La rivoluzione dei decabristi russi

Influenzati dalla rivoluzione francese, alcuni ufficiali dell’esercito zarista organizzarono una rivolta a San Pietroburgo per dare una costituzione liberale all’Impero russo

Molto prima che il regime zarista fosse rovesciato dalla rivoluzione d’ottobre del 1917, a San Pietroburgo scoppiò un’altra insurrezione contro le politiche autoritarie degli zar. La mattina del 26 dicembre 1825 (il 14 dicembre per il calendario tradizionale russo), nella Piazza del Senato di San Pietroburgo, diversi comandanti dell’esercito imperiale si rifiutarono di prestare giuramento al nuovo zar, Nicola I. Il gesto doveva segnare l’inizio di un colpo di stato militare che aveva come obiettivo quello di costringere la monarchia ad adottare una costituzione liberale.

Lo zar Nicola I. Museo d'arte Kroshitsky, Sebastopoli

Lo zar Nicola I. Museo d'arte Kroshitsky, Sebastopoli

Foto: Culture-Images / Album

   

L’origine di questo movimento era fortemente legata alla partecipazione della Russia alle guerre napoleoniche (1801-1815) e in particolare alla fallita invasione francese nel 1812. Gli ufficiali che inseguirono l’esercito di Napoleone fin dentro al cuore di Parigi entrarono in contatto con le idee liberali della rivoluzione e al loro ritorno in patria si sforzarono di introdurle nel loro Paese. Allo stesso tempo, l’invasione francese causò un sentimento di profonda delusione ideologica. I russi si resero conto che la Francia, il Paese che avevano sempre provato a imitare e la cui lingua si parlava nei salotti aristocratici, stava cercando di occupare la terra dei loro antenati. D’altro canto i contadini russi, nonostante fossero sottoposti a un regime di servitù, svolsero un ruolo cruciale nel respingere l’invasore. Per questa ragione alcuni intellettuali si convinsero del fatto che l’autentica essenza dell’ “anima russa” risiedesse nella rassegnazione cristiana e nella profonda capacità di resistenza dei contadini.

Così, dopo il 1815 una parte dell’aristocrazia russa cominciò a organizzarsi per esigere due importanti riforme dello stato zarista: l’approvazione di una costituzione e l’abolizione della servitù della gleba. Questo movimento era minoritario e di carattere cospirativo. Nel 1816 sei agenti della Guardia crearono la Lega della Salvezza con l’obiettivo di stabilire una monarchia costituzionale e un parlamento nazionale. Fin dall’inizio la Lega fu divisa in due correnti. La più moderata sosteneva che fosse meglio aspettare la morte di Alessandro I, a quel tempo zar, e poi rifiutarsi di giurare fedeltà al nuovo imperatore fino a che questi non avesse accettato il loro programma. L’altra fazione, più radicale, voleva imporre direttamente un regime repubblicano.

Servi "semplici e coraggiosi". Quest'incisione mostra gli abusi che i contadini russi subivano per mano dei loro signori

Servi "semplici e coraggiosi". Quest'incisione mostra gli abusi che i contadini russi subivano per mano dei loro signori

Foto: AKG / Album

   

Liberali e nazionalisti

Questa prima società si sciolse due anni più tardi e venne sostituita dall’Unione della Prosperità, sotto la guida del conte Mikhail Orlov. Il conte chiese allo zar l’abolizione della servitù della gleba, ma la sua richiesta non fu accolta. Le divisioni interne continuarono e nel 1821 i membri più moderati del movimento formarono l’Associazione del Nord. I più radicali, invece, si riunirono attorno alla figura del colonnello Pavel Pestel nell’Associazione del Sud. Pestel era un ammiratore dei giacobini della Rivoluzione francese, sosteneva il regicidio e l’introduzione di una repubblica rivoluzionaria; allo stesso tempo era un ultranazionalista che difendeva la russificazione forzata delle minoranze nazionali e l’espulsione degli ebrei dal Paese. Il colonnello ideò persino un modo per arrestare lo zar: «Le mezze misure non servono a niente, bisogna fare tabula rasa», spiegava Pestel in una lettera a uno dei leader del Nord.

Gli eventi precipitarono quando, l’1 dicembre del 1825, lo zar Alessandro I morì in modo improvviso in Crimea. Ci si aspettava che il suo successore al trono di Russia fosse suo fratello, il granduca Costantino, governatore della Polonia e di spirito riformista. Tuttavia, Costantino aveva rinunciato segretamente ai suoi diritti di successione anni prima e, alla morte di Alessandro I, abdicò in favore del fratello, il granduca Nicola. Ai decabristi però, la vicenda non piacque affatto: sostenevano infatti che l’abdicazione di Costantino fosse assolutamente illegittima e si opposero categoricamente al nuovo zar Nicola I, dal canto suo personaggio ben noto per il suo carattere reazionario e paranoico.

Truppe fedeli allo zar circondano i soldati ammutinati nella piazza del Senato di San Pietroburgo il 26 dicembre 1825. Acquerello di Karl Kolmann. Museo Puškin, Mosca

Truppe fedeli allo zar circondano i soldati ammutinati nella piazza del Senato di San Pietroburgo il 26 dicembre 1825. Acquerello di Karl Kolmann. Museo Puškin, Mosca

Foto: AKG / Album

   

La mattina del 26 dicembre i capi della congiura riunirono circa tremila soldati nella Piazza del Senato a San Pietroburgo e, sostenuti da un numero crescente di civili, si rifiutarono di prestare giuramento al nuovo zar. Volevano che il sovrano fosse Costantino, che consideravano il legittimo successore, e richiedevano che fosse approvata una costituzione. Gli ammutinati rimasero nella piazza sotto un freddo gelido, aspettando invano l’arrivo di altre unità dell’esercito. Da parte sua, Nicola I riunì novemila soldati a lui fedeli che circondarono la piazza. La tensione era in aumento, ma il nuovo zar voleva evitare uno sgombero violento. Poco dopo mezzogiorno un mediatore dell’imperatore cercò di convincere i ribelli a cambiare atteggiamento ma questi lo uccisero, scatenando un assalto.

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Battaglia sulle rive della Neva

All’inizio il comando militare decise di provare con una carica della cavalleria. Lo zar si rifiutò di usare l’artiglieria pesante per non causare un massacro con spargimento di sangue proprio il giorno della sua proclamazione, poco prima di Natale (secondo il calendario ortodosso mancavano ancora dieci giorni alla vigilia). Tuttavia, con il freddo di dicembre e l’umidità della Neva, il selciato della piazza era diventato una pista di pattinaggio sulla quale i cavalli scivolavano e, per questo, la carica fallì. Il sopraggiungere dell’oscurità convinse Nicola I ad autorizzare in extremis l’uso dei cannoni. Questo causò la fuga caotica delle persone che erano concentrate in piazza: a decine annegarono nelle acque della Neva. La rivolta fu presto soffocata e, anche se il governo di Nicola I confermò la morte di 80 persone, si stima che le vittime furono 1.300, tra cui più di 900 civili. Pochi giorni dopo fallì un altro tentativo di ribellione a Kiev.

Pavel Pestel. Biblioteca nazionale russa, San Pietroburgo

Pavel Pestel. Biblioteca nazionale russa, San Pietroburgo

Foto: Fai / Album

Il ministero dell’interno iniziò una ricerca approfondita che presto portò a individuare i mandanti del colpo di stato. Cinque decabristi furono condannati a morte, tra cui l’infervorato Pestel. L’impiccagione pubblica fu eseguita nella fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo, dove oggi una lapide e un monolite ricordano l’impresa dei decabristi. La repressione dei ribelli non si fermò con la condanna a morte dei cinque mandanti del colpo di stato: altri 121 ufficiali furono spogliati dei loro titoli e delle loro proprietà e condannati all’esilio nei campi di lavoro in Siberia. Le loro pene non furono commutate fino all’ascesa al trono dello zar Alessandro II, solamente nel 1856. Tra di loro c’era il generale Sergej Grigor'evič Volkonskij, che ispirò uno dei personaggi principali di Guerra e pace, scritto dal suo lontano cugino Lev Tolstoj. Il percorso di Volkonskij fu quello tipico di un decabrista. Fervente liberale, combatté contro Napoleone e visitò Londra e Parigi; al suo ritorno in Russia fu «come tornare alla preistoria».

Nei mesi precedenti il colpo di stato pensava: «Ero orgoglioso di sapere che stavo facendo qualcosa per il popolo; lo stavo liberando dalla tirannia». Pur essendo uno stretto collaboratore di Pestel, Volkonskij riuscì a evitare la condanna a morte grazie ai suoi legami familiari, che però non lo salvarono dalla condanna a un duro esilio in Siberia. Ricevette l’amnistia nel 1856, alla morte di Nicola I. Pochi anni dopo, mentre era in viaggio verso Nizza con la moglie, ricevette la notizia dell’abolizione della servitù della gleba in Russia, che avvenne il 19 febbraio 1861. Volkonskij aveva 72 anni. Quel pomeriggio partecipò a un servizio di ringraziamento nella chiesa ortodossa della città francese e quando sentì il coro iniziò a piangere. Nelle sue memorie scrisse: «È stato il momento più felice della mia vita».

'Il sogno di Volkonskij'. Copia di pittura a olio di Karl Brjullov. Museo di storia, Mosca

'Il sogno di Volkonskij'. Copia di pittura a olio di Karl Brjullov. Museo di storia, Mosca

Foto: Culture-Images / Album

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