Dopo aver sentito parlare della fama di Salomone, la regina si recò in Israele con prodotti esotici dell’Arabia, cammelli, spezie, oro e pietre preziose, al fine di mettere alla prova il re con domande e quesiti difficili da risolvere. Con sua grande soddisfazione, il saggio sovrano seppe indovinare tutte le risposte, e quindi la regina tornò nella sua terra. È grazie alla Bibbia, esattamente per mezzo del Primo libro dei re e del Secondo libro delle cronache che conosciamo la storia dell’incontro tra Salomone e la regina di Saba. Ogni elemento della narrazione porta a credere che l’incontro tra i due sovrani sia stato inserito nella Bibbia all’unico scopo di mettere in risalto l’incredibile saggezza di Salomone, sulla base di alcune voci che probabilmente circolavano in Siria e in Palestina e che accennavano al regno di una donna bella e potente nelle lontane, ricche ed esotiche terre dell’Arabia meridionale.

Nel XIX secolo il pittore francese James Tissot ricostruì l’incontro, avvenuto a Gerusalemme, tra Salomone e la regina dell’Arabia meridionale
Foto: Alamy / AciNel XIX secolo il pittore francese James Tissot ricostruì l’incontro, avvenuto a Gerusalemme, tra Salomone e la regina dell’Arabia meridionale
Il racconto diventa leggenda
Grazie alla narrazione biblica la visita della regina di Saba a Gerusalemme finì per divenire uno dei più fantasiosi e fertili cicli di leggende e racconti d’Oriente. Ed è in seno all’antica letteratura ebraica che nacque quest’episodio ricco di fascino, condito di tutti gli ingredienti necessari a renderlo avvincente: la bellezza, il potere, la ricchezza, l’esotismo, gli intrighi, la magia e l’amore. Man mano tali elementi confluirono in opere di differente genere, o tematica, come le Antichità giudaiche, di Flavio Giuseppe, del I secolo d.C., o il Targum Sheni, una libera traduzione in aramaico del Libro di Ester.
Secondo queste fonti, un’upupa informò Salomone che il regno di Saba era l’unico sulla terra da lui non soggiogato e che la sua regina venerava il sole. Allora il monarca mandò l’upupa nella città sabea di Kitor, con una lettera in cui intimava alla regina di sottomettersi al suo potere. In risposta lei inviò una flotta «con tutte le barche del mare», cariche di doni preziosi. Sulle navi viaggiavano, inoltre, seimila giovani della stessa statura e aspetto, nati lo stesso giorno alla stessa ora e agghindati con abiti di porpora. I giovani consegnarono a Salomone una missiva in cui la regina annunciava che sarebbe giunta a Gerusalemme dopo un viaggio di tre anni.
Quando alla fine la regina entrò nel palazzo di Salomone, pensò che il pavimento tirato a lucido fosse una piscina piena d'acqua e alzò la veste, mostrando così le gambe. Salomone si accorse che la regina aveva le gambe pelose e glielo fece notare dicendo che non era una cosa appropriata in una donna. La regina gli presentò poi alcuni indovinelli, che il monarca risolse con facilità.

Il tempio costruito da Salomone a Gerusalemme in una ricostruzione di Balogh Balage. XX secolo
Foto: Balage Balogh / RMN-Grand Palais
La Bilqis dei racconti arabi
Gli arabi conoscevano sicuramente i dettagli di questo racconto, che adattarono alla propria sensibilità aggiungendovi nuovi particolari. La vicenda della regina di Saba era talmente famosa da comparire persino nel Corano. Infatti, nella sura o capitolo 27 sono riassunti molti elementi della leggenda già trattata dagli autori ebraici. Tuttavia nel Corano Salomone è descritto come un re devoto ad Allah, saggio ed esperto di magia, a capo di un esercito formato da uomini, spiriti buoni e uccelli. Si ripetono la comparsa dell’upupa e la descrizione della figura di una regina senza nome, ricca, potente e adoratrice del sole, che siede sul trono maestoso di un lontano Paese. Nel Corano il re manda alla sovrana una lettera, ma non per sottometterla quanto per invitarla a convertirsi; lei risponde mandandogli emissari e ricchi regali, che lui rifiuta. Nel racconto appare, però, un nuovo elemento: lo stratagemma cui ricorre Salomone per mettere alla prova la sagacia della regina. Mentre lei è in viaggio, il re manda uno spirito buono, un genio, perché le rubi il trono e lo porti a Gerusalemme, così da trasformarlo e vedere se la regina lo avrebbe riconosciuto. Dopo che ha superato la prova, Salomone le mostra il suo straordinario palazzo di vetro, costruito con l’arte della magia; la sovrana, impressionata dal potere del re d’Israele, abbandona il paganesimo e si converte alla fede in Allah.
Gli esegeti del testo coranico aggiunsero ancora altri dettagli. Oltre a indicare il nome della regina, Bilqis (che probabilmente è una deformazione del greco pallakis, “concubina”) e a descrivere la sua incredibile bellezza, spiegarono pure che i demoni erano contrari al matrimonio, e sparsero la notizia che la donna avesse le gambe pelose come Lilith, il temibile demone femmina della notte. Per verificarlo, Salomone ordinò che i geni costruissero un pavimento di vetro. Bilqis lo scambiò per acqua e alzò la veste per attraversarlo, lasciando così a nudo le gambe. Dopo aver ordinato agli spiriti buoni di preparare una pozione depilatoria, Salomone poté finalmente sposarla.
La Makeda degli etiopi
Negli altopiani settentrionali del Corno d’Africa – le attuali Etiopia e Somalia – la vicenda biblica ispirerà diverse leggende fondative, nonché le tradizioni letterarie e folcloristiche più ricche circa la relazione tra Salomone e la regina di Saba. Tre aspetti permisero di adeguare tale narrazione al contesto etiope. Il primo fu il cristianesimo che, a metà del IV secolo d.C., era diventato la religione del regno di Aksum, da cui la moderna Etiopia. A poco a poco questa nuova religione, giunta probabilmente dalla Siria o dall’Egitto, incorporò molti elementi ebraici e si sviluppò in modo autoctono e originale.
Il secondo aspetto riguarda la cultura etiope e il suo carattere semitico, forse dovuto alla stretta relazione con lo Yemen e, in particolare, con il regno di Saba. Difatti l’influenza di quest’ultimo in Etiopia è ancor più evidente nella scrittura, una derivazione di quella sud-arabica utilizzata in tale parte dello Yemen preislamico.
Infine, la stretta relazione tra l’Etiopia e la regina di Saba fece sì che la sua dinastia fosse sempre legittimata e consacrata, soprattutto grazie ai racconti della Bibbia. Il vincolo della regina di Saba con l’Etiopia aveva origini molto antiche, perché già Flavio Giuseppe vi fa riferimento nel I secolo d.C., e la stessa opinione si ripete in autori cristiani come Eusebio di Cesarea od Origene. Non è perciò strano che fosse conosciuta anche dai cristiani di Etiopia.

Conversazione mistica tra Salomone e la regina di Saba, che sono rappresentati seduti. Icona etiope del XVIII secolo
Foto: DEA / Scala, Firenze
Uno sviluppo della leggenda compare nel Kebra Nagast, o Gloria dei re d’Etiopia, un’opera compilata nel XIII secolo, ma con elementi molto più antichi, e che contiene una storia romanzata sull’origine della dinastia etiope. Il fine ultimo della Gloria dei re è dimostrare come il carattere sacro della dinastia provenisse addirittura dall’unione tra la regina e Salomone, dalla quale sarebbe nato il primo monarca etiope della stirpe. Secondo il Kebra Nagast, la Regina del Sud (così viene citata anche nei Vangeli di Matteo 12:42 e di Luca 11:31), ovvero la regina d’Etiopia, venne un giorno a sapere da un commerciante di nome Tamrin che esisteva un regno governato da Salomone, famoso nel mondo per la ricchezza e la giustizia. Mossa dalla curiosità, la regina Makeda si recò a Gerusalemme, dove rimase affascinata dalla saggezza del sovrano biblico. A sua volta, il re s'invaghì della bellezza di Makeda e cercò di trattenerla a sé con uno stratagemma.
Makeda fu così costretta a rimanere a Gerusalemme e a giacere con lui. Ne nacque un bambino, Menilek, riconosciuto da entrambi i genitori. I sacerdoti di Gerusalemme lo battezzarono con il nome di David e gli permisero sia di tornare in Etiopia come re sia di portare con sé l’Arca dell’Alleanza. Anche se forse non è mai avvenuto l’incontro tra Salomone e la bella Regina del Sud, è probabile che la Bibbia abbia usato per i propri scopi l’esistenza e la fama del regno di Saba, sul quale possediamo molte notizie grazie a iscrizioni rinvenute nel sud dell’Arabia, alcune delle quali risalgono all’VIII secolo a.C.
Grazie a queste, e ai ritrovamenti archeologici, possiamo oggi affermare che quella di Saba fu una cultura florida per quasi un millennio prima dell’arrivo dell’islam. I suoi abitanti dominavano buona parte dello Yemen e a lungo rimasero a capo di una coalizione cui aderivano altri popoli culturalmente simili, di Maīn, Qatabān e Hadramaut.

La fotografia corrisponde all’antica Mārib, situata a sud dell’attuale città omonima, e costruita sul sito, ben più remoto, della capitale di Saba
Foto: Alamy / Aci
Il regno di Saba
La prima menzione del regno di Saba risale all’VIII secolo a.C. e proviene da fonti assire. Qui la terra sabea è descritta come abitata da un popolo di mercanti «il cui luogo è molto lontano» e divenuta ricca grazie all’esportazione di spezie e incenso. Sappiamo che gli abitanti di Saba effettuarono alcune missioni diplomatiche e commerciali inviando regali e ambasciatori alla corte assira, allo scopo di stabilire o rinforzare le relazioni tra i due regni. Poiché i resoconti assomigliano a quelli che riguardano le missioni diplomatiche del regno d’Israele (tra i secoli IX-VIII a.C.) e di Giuda (IX e VI a.C), possiamo dedurre che pure gli autori della Bibbia ne fossero venuti a conoscenza.
Nelle più antiche iscrizioni sabee, redatte in arabo meridionale con un alfabeto completamente diverso da quello arabo classico, si accenna alle figure dei re, che si tramandavano il potere per discendenza in linea materna. I sovrani chiamavano sé stessi “unificatori”, capi di una confederazione di popoli sui quali mantenevano l’egemonia politica e militare.
La capitale del regno era l’imponente città di Mārib, situata in una fertile oasi al limite del deserto. La prima fioritura di tale cultura durò all’incirca fino al I millennio a.C., momento in cui il controllo delle vie dell’incenso passò in mano ad altri popoli del sud dell’Arabia. Da allora, a quanto risulta, i sabei mantennero solo delle colonie commerciali nel Corno d’Africa, nell’area che poi sarebbe divenuta l’Etiopia, mescolandosi così alle popolazioni locali.
Più tardi, mille anni dopo Salomone, tra il I e il III secolo d.C., Saba riacquistò un ruolo predominante nel panorama politico ed economico dell’Arabia meridionale. Durante quel periodo i suoi sovrani stabilirono la capitale a Zafar e si fregiarono del titolo di “re di Saba e di Raydan, di Hadramaut e dello Yemen”, per dimostrare che governavano su più popoli dell’Arabia meridionale. In realtà il titolo era conteso pure dai re di Himyar, un altro popolo dello Yemen con cui i sabei erano spesso in lotta e che divenne poi la potenza egemonica della regione.

Così Lambert Sustris evocò nel XVI secolo l’incontro tra i due re. National Gallery, Londra. Sotto, diffusore d'incenso offerto a una divinità. III secolo d.C. British Museum, Londra
Foto: The National Gallery, Londres / RMN-Grand Palais
Come mille anni addietro, la prosperità di Saba risiedeva nella maestria nel gestire le risorse idriche e nel controllo delle rotte commerciali di spezie e incenso. Il collasso arrivò con la distruzione della grande diga di Mārib, costruita sette chilometri a nord della città, nel VI secolo d.C. Alcuni decenni più tardi, la conquista musulmana finì per oscurare il glorioso passato dei sabei.
Tuttavia, il ricordo dell’antico splendore rimase nella leggenda, in cui sfolgorano le fastose ricchezze che una regina senza nome mise ai piedi del sovrano più saggio della terra – lui sì, con un nome. «Essa diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono mai tanti aromi quanti ne portò la regina di Saba a Salomone». Con queste parole il Primo libro dei re elevò il capo di un regno montagnoso e non molto esteso alla categoria di autorevole sovrano, che riceveva il riconoscimento dello stato più florido dell’Asia. E fu così che la sua immagine rimase consacrata per l’eternità.