Pongo, il gorilla che conquistò l'Europa

Nel 1871 lo sbarco in Inghilterra di uno dei primi esemplari vivi di gorilla suscitò la curiosità popolare e ravvivò il dibattito sull’evoluzionismo e le origini degli esseri umani

Il 29 giugno del 1871 fu visto aggirarsi nei dintorni del porto di Liverpool un giovane esemplare di gorilla maschio. Era giunto dalle coste dell’Angola con l’equipaggio di una missione esplorativa tedesca che sarebbe ripartita di lì a poco per la Germania. Da dove nascevano l’eccitazione e la curiosità che spinsero molta gente ad aggirarsi nei dintorni dell’hotel dove alloggiavano i membri della spedizione, sperando di scorgere il gorilla?

Verso la metà del XIX secolo il tema delle grandi scimmie antropomorfe era di forte attualità. La “scandalosa” idea di una stretta relazione tra scimmie ed esseri umani si faceva largo nel pensiero scientifico, alimentando un ampio dibattito e suscitando le reazioni indignate di una parte importante del mondo culturale e religioso. Se gli scimpanzé e gli orango erano ormai da tempo conosciuti in Occidente, l’esistenza dei gorilla era rimasta a lungo incerta, sospesa tra realtà e leggenda. Da molti secoli circolavano storie su scimmie di grandi dimensioni che vivevano nelle foreste dell’Africa tropicale, ma solo attorno a metà ottocento arrivarono le prime testimonianze scientifiche, con la scoperta di un teschio di un genere fino ad allora sconosciuto. Biologi e naturalisti non sapevano neppure bene come classificarlo. Di che creatura si trattava? Rappresentava forse qualche misterioso anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia?

Frontespizio di Le frontispice des Explorations and adventures in equatorial Africa, di Paul Du Chaillu. 1861

Frontespizio di Le frontispice des Explorations and adventures in equatorial Africa, di Paul Du Chaillu. 1861

Foto: Pubblico dominio

Il nome per designare questi nuovi primati venne proposto dall’esploratore statunitense Thomas S. Savage, l’autore del ritrovamento. Prese ispirazione da un termine usato dal navigatore cartaginese Annone nel V secolo per riferirsi a una popolazione interiore della Libia, i cui membri a quanto sembra erano piuttosto pelosi. Nonostante le prove scientifiche, le leggende attorno alla presunta ferocia dei gorilla sopravvissero ancora a lungo, solleticando l’immaginario popolare dell’Occidente.

Una teoria dibattuta

Per comprenderne fino in fondo la portata del grande interesse che si sviluppò attorno alle scimmie antropomorfe a metà del XIX secolo bisogna ricordare che proprio in quegli anni usciva un testo fondamentale per la collocazione dell’essere umano all’interno del mondo naturale, l’Origine della specie di Charles Darwin (1859), in cui venivano presentati i principi della teoria dell’evoluzione.

Se i creazionisti guardavano con orrore a una possibile relazione tra uomini e scimmie, va detto che questa idea non era nata con Darwin. Era stato Linneo nel 1735 il primo a inserire Homo all’interno di una classificazione naturale, ponendolo accanto agli scimpanzé e rendendolo in questo modo un animale a tutti gli effetti: «La scimmia più stupida differisce così poco dall’uomo più sapiente, che si deve ancora trovare il geodeta della natura capace di tracciare fra loro una linea di divisione».

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La teoria di Darwin, però, trasformava un problema di somiglianza in una questione di parentela e antenati comuni. Conoscere le origini degli esseri umani significava scavare nella storia della loro evoluzione, concentrandosi sullo studio dei fossili e sul confronto con gli altri primati viventi, in particolare con le grandi scimmie antropomorfe. Per questo motivo ogni nuovo avvistamento di qualche esemplare generava in quel periodo un enorme interesse nella comunità scientifica. Il gorilla sembrava essere arrivato al momento opportuno per occupare uno spazio classificatorio vuoto accanto agli esseri umani.

Oggetto di studio

Improvvisamente tutti i paesi occidentali volevano resti ossei di gorilla da studiare, classificare, esporre nei musei. Ma il grande sogno restava quello di un esemplare vivo.

Nel 1860 il celebre impresario circense P.T. Barnum organizzò nel suo museo newyorchese l’esposizione di quello che lui stesso definì «l’anello di congiunzione mancante tra l’uomo e la scimmia». Ogni giorno file di persone pagavano l’ingresso per vedere con i propri occhi quell’essere misterioso. Ma era solo una truffa, o tutt’al più una cinica operazione di marketing: il presunto uomo-scimmia era una comparsa istruita a muoversi come un gorilla e a esprimersi nel «linguaggio della giungla» – semplici grugniti senza significato.

Ritratto di Jenny, il primo gorilla ad arrivare in Europa. 1837

Ritratto di Jenny, il primo gorilla ad arrivare in Europa. 1837

Foto: Pubblico dominio

La realtà era che nessun gorilla era mai giunto in Occidente, se si eccettua il caso di Jenny, una femmina arrivata in Inghilterra a metà secolo, che tutti però avevano scambiato per una scimpanzé. Insomma, quello che sbarcò a Liverpool il 24 giugno del 1876 era di fatto il secondo gorilla ad arrivare in Europa, ma il primo ufficialmente riconosciuto come tale. E non assomigliava affatto alle belve terrificanti descritte dai primi esploratori. Era poco più di un cucciolo di neanche un metro di altezza, dotato di un’attitudine socievole e giocosa. Era giunto su una nave della Società tedesca per l’esplorazione dell’Africa occidentale, una delle varie compagnie nate in Germania in quel periodo per promuovere lo studio (e la colonizzazione) del continente africano.

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Socievole e giocoso

Il gorilla era stato offerto in dono a un medico della spedizione, Julius Falkenstein, da un commerciante portoghese che forse voleva sdebitarsi di qualche favore ricevuto. Fu battezzato Pongo, un nome non particolarmente originale: mpungu è il termine con cui alcune popolazioni del Congo indicano le scimmie di grandi dimensioni.

Foto del gorilla Pongo quando era ancora un cucciolo

Foto del gorilla Pongo quando era ancora un cucciolo

Foto: Pubblico dominio

A preoccupare i membri della spedizione era l’eventualità che il gorilla non superasse le traversata. Il viaggio via mare era lungo, e molti degli animali catturati sulle coste africane, primati in particolare, non riuscivano a sopravvivere al trauma della navigazione. Ma sembra che Pongo sulla nave se la passò piuttosto bene: aveva un letto tutto per sé, poteva muoversi liberamente e fu abituato poco a poco alla nuova alimentazione che lo attendeva nell’emisfero boreale. Il 24 giugno 1876 sbarcò a Liverpool in ottime condizione di salute. La missione tedesca decise di riposare qualche giorno in un hotel cittadino, che fu ben presto assediato da una folla di curiosi quando si sparse la voce della presenza del gorilla.

Poi la nave ripartì verso la Germania. Pongo divenne ben presto l’attrazione principale dell’acquario di Berlino, che a dispetto del nome aveva anche un’ampia sezione di animali terrestri. Alcuni giornali arrivarono a definirlo il «più popolare abitante della capitale tedesca». Naturalmente, continuava a non manifestare nessuna di quelle caratteristiche di ferocia che l’immaginario popolare gli attribuiva. Anzi, ad attirare le lunghe file di spettatori ansiosi di ammirarlo erano proprio i suoi lati più “umani”, il suo comportamento sociale e la sua capacità di interazione. Pongo sviluppò delle amicizie importanti, prima con Tschego, una femmina di scimpanzé che ben presto morì di tubercolosi, e poi con un cagnolino di nome Flock, con cui giocava nella sua gabbia per lo stupore dei visitatori.

Vignetta satirica inglese degli anni in cui Pongo visse in Europa

Vignetta satirica inglese degli anni in cui Pongo visse in Europa

Foto: By Etzagots - Own work, CC BY-SA 3.0, https://bit.ly/39bNx6C

Una caccia spietata

Ormai era chiaro che i gorilla non rappresentavano più una semplice figura dell’alterità – un’esemplificazione della cieca violenza del regno animale – ma erano ormai diventati un riflesso della posizione sempre più decentrata dell’uomo nell’ordine cosmico. Ora la domanda che ci si poneva di fronte a loro era: quanto sono simili a noi? Dove passa il confine tra umani e scimmie antropomorfe? Dopo un breve soggiorno al Royal Aquarium di Londra, Pongo rientrò a Berlino nel novembre 1877, e improvvisamente morì, forse per un’infiammazione intestinale, o più probabilmente di tubercolosi.

Sfortunatamente per i gorilla, l’interesse nei loro confronti non finì con Pongo. I tentativi sempre più accaniti di procurarsi esemplari per la ricerca o per gli zoo condussero a una sistematica riduzione della popolazione di questi primati africani. Altri fattori di origine umana, come la deforestazione, le nuove malattie, il commercio illegale, si aggiunsero negli anni successivi, spingendo sempre più i gorilla verso il baratro dell’estinzione.

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