Scilla e Cariddi: i mostri dello stretto di Messina

In agguato tra gli scogli calabresi e siciliani, le due giovani Scilla e Cariddi, divenute terribili mostri, rappresentano una letale minaccia per i marinai. Come altre creature dei tempi antichi, sono lo specchio di reali pericoli e banco di prova per gli eroi

«Una gamba orribile. Come di un calamaro, priva di ossa e viscida. Le è scaturita dal ventre, e poi ne è spuntata un’altra, e un’altra ancora, fino a contarne dodici, tutte a penzolarle dal corpo [...] Inarcava la schiena, contorceva le spalle. La sua pelle è diventata grigia e il collo ha cominciato ad allungarsi. Da quello, sono spuntate cinque nuove teste, ognuna fitta di denti [...] E per tutto il tempo lei non faceva che latrare e ululare, abbaiava come un branco di cani selvatici». Così la divinità greca della luna, Selene, racconta a dei e a titani del mare la metamorfosi di Scilla nel romanzo Circe (2018) di Madeline Miller. Circe, la giovane strega figlia del dio Helios e di Perseide, assiste preoccupata al resoconto della zia, temendo la dura punizione che non tarderà ad arrivare, sebbene tutti riconoscano che Scilla ha così dimostrato la sua vera natura di cagna famelica.

Scilla su un cratere beotico a figure rosse. 450-425 a.C. Museo del Louvre

Scilla su un cratere beotico a figure rosse. 450-425 a.C. Museo del Louvre

Foto: Pubblico dominio

È stata infatti Circe a trasformare in mostro Scilla, una giovane ninfa bella e seducente macchiatasi della colpa di aver provato a sedurre Glauco, il pescatore amato dalla strega e da lei trasformato in dio del mare. Miller riprende in parte le Fabulae di Igino, scrittore latino del I secolo d.C., le Metamorfosi di Ovidio, l’Eneide di Virgilio e, in ambito greco, l’Odissea di Omero. Qui il cantore cieco affida proprio alla maga Circe la descrizione del terribile mostro, senza però alludere a un suo coinvolgimento nell’orrenda e mortifera mutazione della graziosa ninfa.

Scilla assume infatti un rilievo maggiore solamente nel mondo latino, quando gli autori, affascinati dall’eziologia dei mostri, cercano di spiegarne l’origine. Scilla sarebbe quindi una ninfa innocente, trasformata da una Circe rancorosa mentre si sta bagnando nelle acque placide del mare. Allo stesso modo anche Cariddi, la sua letale compagna, sarebbe il risultato di una trasformazione: naiade dall’insaziabile appetito, avrebbe rubato a Eracle i famosi buoi di Gerione, divorandone una parte. Per tale ragione Zeus la fulmina e la getta tra i flutti, dove diviene un mostro simile a una lampreda, che inghiotte i marinai.

I mostri dello stretto

Sebbene Scilla abbia avuto più successo nelle rappresentazioni iconografiche e letterarie greche e romane, la sua fama è indissolubilmente legata a quella di Cariddi, con cui costituisce una coppia pericolosa e portatrice di morte. Le due sono appostate a entrambi i lati dello stretto di Messina, di cui sono implacabili guardiane: Scilla in terra calabra, in corrispondenza del promontorio Scilleo, Cariddi a distanza di un dardo, in terra sicula.

Incisione ottocentesca dello stretto di Messina, a opera di Albert Henry Paine

Incisione ottocentesca dello stretto di Messina, a opera di Albert Henry Paine

Foto: Pubblico dominio

Le due figure hanno una specificità propria. Se infatti Scilla, tratteggiata quale mostro a volte antropomorfo, a volte chimerico e ipertrofico, divora gli uomini, Cariddi risucchia le navi tre volte al giorno, facendole naufragare. Scilla è il mare che lacera, Cariddi il mare che inghiotte. E se Cariddi è un mostro quasi invisibile, amorfo, Scilla è invece descritta in modo preciso: «I piedi son dodici, tutti invisibili: / e sei colli ha, lunghissimi: e su ciascuno una testa / da fare spavento; in bocca su tre file i denti, / fitti e serrati, pieni di nera morte» (Odissea, XII canto).

Non solo: Scilla latra orrendamente, giacché la sua voce è quella di una cagna neonata. E, in effetti, secondo una possibile etimologia, il termine Scilla rimanderebbe al greco skylos, “cane”. Donna cagna – associazione fin troppo frequente nel mondo greco –, ma anche pelor deinos, mostro tremendo, al pari di Cariddi, evocata più tardi e frettolosamente da Strabone, Apollonio Rodio e Sallustio. Un’altra etimologia, proposta da Guglielmo Peirce in Le origini preistoriche dell’onomastica italiana (2001), ricondurrebbe invece entrambi i nomi ai gamberetti, presenti in quelle acque e oggetto di pesca da parte delle molte navi di passaggio nello stretto.

Al di là dell’etimologia, Scilla e Cariddi s’inseriscono nell’immaginario mitologico soprattutto greco e anche latino, che prevedeva la convivenza di uomini, eroi e figure mostruose. Come pure in altre civiltà, il mostro (theras o pelor in greco, monstrum in latino) vive nel limbo tra il mondo degli uomini e quello degli dei, assolve a più funzioni ed è inquadrabile in diverse categorie. Nel caso di Scilla e Cariddi, si tratta di creature afferenti a spazi non umani, marini o esotici, che costituiscono un banco di prova per gli eroi. E sono la personificazione fantastica di realtà esistenti, nonché geograficamente circoscritte, che, soprattutto nel mondo greco, si cercava di dominare e controllare tramite il ricorso al mito. Pare infatti che lo stretto di Messina, per i suoi scogli, come quello dove si nasconde Scilla, e per le sue correnti vertiginose, quale quella che scatena Cariddi, fosse nell’antichità un passaggio piuttosto pericoloso, che incuteva timore e riverenza nei marinai. Luogo remoto per un greco dell’VIII secolo, quale Omero, costituiva una minaccia ai naviganti, che man mano iniziarono a plasmarvi attorno leggende volte a fornire una spiegazione credibile ai fenomeni, per quanto sovrannaturali potessero essere. Perché, ad ogni modo, per un greco era normale che mostri e divinità convivessero con i mortali.

Odisseo davanti a Scilla e Cariddi in un quadro di Johann Heinrich Füssli. 1794-1796. Aargau House of Art

Odisseo davanti a Scilla e Cariddi in un quadro di Johann Heinrich Füssli. 1794-1796. Aargau House of Art

Foto: Pubblico dominio

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Il viaggio dell’eroe

Scilla e Cariddi, quindi, sono mostri che ben s’inquadrano in una tradizione di creature marine, e di serpenti d’acqua, al pari del leviatano ebraico, della dea babilonese Tiāmat, di Miðgarðsormr, mostro norreno nemico di Thor. E, in quanto minacce pericolose, fanno parte della narrazione iniziatica dell’eroe. In questo caso specifico di Odisseo, che sarà costretto ad affrontare le acque messinesi e, dietro consiglio di Circe, preferirà perdere sei uomini per bocca di Scilla che veder naufragare la propria nave per colpa di Cariddi. E solo dopo, una volta superata amaramente la prova, lascerà dietro di sé i due scogli, ossia le due ex fanciulle, ora ricondotte alla loro vera natura di realtà geografiche.

Ben diverso è il destino di Enea. Anche a lui è stato prospettato dall’indovino Eleno, fratello di Cassandra, il rischio rappresentato dallo stretto. Con una vivace e poetica descrizione, Cariddi è colei che «risucchia / vasti flutti nel fondo gorgo del baratro, e di nuovo / li scaglia alternamente nell’aria e flagella gli astri con l’onda»; Scilla è addirittura «in alto parvenza umana e fanciulla dal bel petto / fino all’inguine; in basso mostro dal corpo smisurato / unendo code di delfini e ventre di lupi» (Eneide, III canto). Stavolta, però, Eleno e poi Anchise, padre di Enea, suggeriscono all’eroe di evitare i due scogli, circumnavigando l’isola di Trinacria, ovvero la Sicilia.

Scilla in una statuina di terracotta rinvenuta a Egina. 460-450 a.C. British Museum

Scilla in una statuina di terracotta rinvenuta a Egina. 460-450 a.C. British Museum

Foto: Pubblico dominio

Come mai Enea, l’eroe del mondo latino, schiva una prova così importante? Secondo alcuni studiosi, come Pinotti, Li Causi e Gasparotto, Virgilio preferisce una versione razionalizzata del mito, senza cedere quindi alla spaventosa fantasmagoria greca di Scilla e Cariddi, o aderisce piuttosto a modulo tipico della letteratura latina di viaggio, che scansa «l’incontro dell’alterità percepita come stranezza».

Sembra perciò che Scilla e Cariddi perdano man mano di vigore, destinate non più a essere terribili e verosimili creature, bensì frutto di credenze e, in quanto tali, sospese tra realtà e fantasia. E difatti tenderanno a scomparire dalla letteratura, degnandosi giusto di qualche sporadica e fugace comparsa – in Dante, in Dumas, in Joyce –, per rimanere invece nel lessico quotidiano quale modo di dire. Quando si afferma di «trovarsi tra Scilla e Cariddi», ossia in una situazione d’impasse, si mettono in rilievo l’incapacità di trovare una via d’uscita e la necessità di prendere una decisione: meglio, perciò, affrontare i pericoli di petto e scegliere il male minore, come fa Odisseo, o schivarli interamente, come invece predilige Enea, destinato a ben altre e gloriose avventure?

Scilla e Cariddi in una vignetta politica di fine XVIII secolo, intitolata: “La Bretagna tra Scilla o Cariddi, o il vascello della costituzione evita lo scoglio della democrazie e il gorgo del potere arbitrario”

Scilla e Cariddi in una vignetta politica di fine XVIII secolo, intitolata: “La Bretagna tra Scilla o Cariddi, o il vascello della costituzione evita lo scoglio della democrazie e il gorgo del potere arbitrario”

Foto: Pubblico dominio

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