La rivoluzione della lettura nel XVIII secolo

All’epoca dell’Illuminismo principi e bibliofili fondarono le prime grandi biblioteche pubbliche e i cittadini, sempre più coinvolti nei dibattiti intellettuali, costituirono club di lettori e spazi di lettura condivisa

Alla sua morte nel 1714, il fiorentino Antonio Magliabechi lasciò in eredità alla città di Firenze circa 30mila volumi, manoscritti e a stampa. Si trattava di una donazione straordinaria: agli inizi del XVIII secolo una biblioteca così ricca era esclusivo appannaggio di regnanti, aristocratici o membri dell’alto clero. Le persone comuni possedevano pochi libri in casa; anche medici, avvocati e sacerdoti non ne avevano solitamente più di qualche decina. Questo perché i libri erano cari, quasi un oggetto di lusso.

Uomo che legge sul sofà. Opera di François Xavier Vispré, 1765 circa. Ashmolean Museum of Art and Archeology, Università di Oxford

Uomo che legge sul sofà. Opera di François Xavier Vispré, 1765 circa. Ashmolean Museum of Art and Archeology, Università di Oxford

Foto: Bridgemann

Prima dell’industrializzazione della stampa nel XIX secolo, i costi di produzione dei libri erano molto alti, non solo a causa della manodopera, quasi artigianale, ma anche delle imposte e della lunga trafila burocratica. Ancora agli inizi del XIX secolo, in Francia, un romanzo di recente pubblicazione poteva valere un terzo del salario mensile di un bracciante. Del resto si pubblicava un numero relativamente esiguo di libri; poco più di un migliaio di titoli intorno al 1700 in Francia, uno dei Paesi più avanzati. E le librerie erano di dimensioni ridotte, in genere costituite da un’unica stanza annessa alla bottega di stampa. La gran parte delle opere aveva tirature modeste, ma alcune divennero dei grandi successi; in particolare l’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert (pubblicata tra il 1751 e il 1756), in trentasei volumi, con 24mila copie vendute in tutta Europa, fu un affare d’oro per gli editori.

L’esplosione della stampa alla fine del XVIII secolo rientra nel quadro di quella che alcuni storici hanno definito una “rivoluzione della lettura” che si ebbe nell’Europa occidentale e nel Nord America tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX. Un aspetto rilevante fu il declino delle pubblicazioni colte di tipo tradizionale, e la crescente domanda di letteratura d’evasione.

Le biblioteche pubbliche

Già nel XVII secolo per soddisfare le richieste dei lettori erano sorte nelle principali città grandi biblioteche pubbliche, aperte non solo agli studiosi ma anche ai “curiosi” e agli amanti della letteratura, come la Bodleiana di Oxford (1602) e l’Ambrosiana di Milano (1609). Nel 1636 era nata anche la prima biblioteca americana, composta dai 380 volumi donati da John Harvard all’università di Cambridge, nel Massachusetts. Nel corso del settecento le biblioteche crebbero in numero e ricchezza, grazie al mecenatismo di principi (Maria Teresa fondò la Braidense a Milano, Carlo III la Nazionale di Napoli, Federico il Grande la Statale di Berlino, Caterina II l’Imperiale di San Pietroburgo) e di bibliofili come Magliabechi, dalla cui libreria ebbe origine la Nazionale di Firenze, aperta al pubblico nel 1747; nel 1759, inoltre, fu inaugurata la biblioteca del British Museum. In Francia le collezioni librarie pubbliche si ampliarono grazie ai sequestri di librerie principesche durante la Rivoluzione: 8 milioni di libri confluirono nelle biblioteche di Parigi.

Biblioteca dell'abbazia di Admont in Austria. Terminata nel 1776 sotto l’imperatrice Maria Teresa, è la biblioteca monastica più grande del mondo

Biblioteca dell'abbazia di Admont in Austria. Terminata nel 1776 sotto l’imperatrice Maria Teresa, è la biblioteca monastica più grande del mondo

Foto: Age Fotostock

I club di lettori

Il gusto per i dibattiti culturali su temi scientifici, letterari e politici spinse alcuni privati cittadini a costituire le prime biblioteche associative. Nel 1731 Benjamin Franklin fondò la Philadelphia Library Company, seguendo una formula innovativa per finanziare l’acquisto di libri: l’abbonamento. Insieme a un gruppo di cinquanta persone, lo statista americano creò un fondo per comprare volumi nelle librerie di Londra e metterli a disposizione del pubblico d’oltreoceano. Il contributo iniziale di ogni affiliato fu di quaranta scellini e la quota annuale di dieci. Un decennio dopo la biblioteca contava circa quattrocento titoli, divenuti più di duemila nel 1770.

Una formula simile fu quella delle biblioteche ambulanti, dette circulating libraries in Inghilterra, dove, alla metà del XVIII secolo, nacque l’idea di librerie itineranti che diffondessero la letteratura anche nelle aree rurali. Si trattava di iniziative private, incoraggiate dagli stessi librai che offrivano ai loro clienti la possibilità di prendere in prestito le ultime novità del mercato editoriale in cambio di una quota (mensile, trimestrale o annuale) vantaggiosa rispetto al prezzo d’acquisto dei libri.

La rivoluzione della lettura

Secondo alcuni storici, nell’Europa occidentale e nel Nord America, tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX si ebbe una vera e propria “rivoluzione della lettura”, che coincise con una laicizzazione dei gusti letterari, come dimostra la crescente richiesta di resoconti di viaggi e di narrativa romantica. Se alla metà del XVIII secolo i testi devozionali costituivano ancora un quarto di tutte le pubblicazioni ufficialmente autorizzate in Francia, già nel 1785 le opere religiose rappresentavano solo il dieci per cento della produzione editoriale. Il pubblico dei lettori europei mostrava ormai una particolare predilezione per il romanzo moderno e i più richiesti erano gli autori inglesi: Daniel Defoe, Samuel Richardson, Henry Fielding e, poi, Walter Scott. Inoltre, le satire di argomento politico ed erotico, i libelli polemici, le caricature e gli opuscoli erano molto apprezzati da un ampio pubblico. La Rivoluzione francese, infatti, aveva liberato l’industria tipografica dai controlli esercitati dalla monarchia e dalle corporazioni, dando avvio a un’eccezionale fioritura della stampa: tra il 1789 e il 1799 solo a Parigi comparvero oltre duemila nuove riviste, anche se molte di esse ebbero vita breve.

Il frontespizio del "Caffè". Il giornale, fondato nel 1764 a Milano da Pietro Verri, fu una delle più significative espressioni dell’Illuminismo italiano

Il frontespizio del "Caffè". Il giornale, fondato nel 1764 a Milano da Pietro Verri, fu una delle più significative espressioni dell’Illuminismo italiano

Foto: Archivio Privato

Il filosofo e sociologo tedesco Jürgen Habermas interpreta così la trasformazione dei lettori nel periodo prerivoluzionario come la nascita di una sfera pubblica in cui poté affiorare una libera discussione politica e costituirsi una “opinione pubblica”. Grazie al nuovo mercato della stampa e dell’informazione si sviluppò una comunità critica legata a libri, giornali, club e caffè; si trattava però di un pubblico borghese e aristocratico, da cui il lettore comune era ancora escluso.

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La cosiddetta “rivoluzione della lettura” segnò poi un passaggio da una lettura di tipo “intensivo”, a una più moderna ed “estensiva”: il libro cessò di essere una rarità e divenne un oggetto di consumo quotidiano, perdendo così i suoi connotati magici e religiosi per acquistare un carattere più popolare. I lettori, che un tempo disponevano di un ristretto numero di testi familiari, per lo più opere di edificazione, letti e riletti, trasmessi da una generazione all’altra, si abituarono a una continua ricerca di novità.

Nel XVIII secolo i lettori europei si appassionarono sempre più ai romanzi; i più richiesti erano autori inglesi come Defoe e Fielding

Con la diffusione dei romanzi popolari e dei giornali, la parola stampata si liberò definitivamente dal contesto religioso. Parimenti, la lettura divenne un’attività individuale, non più soggetta ai vincoli della comunità e della lettura collettiva a voce alta che era stata una prassi comune nella società tradizionale.

Il dipinto del pittore fiammingo Léonard Defrance, A l’Egide de Minerve (sotto l’egida di Minerva), realizzato nel 1780, mostra il viavai all’ingresso di una libreria della sua città, Liegi

Il dipinto del pittore fiammingo Léonard Defrance, A l’Egide de Minerve (sotto l’egida di Minerva), realizzato nel 1780, mostra il viavai all’ingresso di una libreria della sua città, Liegi

Foto: Bridgeman

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La cultura popolare

Il mondo della letteratura popolare restò a lungo escluso dalla cultura stampata. Tuttavia nel XVIII secolo ebbe ampia diffusione una produzione di opuscoli a buon mercato, detti chapbooks in Inghilterra, pliego de cordel in Spagna, bibliothèque bleue in Francia. Erano testi brevi contrassegnati da prezzi esigui, stampati su carta grossolana, a volte rilegata con la carta azzurra dei pacchi di zucchero, da cui derivò l’appellativo bleue. Si trattava di miti e fiabe popolari, catechismi e libri di preghiere, oltre a manuali di utilità pratica, come calendari e almanacchi, che comprendevano ricette e consigli medici. Un genere di vasto consumo era inoltre rappresentato da una narrativa tesa a promuovere la conformità sociale confermando la gerarchia esistente, consolidando i valori patriarcali e il ruolo sottomesso delle mogli e delle figlie. Tali opere, distribuite in milioni di copie e vendute nelle campagne dagli ambulanti, fecero la fortuna di pochi editori specializzati.

La passione per la lettura, insomma, non conobbe limiti di ceto. Tutti, dai più ai meno abbienti, erano disposti a investire i propri risparmi nell'acquisto, non sempre a buon mercato, dei libri, considerati fonti di conoscenza oltre che preziose vie di fuga dalla routine quotidiana.

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