Riportati alla luce due nuovi scheletri nello scavo dei Casti Amanti a Pompei

In un ambiente dismesso gli archeologi hanno rinvenuto i resti ossei di due uomini di circa 55 anni: presentavano fratture multiple dovute al crollo di due pareti dell’edificio

Si aggiunge un nuovo tassello all’intricatissimo puzzle della storia dell’eruzione del Vesuvio risalente all’autunno del 79 d.C. che causò la distruzione di Pompei. Nei giorni scorsi sono stati rinvenuti gli scheletri di due individui di circa cinquantacinque anni. Questo ritrovamento, come si è premurato di comunicare il direttore del Parco archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, confermerebbe la successione degli eventi che in soli due giorni distrussero la città ai piedi del vulcano.

I due scheletri, trovati durante alcune operazioni di messa in sicurezza dell’Insula dei Casti Amanti, sono da ricondurre a due individui di età maturo-senile alla ricerca di un riparo all’interno di una casa in quel momento in disuso. Morirono a causa del crollo di due pareti dell’edificio – sud e ovest – dovuto al terremoto che accompagnò l’eruzione.

Gli scheletri dei due uomini recentemente rinvenuti nell'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Gli scheletri dei due uomini recentemente rinvenuti nell'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Foto: Parco archeologico di Pompei

Tale ritrovamento confermerebbe l’ipotesi che la catastrofe del 79 d.C. non fu causata soltanto dall’eruzione del Vesuvio, iniziata una mattina di fine ottobre con un’esplosione all’interno del cratere, ma anche da un terremoto concomitante, di cui questi due uomini furono vittime. In due secoli e mezzo di scavi, osserva il direttore sul canale Instagram del Parco, sono stati rinvenuti oltre 1300 corpi, vittime dunque non solo delle correnti piroclastiche (flussi di materiale magmatico e gas incandescente che scendono ad alta velocità da un vulcano in eruzione), ma anche del crollo di muri, tetti e solai, dovuti all’accumulo di lapilli sulle superfici e a episodi sismici. Solo di recente è stato possibile accertare l’elevata intensità e frequenza di questi fenomeni, confermata dalla recente scoperta.

Le vittime

Stando alle informazioni pubblicate sull’E-Journal degli Scavi, i due corpi scheletrizzati giacevano in due zone diverse della stanza. L’individuo uno era quasi interamente coperto da un cumulo di crollo formato da frammenti murari e di intonaco, ad eccezione della schiena, rivolta verso la parte centrale della stanza. Il corpo presentava in più parti traumi da compressione – otto fratture solo nella parte destra del torace. Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio sono stati i resti di quello che probabilmente era un involto di stoffa con gli averi dell’individuo: cinque elementi in pasta vitrea, verosimilmente residui di una collana, e sei monete di diverso valore, tutte databili all’epoca di Vespasiano, ad eccezione di un denario di epoca repubblicana, il che è perfettamente coerente con la circolazione monetale dell’ultima fase di Pompei.

Un'archeologa al lavoro su uno dei due scheletri rinvenuti recentemente nell'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Un'archeologa al lavoro su uno dei due scheletri rinvenuti recentemente nell'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Foto: Parco archeologico di Pompei

Il corpo dell’individuo due, invece, poggiava su un cumulo di pomici penetrati da una finestra lungo la parete rivolta a est ed era ricoperto da un deposito di pomici, porzioni di muratura e frammenti d'intonaco, come dimostrano le tracce di colore ritrovate sulle ossa degli arti inferiori. La parte del cranio emergente da questo cumulo era inglobata da un deposito di cenere grigia con pomici disperse, sedimentato da un flusso piroclastico. Quanto agli arti superiori, il destro appariva ripiegato mentre il sinistro flesso nel tentativo di proteggere il cranio dal crollo della parete muraria.

L’Insula dei Casti Amanti

I due individui sono dunque morti a causa del crollo rispettivamente dei muri ovest e sud dell’ambiente dove avevano cercato riparo, in cui a seguito della rimozione dei lapilli sono stati trovati anche alcuni oggetti tra cui un’anfora, una collezione di vasi e diverse ciotole. Nelle stanze adiacenti sono stati rinvenuti altri oggetti. Ne sono un esempio otto anfore scoperte in quella che doveva essere la cucina della domus, probabilmente già in disuso all’epoca del disastro di Pompei visto che sul piano del bancone è stato rinvenuto uno strato di calce. Tutta l’Insula dei Casti Amanti, un insieme di diverse abitazioni e un panificio, fu scavata a più riprese tra il 1982 e il 2005. Non ancora indagata in tutti i suoi settori, nel 79 d.C. doveva essere in corso di ristrutturazione, forse a seguito di un terremoto occorso alcuni giorni prima. L’area prende il nome dalla decorazione di un triclinio raffigurante tre banchetti, di cui uno inscena lo scambio di un bacio tra due amanti.

Affresco proveniente dall'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Affresco proveniente dall'Insula dei Casti Amanti di Pompei

Foto: Parco archeologico di Pompei

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Nuovi dati vulcanologici e sismologici

Sembra che la dinamica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fosse già nota a grandi linee agli archeologi della prima campagna di scavo condotta a Pompei nel 1748; ben poco si sapeva, tuttavia, a proposito della genesi dei flussi piroclastici. Oggi siamo in possesso di dettagli decisamente più precisi e questo ritrovamento conferma quanto già intuito da precedenti ricerche: i flussi piroclastici non furono l’unica causa di morte a Pompei, ma un numero imprecisato di abitanti aveva già perso la vita precedentemente per via dei terremoti e dei conseguenti crolli. A tutto ciò, va aggiunta la “pioggia” di lapilli che per oltre 18 ore si depositò sulle superfici aumentando il peso sui tetti e causando attività di compressione sempre più potenti.

Ciò è noto a seguito di un approccio multidisciplinare, e in particolare al contributo dell’archeosismologia, che ha consentito d'individuare una certa compatibilità tra la distruzione delle strutture murarie e gli episodi sismici connessi all’eruzione. Applicando l’analisi all’ambiente di ritrovamento dei due scheletri, la sequenza stratigrafica ha fornito una serie di indicazioni sulla successione degli eventi e dunque sul rapporto tra il collasso dell’edificio e gli effetti dell’eruzione: a una prima fase di accumulo di pomici grigie sul pavimento seguì il crollo di due porzioni murarie sulle due vittime, e solo in seguito arrivarono i primi flussi piroclastici. Le due vittime in questione morirono in definitiva in un momento intermedio tra queste due fasi ben individuate dalle moderne tecnologie di scavo.

Interno della stanza dell'Insula dei Casti Amanti in cui sono state rinvenute delle anfore

Interno della stanza dell'Insula dei Casti Amanti in cui sono state rinvenute delle anfore

Foto: Parco archeologico di Pompei

Un ritrovamento, dunque, che ha permesso di «avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita», come ha commentato il direttore Zuchtriegel, facendo luce sulla «dimensione umana della tragedia». Pompei non smette di sorprendere, illuminando i gesti di terrore e di riparo dei suoi abitanti che i terremoti e la pioggia di lapilli prima e la colata lavica poi hanno intrappolato per l’eternità. Scriveva Plinio il Giovane a Tacito in una sua lettera, ricordando l’eruzione: «convinto che io soccombevo con l’universo e l’universo con me». Così la gente di Pompei soccombeva, spaventata e impreparata di fronte alla catastrofe, proprio come i due uomini dell’Insula dei Casti Amanti.

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