Riso tra i capelli per sopravvivere alla schiavitù

Preservando le tradizioni e una manciata di cereali, le popolazioni africane deportate in Suriname si sono guadagnate la libertà nel Nuovo mondo

Secondo una leggenda i primi schiavi africani che nel XVII secolo furono trasportati fino alle coste del Suriname si assicurarono la sopravvivenza grazie a una manciata di riso nascosto tra i capelli. Furono le donne, esperte e abili coltivatrici, a custodire i chicchi tra le trecce per trasportarli al sicuro e quindi ripiantarli su terreni incolti per costituire comunità autonome, libere e autosufficienti. Ciò che si è tramandato come leggenda trova riscontro negli studi condotti dalla professoressa Tinde Van Andel, dottoressa in etnobotanica e ricercatrice presso il Naturalis Biodiversity Center.

Nel corso delle ricerche condotte sull'origine e la diffusione del riso – a oggi il cereale più consumato al mondo – la studiosa è entrata in contatto con la popolazione maroon, considerata la diretta discendente degli schiavi africani che tre secoli prima furono deportati sulle coste del Suriname e della Guyana francese. Una comunità che ha custodito la storia non scritta di circa 200mila persone alla ricerca di un modo per coltivare le proprie radici lontano dalla terra d'origine.

Alcuni schiavi zappano in una piantagione di riso del Sud Carolina. Incisione, XIX secolo

Alcuni schiavi zappano in una piantagione di riso del Sud Carolina. Incisione, XIX secolo

Foto: Cordon Press

Schiavi nel Nuovo mondo

Dopo la scoperta delle Americhe, le potenze coloniali europee – Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra e Paesi Bassi – iniziarono a occupare i territori conquistati creando le basi di nuovi imperi oltreoceano. Dalla costa all'entroterra, le aree vergini furono trasformate in estese piantagioni di canna da zucchero, caffè, cacao e cotone, mentre le prime cave aprivano un varco nei ricchi giacimenti minerari del Sudamerica. Tutto ciò richiedeva un'enorme quantità di manodopera, e presto i migranti volontari e i galeotti europei inviati a forza nelle colonie dai Paesi d'origine non furono più sufficienti. Iniziò così la tratta di schiavi importati dall'Africa alle coste americane per lavorare nei campi. Gli uomini in salute costituivano la maggioranza della forza lavoro ed erano destinati ai lavori di fatica, mentre alle donne era riservata la coltivazione e la cura delle piantagioni.

Tra il XVI e il XIX secolo circa 12 milioni di persone furono ridotte in schiavitù in Africa e trasportate nelle Americhe. Tra il 1658 e il 1825 il Suriname ne accolse circa 295mila, provenienti da Ghana, Benin, Costa d’Avorio, Sierra Leone, Gabon e Angola e impiegate come forza lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. La brutalità della schiavitù e delle condizioni in cui gli africani erano costretti vivere li spinse spesso a tentare la fuga, rifugiandosi nell’entroterra e cercando soluzioni alternative per sopravvivere in un territorio selvaggio e sconosciuto.

La tratta degli schiavi in un'illustrazione di William Blake, 1861

La tratta degli schiavi in un'illustrazione di William Blake, 1861

Foto: Pubblico dominio

Le piantagioni segrete

La comparsa del riso in Suriname risale probabilmente al 1680, quando arrivò trasportato dalle navi negriere. In Africa la popolazione locale lo coltivava prima ancora che la tratta degli schiavi fosse una realtà. Durante il viaggio verso il Nuovo mondo – la traversata durava circa tre mesi – il cereale era era l'unico sostentamento garantito ai futuri schiavi. Una volta sbarcati, i prigionieri venivano destinati alle enormi piantagioni di canna da zucchero presenti sulla costa. La sopravvivenza non era scontata per chi si ritrovava senza radici: la soluzione fu sottrarre qualche manciata di chicchi dal carico a bordo delle navi o dai depositi di granaglie, da portare con sé.

Da questo bottino ebbero origine piccoli “orti” indipendenti sorti ai lati dei grandi appezzamenti di canna da zucchero, che consentirono ai prigionieri di far crescere le piante conosciute della propria terra natia per garantirsi um sostentamento fisico e spirituale. Il primo campione di riso catalogato in loco risale al 1755 e fu raccolto dal naturalista svedese Daniel Rolander (1722-1793), che studiò in particolare le conoscenze mediche ed etnobotaniche dei lavoratori africani. Fu lui a scovare per primo gli orti fai-da-te: «Il proprietario del terreno non ne conosceva l’esistenza – afferma in uno scritto, – probabilmente era stato cresciuto segretamente».

Nutrire le radici

Tra le oltre cinquanta qualità di riso riconosciute e catalogate da Rolander compare anche l’Oryza Glaberrima, originaria dell’Africa occidentale (le prime coltivazioni risalgono a circa tremila anni fa) e caratterizzato da chicchi con scorza bruna, saporiti e ricchi di proprietà nutritive. Gli studi effettuati recentemente dalla professoressa van Andel sul dna dei chicchi evidenziano un’altissima compatibilità con la specie coltivata in Liberia, Guinea, Sierra Leone e Costa d’Avorio. L’evidenza porta a tracciare una discendenza diretta tra quelle popolazioni e gli antenati della comunità maroon: le modalità di lavorazione dei chicchi e l’uso rituale del riso confermano l’effettivo trasferimento di usi e conoscenze da una parte all’altra dell’oceano.

Chicchi di 'Oryza Glaberrima', riso originario dell'Africa e coltivato in Suriname

Chicchi di 'Oryza Glaberrima', riso originario dell'Africa e coltivato in Suriname

Foto: Tinde van Andel

Per metterle a frutto era necessario per prima cosa guadagnarsi la libertà: fu così che nel XVII secolo alcuni braccianti africani, stanchi di vivere in condizioni disumane, scapparono verso l’entroterra e s'insediarono lungo il corso dei fiumi Maroni e Lawa, naturale frontiera tra Guyana e Suriname. Protetti dalla foresta, avviarono coltivazioni di riso indipendenti e sufficienti al fabbisogno delle nuove comunità, che furono poi ereditate dalle generazioni successive. Insieme alle modalità di coltivazione e raccolta, ai discendenti furono tramandati l’uso del cereale nella medicina tradizionale e le pratiche rituali tipiche dei culti africani. Oltre a essere l’alimento base, infatti, il riso portava in sé un forte valore simbolico, come testimoniato dall’uso del cereale in occasione dei funerali come offerta votiva.

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Milly e Sapali, antenate del riso

Tra le curiosità dello studio spiccano i nomi scelti per due tra le diverse varietà di riso coltivate nella zona: Milly e Sapali. Nomi femminili, che secondo la tradizione orale sono appartenuti a due schiave fuggite dalle piantagioni costiere. Come narra la leggenda tramandata in Suriname, Milly era il nome di una donna di origine africana che fuggì lungo le sponde del fiume Maroni portando con sé una manciata di riso nascosto tra i capelli, intrecciati con cura, in modo da non perderne un solo chicco. La storia di Sapali è molto simile: scappò da una piantagione con alcune spighe tra le chiome, per poi condividerle con altri fuggiaschi. Un’altra versione narra che il viaggio della donna iniziò addirittura dall’Africa.

Una donna della comunità maroon mostra come intrecciare il riso tra i capelli per trasportarlo in sicurezza. La pratica è stata tramandata oralmente dai suoi nonni

Una donna della comunità maroon mostra come intrecciare il riso tra i capelli per trasportarlo in sicurezza. La pratica è stata tramandata oralmente dai suoi nonni

Foto: Tinde van Andel

Il confine tra realtà e leggenda è sottile: la storia di Milly e Sapali ha attraversato i secoli, così come il modo d’intrecciare i capelli per trattenere il prezioso bottino. Un video girato in Suriname dalla professoressa van Andel mostra la tecnica tramandata ai discendenti maroon: tra le ciocche si potevano nascondere grani di riso o intrecciare piccole radici di manioca o altre piante in grado di conservarsi a lungo, per poi essere trapiantate in un nuovo terreno. Le donne sono state nei secoli le uniche custodi delle origini e delle tradizioni agricole ereditate dagli antenati. Come appunto la cura del riso, che soprattutto nel periodo coloniale costituiva l’unica fonte di sussistenza, nonché la sola speranza di affrancarsi da un destino segnato e coltivare la propria identità.

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Per saperne di più

Hidden rice diversity in the Guianas. AA.VV. Frontiers in plant science, 2019.

African rice (Oryza glaberrima Steud.): lost crop of the enslaved Africans discovered in Suriname. Jonathan Flowers; Tinde van Andel; Eric Schranz. Economic Botany, 2010.

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