul, due donne arabe si diressero verso di me per annunciarmi che erano state rinvenute alcune sculture […] Cavalcai immediatamente verso le rovine. Saltai il fossato e scoprii che degli operai avevano trovato una parete e i resti di un’entrata […] La parete che scoprimmo era quella laterale di una stanza. In seguito, trovammo l’entrata, formata da tori alati, che conduceva a una seconda sala. Nell’arco di un mese scoprimmo nove stanze». Molti reperti furono immediatamente trasportati al British Museum, mentre altri (per esempio molti bassorilievi) rimasero in situ o andarono ad arricchire altre collezioni.

Ai tempi di Sennacherib la città occupava una superficie di 7 kmq ed era circondata da gigantesche mura con 15 porte monumentali
Foto: C. Sappa / Dea / Getty Images
Questi primi scavi britannici a Ninive si svolsero fra il 1846 e il 1855 e furono diretti da Layard, Hormuzd Rassam e William Kennett Loftus. Layard in persona scavò a Ninive in vari periodi (a maggio del 1846, da maggio a luglio del ‘47 e da ottobre del ‘49 ad aprile del ‘51), alternando questo incarico con gli scavi a Nimrud e con qualche viaggio in Inghilterra.
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La storia assiria
Layard fu l’unico pioniere dell’archeologia del Medio Oriente antico che pubblicò opere sui propri successi in maniera adeguata. Insieme al già citato Ninive e le sue rovine (1849) pubblicò altre grandi opere, come i due tomi di Illustrazioni dei monumenti di Ninive (1849 e 1853), libri che ancora stupiscono per l’importanza del loro contenuto e per la qualità e la quantità di disegni e incisioni. In alcuni casi riuscì a pubblicarli mentre gli scavi erano ancora in corso; in altri, due o tre anni dopo aver concluso i lavori, compiendo un’autentica prodezza scientifica.
Queste opere ebbero un enorme successo tanto tra il grande pubblico – per il quale pubblicò A popular account of discoveries at Nineveh (Un resoconto alla portata di tutti delle scoperte fatte a Ninive, 1851) – quanto fra coloro che si dedicavano agli studi biblici e fra gli assiriologi. Inoltre riuscirono a provocare accese discussioni fra teologi, storici, filologi e critici d’arte.

Il rilievo scoperto a Ninive mostra i frondosi giardini della città, irrigati grazie a un sofisticato sistema di canali. British Museum, Londra
Foto: British Museum / Scala, Firenze
I metodi di scavo di Layard, facilmente contestabili da una prospettiva odierna, devono essere valutati in base al loro contesto storico. In ogni caso, la figura dello scavatore si è notevolmente evoluta con il passare del tempo. Il riconosciuto archeologo inglese Max Mallowan, che successivamente realizzò anche scavi a Nimrud (e che fu il secondo marito della scrittrice Agatha Christie), considerava Layard un «visionario geniale, che merita di avere il suo posto fra gli immortali».
Nel 1852 Layard abbandonò gli scavi. La sua sorprendente traiettoria archeologica era durata meno di un decennio. Iniziò allora una lunga carriera come diplomatico e politico, arrivando a svolgere incarichi nelle alte sfere del governo del suo Paese, pur rimanendo sempre informato riguardo ai progressi compiuti dall’archeologia in Medio Oriente.
Come lui stesso riporta vividamente nei suoi scritti, Layard non smise mai di ricordare con affetto e nostalgia i suoi anni da giovane esploratore in Oriente e da scavatore della civiltà assira: «Che Dio voglia che io possa ritornare a stare con i jebour (una popolazione nomade) e possa vivere nelle loro tende, camminare negli antichi pascoli…».
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