L’anno 1943 fu per l’Italia un susseguirsi di tragici eventi che portarono alla fase più cruenta della Seconda guerra mondiale. Il 12 giugno gli angloamericani sbarcarono a Pantelleria e da lì in Sicilia, portando la guerra sul suolo italiano. Il 25 luglio il re fece arrestare il primo ministro Mussolini e lo sostituì col maresciallo Pietro Badoglio il quale, dopo aver rassicurato Hitler sull’impegno bellico del Paese, intraprese con gli Alleati trattative segrete che portarono all'armistizio, proclamato l’8 settembre 1943. Da quel momento, l’Italia si spaccò. Il re, i ministri e Badoglio stesso scapparono a Brindisi senza dare direttive alle truppe e lasciando così i soldati allo sbando. Dal capoluogo pugliese continuarono a governare sotto il controllo alleato.
Il 12 settembre Mussolini venne liberato dagli aviatori tedeschi e successivamente portato a Salò, sul lago di Garda, dove costituì la Repubblica Sociale Italiana (RSI), stato fantoccio col beneplacito di Hitler con controllo sul centro-nord della penisola. Hitler approfittò dei vuoti di potere e occupò due aree strategiche: la Zona di Operazione Prealpi (Operationszone Alpenvorland, OZAV) che comprendeva le province di Trento, Bolzano e Belluno, e la Zona di Operazione Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland, OZAK) con Trieste, il Friuli, la provincia di Fiume e quella di Lubiana (annessa all'Italia dopo l'invasione del '41). L'amministrazione delle due aree passò direttamente al Reich. In attesa di disciplinare l'occupazione a guerra finita, i due territori vennero sottoposti alla responsabilità di un commissario supremo: il Gauleiter (governatore) del Tirolo Franz Hofer per la Zona di Operazione Prealpi e il Gualeiter della Carinzia Friedrich Rainer per la Zona di Operazione Litorale Adriatico.
Mappa che raffigura la Zona di Operazione Prealpi (Operationszone Alpenvorland, OZAV) e la Zona di Operazione Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland, OZAK)
Foto: pubblico dominio
L'uomo dal pugno di ferro insanguinato
Le Zone di Operazione furono sottoposte a feroci repressioni da parte delle autorità tedesche. In particolare, nel Litorale Adriatico i rastrellamenti ai danni dei partigiani sloveni, croati e italiani (che spesso collaboravano) raggiunsero livelli di violenza senza precedenti e la lotta fra le due parti s'inasprì ulteriormente. Oltre che dalla presenza di partigiani slavi, la OZAK era caratterizzata anche dall'alta presenza ebraica. Prima delle due guerre gli ebrei triestini erano cinquemila, ma dopo le leggi razziali del 1938 molti erano scappati all’estero. Fu in questo scenario che fece la sua comparsa Odilo Lotario Globočnik, cui venne conferita la carica di comandante superiore delle SS e della Zona di Operazioni Litorale Adriatico. Globočnik era nato nel 1904 a Trieste da genitori di origine slovena ma di lingua tedesca. Legato a Heinrich Himmler, comandante della polizia del Reich, aveva organizzato lo sterminio di oltre due milioni e mezzo di ebrei in Unione Sovietica e nei campi di Treblinka, Sobibor e Belzec, tanto da essere definito l’“uomo dal pugno di ferro insanguinato”.
Globočnik giunse a Trieste il 23 settembre del 1943 con un seguito di 430 uomini con cui aveva già collaborato, fra i quali spiccavano novantadue fedelissimi “specialisti” dell’Einsatzkommando, il commando speciale adibito allo scopo di combattere i nemici del Reich e di attuare la politica di occupazione, repressione e sterminio nei territori occupati. Questi lo avevano affiancato già nell’ambito dell’Aktion Reinhard, il progetto di sterminio degli ebrei polacchi. A Trieste l’obiettivo era l’eliminazione definitiva della comunità ebraica locale e la creazione di un campo di concentramento e sterminio. A tale scopo venne individuata una vecchia struttura ottocentesca adibita alla pilatura del riso: la Risiera di San Sabba.
Vista del cortile interno della Risiera di San Sabba, dove si trovava il forno
Foto: Mivanci
La Risiera di San Sabba
Costruita nel 1898, la Risiera di San Sabba era un imponente complesso in mattoni rossi ubicato in una zona periferica e poco frequentata della città. Dal 1930 aveva smesso la sua funzione ed era stata affittata all’esercito italiano, che pagava un regolare affitto alla proprietaria Società Anonima Prima Pilatura Triestina di Riso e la usava come caserma e magazzino. Pochi anni dopo, nel 1934, la struttura era stata liquidata e la sua gestione passata nelle mani del liquidatore, l’ingegnere Renato Rostirolla. Dimessosi nel marzo del 1943, l’incarico di liquidare il complesso passò nelle mani dell’irredentista e fascista della prima ora Riccardo Gefter-Wondrich che all’arrivo dei tedeschi glie ne concesse l’uso a scopo militare, non si sa se percependo un affitto o a titolo gratuito.
Sotto i nazisti, la Risiera svolse una triplice funzione: campo detenzione di polizia, campo di transito per gli ebrei deportati nei campi in Polonia e campo di detenzione dei prigionieri politici che venivano torturati e uccisi. Negli anni che vanno dall’autunno del 1943 alla primavera del 1945, transitarono per la Risiera più di 1.450 ebrei provenienti da Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Croazia. Oltre settecento di loro erano triestini. Questi venivano catturati il più delle volte a causa delle delazioni, che venivano “ricompensate” dai nazisti. Altre volte la cattura avvenne tramite rastrellamenti e arresti di massa, come nel caso di quello avvenuto nell'ospizio ebraico Pia Casa Gentilomo (gennaio 1944) o con l'irruzione nell'ospedale psichiatrico (marzo 1944). I loro beni venivano confiscati immediatamente. I nazisti apprezzavano particolarmente gli oggetti sacri, che nel progetto di Himmler avrebbero dovuto essere conservati a Praga dove a guerra finita sarebbero serviti ad allestire il “Museo della razza estinta”. La sorte degli ebrei giunti in Risiera era la deportazione in direzione Auschwitz, Dachau e Buchenwald. Pochi di loro morirono a San Sabba, ma solo una ventina sopravvisse ai lager nazisti in Polonia e tornò a casa.
Targa commemorativa in italiano e in sloveno esposta nella Risiera di San Sabba
Foto: Martina Tommasi
Non perderti nessun articolo! Iscriviti alla newsletter settimanale di Storica!
I prigionieri politici
Chi invece finì i suoi giorni a San Sabba, furono i partigiani – soprattutto jugoslavi – e gli oppositori politici. Si parla di un numero di vittime compreso fra le duemila e le cinquemila persone. Questi arrivavano in Risiera dopo una permanenza nelle carceri del Coroneo, nella sede della Gestapo oppure in seguito ai numerosi rastrellamenti inflitti agli abitanti della città e del Carso che circonda Trieste e l’Istria. Quelli che aspettavano l'esecuzione di lì a qualche ora venivano stipati nella “cella della morte”, mentre gli altri venivano ammassati in una delle diciassette microcelle, spesso vicini ai cadaveri destinati allo smaltimento. Lì aspettavano la fine per giorni, talvolta per settimane.
Il passaggio obbligato era la cella della tortura: ne erano state adibite due, e sebbene non vi fossero abitazioni nelle vicinanze, le urla dei torturati venivano accuratamente coperte dalla musica ad alto volume che si sommava al rombo dei camion e ai latrati dei cani. L'esecuzione avveniva in vari modi: per gassazione tramite il tubo di scappamento degli automezzi, con un colpo sferrato alla nuca o più di rado per fucilazione, vista la necessità di risparmiare le munizioni.
Un bastone con cui le vittime venivano colpite alla testa prima di essere spinte nel forno crematorio
Foto: Mivanci shorturl.at/anxUW
Il forno crematorio
I cadaveri venivano “smaltiti” nel forno crematorio ricavato dal precedente essiccatoio dei cereali. A progettarlo, Erwin Lambert, uomo di punta delle SS che già in passato aveva realizzato le camere a gas di Sobibór, Treblinka, Hartheim e Hadamar. La Risiera di San Sabba fu l'unico lager in Italia dotato di forno. Questo venne messo in funzione la prima volta il 4 aprile 1944 e in quell'occasione vennero cremati settanta cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima presso il poligono di tiro di Opicina, sul Carso.
Ma il forno non si usava solo per cremare i cadaveri. Spesso vi venivano bruciate anche persone svenute dopo aver ricevuto un colpo in testa da parte del boia. A cremazione ultimata, le ceneri venivano caricate sui camion e svuotate nella baia di Muggia, a pochi chilometri di distanza. Alla fine della guerra, il 29 aprile, il forno crematorio e la ciminiera vennero fatti esplodere dai nazisti in fuga per cancellare le prove. Con essi andò distrutta buona parte della documentazione sull'identità delle migliaia di persone che misero piede nel lager di San Sabba.
Le microcelle di San Sabba
Foto: shorturl.at/arDOP
Il processo ai crimini della Risiera
Alla fine della guerra, Odilo Globočnik e il commissario supremo Rainer in fuga vennero catturati insieme durante la ritirata dall'VIII Armata Britannica. Il primo tentò di negare la sua identità, ma venne identificato e si suicidò il 31 maggio con una capsula di cianuro. Rainer invece venne arrestato e in seguito consegnato agli jugoslavi, che lo processarono a Lubiana nel 1947 e lo condannarono a morte.
Solo trent'anni dopo, nel febbraio del 1976 cominciò il processo ai criminali della Risiera di San Sabba. Trenta avvocati rappresentavano sessanta parti civili, mentre la sbarra degli imputati rimase vuota. Gli imputati erano già morti da tempo. L'unico sopravvissuto, Joseph Oberhauser, comandante della Risiera, venne condannato all'ergastolo in contumacia ma continuò la sua attività di birraio a Monaco di Baviera fino alla morte, occorsa nel 1979. Infatti, gli accordi fra Italia e Germania relativi all'estradizione non coprivano gli anni precedenti al 1948.
La Risiera divenne monumento nazionale nel 1965 e venne restaurata nel 1975 su progetto dell'architetto Romano Boico.
Trascrizione di un messaggio lasciato nella Risiera di San Sabba
Foto: Martina Tommasi
Se vuoi ricevere la nostra newsletter settimanale, iscriviti subito!