Vero profeta o impostore? Santo o demonio? L’interpretazione della figura di Girolamo Savonarola, frate domenicano ferrarese e priore del convento di San Marco di Firenze, ha da sempre diviso seguaci e studiosi. Già nel tardo quattrocento, quando il religioso diventò il protagonista della scena fiorentina, popolo e intellettuali si divisero tra accaniti sostenitori e acerrimi nemici. Il conflitto non fu acquietato nemmeno dal macabro rituale che si celebrò in piazza della Signoria nel maggio del 1498 con l’impiccagione e il rogo di Savonarola. La rivalità tra i due schieramenti infiammò la città anche dopo la morte del frate e ancora oggi produce i suoi effetti su una storiografia tutt’altro che unanime nell’interpretare la personalità del predicatore e la sua azione religiosa e politica.
Opera manierista di Alessandro Bonvicino, è un presunto ritratto del domenicano. Museo civico di Castelvecchio, Verona
Foto: Art Archive
La Firenze della fine del quattrocento non è una città come tutte le altre. È innanzitutto la culla dell’Umanesimo, un movimento culturale fondato sul recupero dei testi classici che porta a ridiscutere il rapporto tra l’uomo e Dio mettendo la dignità umana al centro della riflessione filosofica e politica. È anche la città dove più si dispiega la forza espressiva del Rinascimento, che traduce le idee umanistiche in arte, letteratura e scienza. Ed è infine la città di Lorenzo il Magnifico, potente e carismatico erede della famiglia Medici, diventato di fatto il signore di Firenze dopo essere scampato al sanguinoso agguato della congiura dei Pazzi. Fu proprio Lorenzo de’ Medici, nel 1490, a sollecitare l’arrivo di Savonarola a Firenze.
Diversi fattori contribuirono a fare del semisconosciuto frate ferrarese uno dei protagonisti della storia fiorentina e italiana. Il primo di essi fu indubbiamente la scomparsa, nel 1492, dello stesso Lorenzo il Magnifico. Quel decesso creò un vuoto di potere che l’inetto figlio Piero non fu capace di colmare. Un secondo fattore decisivo, conseguenziale al primo, fu nel 1494 la discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII di Valois alla testa di un esercito che puntava alla conquista del regno di Napoli. L’impresa militare di Carlo VIII si concluse con un sostanziale nulla di fatto ma ebbe conseguenze devastanti per Firenze. Qui, infatti, il passaggio del sovrano e delle sue truppe creò le condizioni per una sollevazione popolare che si concluse soltanto con la cacciata dei Medici e l’ascesa di fra Girolamo.
Le prediche infiammate
Come era potuto accadere? L’espulsione della signoria dei Medici da Firenze altro non fu che il risultato del malcontento popolare accumulatosi verso Piero de’ Medici ed esploso quando questi cedette al re francese delle importanti piazzeforti senza l’autorizzazione delle magistrature cittadine.
Carlo VIII, re di Francia dal 1483 al 1498, è ritratto con il collare di conchiglie dell'ordine di san Michele. Musée du Château de Versailles
Foto: Art Archive
Più complessa fu la vicenda di Savonarola, che in soli quattro anni, tra il 1490 e il 1494, aveva guadagnato un enorme seguito popolare con prediche infiammate che contenevano attacchi contro il vizio e la corruzione e annunci di terribili flagelli divini basati su presunte rivelazioni celesti. Tra questi, una spada del Signore che si sarebbe presto abbattutta sopra la terra e un “nuovo Ciro”, un sovrano venuto da lontano destinato a varcare le Alpi e a riformare una Chiesa corrotta.
Non c’è da meravigliarsi dunque se quando Carlo VIII, nel settembre del 1494, varcò il valico del Monginevro e iniziò a scorrazzare per la penisola, dei preoccupatissimi fiorentini iniziarono a pensare di trovarsi di fronte alla spada del Signore e al “nuovo Ciro” e si persuasero che quell’appassionato predicatore arrivato da Ferrara fosse veramente un profeta mandato da Dio.
Un governo “largo”
Le strade di Savonarola e Carlo VIII s'incrociarono quando i fiorentini si misero alla ricerca di un loro rappresentante da inviare al cospetto del sovrano. Dopo l’uscita di scena del Magnifico, in tutta Firenze non esisteva un uomo che godesse dello stesso consenso di fra Girolamo, senza contare le indiscusse doti oratorie, lo straordinario carisma e il lume profetico che molti gli attribuivano. Fu così che i fiorentini arrivarono a convincersi che un frate forestiero fosse la persona giusta. L’esito delle trattative tra il domenicano e il monarca sembrò dar loro ragione, anche perché il fatto che la loro città venisse risparmata dall’esercito francese fu spacciato da molti osservatori contemporanei come un vero e proprio miracolo del frate.
Nel cuore della città estense si erge la statua del frate che a Ferrara deve i suoi natali. Inaugurata nel 1875, rappresenta il profeta su una catasta di legno pronta per il rogo
Foto: Alessandro Villa / Age Fotostock
Quando Carlo VIII dopo pochi giorni lasciò Firenze, nella città sull’Arno si tirò un sospiro di sollievo e si iniziò a respirare un’aria nuova. Non c’è da meravigliarsi se la gran parte della popolazione guardò a fra Girolamo per capire quali fossero le mosse giuste da fare. Savonarola aveva conquistato i fiorentini, o almeno la maggior parte di loro. Ascoltato da una folla numerosissima che puntualmente si assiepava ai piedi del pulpito, Savonarola iniziò a dettare la linea. Le sue prediche tratteggiavano un modello di riforma radicale che toccava ogni possibile ambito: l’individuo, la società, la Chiesa e le istituzioni politiche. Da quest’ultimo punto di vista le parole del domenicano non rimasero inascoltate e in breve tempo fu approvata una riforma che aboliva alcuni organi di governo e ne introduceva altri.
Quello che più di tutti marcava la distanza tra la repubblica savonaroliana e il precedente assetto istituzionale era il nuovo organo legislativo, il cosiddetto Consiglio Grande. Era questo il riflesso più evidente del governo “largo” voluto da Savonarola, che mirava a consentire l’accesso alle istituzioni a un molto maggiore numero di cittadini. Evidente il contrasto con il precedente governo “stretto”, che i Medici riuscivano agevolmente a controllare piazzando i loro uomini nei ruoli chiave di istituzioni solo formalmente repubblicane. Il nuovo Consiglio Grande contava circa cinquemila membri (a fronte dei trecento del consiglio del periodo mediceo), che per ragioni pratiche si riunivano a turno.
Per favorire le assemblee consiliari, fra Girolamo fece edificare all’interno del palazzo della Signoria un enorme salone lungo più di cinquanta metri, che solo nel periodo di Firenze capitale (1865-1871) avrebbe assunto il nome di salone dei Cinquecento con cui oggi lo conosciamo. L’elettorato attivo e passivo era ancora estremamente ristretto e certamente non possiamo parlare di governo democratico nel senso moderno, ma un passo in quella direzione probabilmente era stato compiuto.
Opera di Pollaiuolo e Vasari, il salone de' Cinquecento è una delle più celebri stanze di palazzo Vecchio di Firenze e fu sede del Consiglio Grande
Foto: Scala, Firenze
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Firenze, la nuova Gerusalemme
Il programma di riforme di fra Girolamo venne portato avanti instancabilmente dal frate stesso (formalmente privo di qualsiasi incarico istituzionale) e dai suoi seguaci che siedevano nelle assemblee delle magistrature cittadine. Per comprendere come mai molti fiorentini vi aderirono con entusiasmo è utile dire che dopo i fatti dell’autunno 1494 il domenicano trasformò abbastanza repentinamente il suo cupo messaggio apocalittico in un più promettente messaggio millenaristico nel quale le tribolazioni altro non erano che il necessario preludio alle felicità future. In quest’ottica anche i sacrifici imposti dalla politica e da una religione improntata alla penitenza e all’austerità apparivano più tollerabili. Va anche detto che Savonarola si premurò di precisare che Firenze era la città eletta, la nuova Gerusalemme che prima di ogni altro luogo avrebbe sperimentato il premio divino per le proprie sofferenze. Ma fino a che punto i fiorentini erano disposti a chinare il capo aspettando di raccogliere i frutti dei loro sacrifici?
Nell’attesa della ricompensa divina, arrivarono i provvedimenti contro il gioco d’azzardo, gli abiti discinti, il lusso, la sessualità, e perfino l’arte che non fosse al servizio di Dio. L’inquietante commistione tra religione e politica era esemplificata dall’acquiescenza e dalla prontezza con cui il Consiglio Grande approvava le misure richieste dal pulpito da fra Girolamo in nome di Dio. Il crescente malcontento verso il ruolo politico del predicatore, verso la sua moralizzazione forzata e verso l’invasione della sfera privata fu solo uno dei fattori che portarono al suo declino e alla sua caduta.
Le misure in favore del “governo largo” alienarono a Savonarola le fondamentali simpatie degli ottimati, l’oligarchia fiorentina che nel 1494 aveva accolto con favore l’espulsione dei Medici nella speranza di accrescere il proprio potere. Molti di essi iniziarono a sperare in un ritorno al precedente status quo e in certi casi anche a tramare attivamente per un ritorno dei Medici in città, o più semplicemente ad auspicare un nuovo assetto istituzionale, senza Medici e senza Savonarola. Inoltre, nel 1497 Firenze fu colpita dalla peste e dalla carestia, due flagelli che non fecero altro che accelerare l’emorragia di consensi già in atto nei confronti del frate domenicano.
Predica di Savonarola nella basilica di San Miniato a Firenze. Opera di Hyppolite Flandrin, 1840, Musée des Beaux Arts, Lione
Foto: Scala, Firenze
In questo difficile contesto, il fattore che più di tutti dovette concorrere alla caduta in disgrazia di Savonarola fu lo scontro con papa Alessandro VI Borgia. Il controverso padre di Cesare e Lucrezia è avvolto da una leggenda nera che si è sedimentata nel tempo sulla sua figura e probabilmente non dice tutta la verità sull’azione religiosa e politica dell’uomo che all’epoca sedeva sullo scranno di Pietro. Ma esistevano anche dei motivi non del tutto infondati che portarono il domenicano a fare del pontefice il suo bersaglio preferito denunciandone instancabilmente la corruzione, il vizio e il malaffare. A differenza di quanto creduto da molti, però, non fu questo il motivo principale dello scontro tutto politico tra i due religiosi. Alessandro VI non poteva tollerare che Firenze fosse l’unico stato italiano che si rifiutava ostinatamente di aderire alla lega antifrancese da lui stesso promossa. Fra Girolamo, per contro, non poteva schierarsi contro la Francia senza minare pericolosamente la sua stessa credibilità profetica, dopo che aveva giustificato con il volere divino il sostegno politico accordato a Carlo VIII.
Il frate si scagliò contro Alessandro VI, papa che secondo Savonarola incarnava il vizio e la corruzione
Il doppio filo con cui il predicatore ferrarese aveva legato se stesso al monarca d’oltralpe si sarebbe ben presto trasformato in un abbraccio mortale. Per ironia della sorte le parabole dei due uomini si chiusero nello stesso giorno, sia pure a molti chilometri di distanza. Il 7 aprile 1498, a soli ventisette anni, il re di Francia conobbe la più stupida delle morti, dopo avere urtato la testa contro lo stipite di una porta del castello di Amboise, nella regione francese della Loira, mentre si accingeva ad assistere a una partita di pallacorda. Quello stesso giorno, Savonarola fallì clamorosamente la spettacolare prova che avrebbe dovuto riscattarlo agli occhi dei fiorentini. Due dei suoi seguaci si erano dichiarati pronti ad attraversare il fuoco per comprovare una volta per tutte il sostegno divino al progetto di riforme voluto dal frate.
Un grande palco venne eretto in piazza della Signoria e una folla immensa accorse da ogni angolo della città per assistere al miracolo. Quell’attesa spasmodica, tuttavia, era destinata ad andare delusa. L’esecuzione della prova venne ritardata con cavilli e pretesti, finché non iniziò a piovere e il tutto si concluse con un nulla di fatto. Savonarola aveva perso la sua ultima occasione per compiere il miracolo che aveva sempre promesso. Il giorno successivo il frate fu arrestato e immediatamente messo sotto processo.
L’esecuzione di Savonarola e di due suoi seguaci domenicani fu celebrata in piazza della Signoria il 23 maggio del 1498. Museo di San Marco, Firenze
Foto: Bridgeman / Index
Dopo un mese e mezzo di torture e interrogatori condotti da una commissione formata dalla Signoria di Firenze e coadiuvata da due commissari religiosi inviati da Alessandro VI, arrivò la prevedibile sentenza. Savonarola venne riconosciuto colpevole di eresia e scisma e inappellabilmente condannato a morte. Il 23 maggio 1498 il frate ferrarese tornò così nella solita piazza della Signoria, di fronte al palazzo dove meno di quattro anni prima, all’apice del suo potere, aveva fatto costruire l’enorme salone per le sedute del suo Consiglio Grande. Contrariamente a quanto avvenuto il 7 aprile, questa volta lo spettacolo atteso dai molti fiorentini accorsi procedette inesorabilmente secondo i piani. Il predicatore venne impietosamente degradato, spogliato dell’abito domenicano che indossava da ventitré anni, impiccato e arso sul rogo.
La dispersione delle sue ceneri nelle acque dell’Arno, per evitare il culto delle reliquie da parte dei molti seguaci, non ebbe l’effetto sperato. In molti, anche dopo la sua drammatica scomparsa, continuarono a credere che Savonarola fosse un vero profeta, a venerare la sua immagine e a divulgare i suoi scritti e le sue dottrine. Se tanti fiorentini lo dimenticarono, molti altri videro nella sua morte il martirio di un santo uomo ucciso ingiustamente da un papa corrotto, e proprio da essa trassero nuova linfa per alimentarne la leggenda.
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Per saperne di più
Savonarola. Ascesa e caduta di un profeta del Rinascimento. Donald Weinstein, Il Mulino, Bologna, 2013.
Savonarola. Moralità e politica nella Firenze del Quattrocento. Lauro Martines, Mondadori, Milano, 2009.