«Chi non dovevi, uccidesti; e ora, quello che non dovresti patire, patisci [...] Io non ho altro premio di questa vittoria che una triste sozzura». Sembra chiudersi in questo modo l’amara vicenda della famiglia degli Atridi: a parlare è Oreste, figlio di Agamennone e di Clitennestra, tornato dall’esilio con Pilade, il caro amico, per vendicare la morte del padre, ucciso barbaramente dalla madre e dall’amante di lei, Egisto. Allontanato da casa da piccolo, per volere dell’oracolo di Apollo s’incammina ormai adulto verso l’Argo natale, dove ritrova la nutrice e la sorella Elettra, altra protagonista di quest’immenso dramma famigliare raccontato da molti tragediografi, scrittori, filosofi e artisti.
Oreste ed Elettra s'incontrano presso la tomba del padre Agamennone dopo molti anni di separazione
Foto: Cordon Press
Una tragedia famigliare
La scia di sangue degli Atridi inizia ben prima di Oreste: l’intera stirpe di Agamennone, il prode e arrogante capo degli achei, è macchiata dalla colpa o dalla morte. I figli non potranno sottrarsi a tale destino. Ifigenia, chiamata ad Aulide con l’inganno, muore sacrificata sull’altare di Artemide perché le navi dirette a Troia possano salpare – secondo un’altra versione, narrata anche da Euripide, la dea la salva, facendone una sacerdotessa. Oreste ed Elettra crescono ad Argo, ma alla morte di Agamennone dopo il suo ritorno da Troia Oreste viene mandato via. Di tutti i figli di Clitennestra rimangono Elettra e Crisotemi, o rimane solo Elettra. Il mito, si sa, è una variante infinita di possibilità, che si concede a ogni singolo autore nella sua limpidezza e forza.
Tuttavia, nel nucleo della tragedia sono tre i protagonisti: Clitennestra, Oreste ed Elettra. Clitennestra ha assassinato il marito per vendicare Ifigenia, Oreste ed Elettra si alleano per sopprimere la madre ed Egisto. Odio, vendetta e rimorso sono gli ingredienti di una delle più affascinanti trame mitiche dell’antica Grecia. Il rosso del sangue e il nero dell’odio sono i colori dell’arazzo di ogni riscrittura, da Stesicoro a Eschilo, da Sofocle a Euripide, da Seneca a von Hofmannsthal, da Alfieri a Voltaire, da D’Annunzio e Sartre a Yourcenar. Eppure ogni arazzo ha orditi diversi, e alcuni di loro lasciano intravedere anche la libertà individuale e la giustizia.
Oreste uccide Egisto e Clitemnestra. Bernardino Mei, 1654
Foto: Pubblico dominio
Elettra e Oreste nei grandi tragediografi
Se la vendetta di Oreste quasi non compare nei poemi omerici, il primo a raccontarla è, molto probabilmente, il poeta lirico Stesicoro tra la fine del VII secolo a.C. e gli inizi del VI secolo. Delinea lui le basi della vicenda, poi ripresa e portata alla fama dai tre grandi tragediografi Eschilo, Sofocle ed Euripide. Nel 458 a.C. Eschilo dedica un intero ciclo agli Atridi, l’Orestea, composta da Agamennone, Coefore ed Eumenidi. Gli seguono Sofocle, con un’indimenticabile Elettra, ed Euripide, che nel 413 a.C. ca. porta in scena l’Elettra e nel 408 a.C. l’Oreste.
Ognuno di loro modula i caratteri e le azioni dei protagonisti, soprattutto dei due fratelli. In Eschilo Oreste, spinto dal dio Apollo e dall’ira di Elettra, uccide la madre ed Egisto, ma subito viene perseguitato dalle Erinni, terribili divinità ctonie dalla chioma di serpente. I tre mostri l'assillano, l'inseguono, non gli danno scampo finché un tribunale umano, voluto dalla dea Atena, l’assolve dal terribile crimine. Se Oreste è scisso tra la legittima vendetta e il senso di colpa, rappresentato proprio dalle Erinni, Elettra è animata da un odio primitivo, che la porta ad amare visceralmente il padre, di cui però riconosce la colpa per la morte d’Ifigenia.
In Sofocle Elettra è un personaggio sofferente, addolorato, che giustifica pure il sacrificio della sorella. Figura inflessibile, simile ad Antigone seppur diversa nei motivi che la lasciano in vita, si nutre del rimpianto ed è disposta a tutto pur di vedere morta la madre. Come Sofocle, Euripide si concentra più sulla figura – nel suo caso, sulla psicologia – di questa sorella emarginata, che ha dovuto perfino rinunciare allo status di principessa perché la madre l’ha data in sposa ad Auturgo, miceneo di nobili origini ma caduto in disgrazia. Elettra e Auturgo sono ormai contadini, poveri, esclusi. Al motivo della morte di Agamennone, Euripide aggiunge il rancore per la perdita dei privilegi degni della figlia di un re.
'Elettra sulla tomba di Agamennone'. Quadro di Frederic Leighton, 1869, collezione privata
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Nelle opere di Sofocle e di Euripide, il vero motore dell’azione e della vendetta è la giovane Elettra, che in Euripide ordisce perfino un tranello per ingannare la madre. Non a caso a queste due opere ispireranno, tra le altre, l’omonima tragedia di von Hofmannsthal (1901-1903) ed Elettra o la caduta delle maschere (1954) di Marguerite Yourcenar. E, sempre non a caso, in riferimento a questa figlia così rancorosa verso la madre e fin troppo legata al padre viene accennato da Freud, e poi ripreso da Jung, un complesso psicanalitico, detto appunto "di Elettra". Secondo tali letture, se un altro grande eroe mitico, Edipo, è in competizione con il padre per ottenere l’affetto della madre, Elettra vede nella madre una rivale per il possesso del genitore maschio.
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La libertà e la giustizia
Tornando però alle radici del mito, forse maggiori spunti di riflessione giungono dalla trilogia di Eschilo, il quale si appoggia anche a una realtà storica per dare una conclusione razionale al concatenarsi delle colpe degli Atridi. La figura di Oreste rispecchia un profondo dilemma umano: fin dove si spinge la libertà d’azione? Vero, Oreste ha ricevuto dall’oracolo l’ordine di vendicare la morte del padre, ma può opporsi, appellandosi al legame con la madre. Eccolo quindi vittima delle Erinni, che nel loro aspetto terrificante e nel linguaggio balbuziente sono il continuo ricordo del senso di colpa. Oreste deve espiare il crimine di cui si è macchiato, dev'essere punito. E a tale scopo Eschilo introduce un elemento storico, un’istituzione realmente esistita, l’Areopago. Nelle Eumenidi, infatti, Oreste viene a sapere a Delfi che dovrà recarsi ad Atene per essere sottoposto a regolare processo. A sovrintenderlo è la dea Atene e per difendere Oreste parlerà Apollo, ma a giudicare il ragazzo saranno degli uomini, dodici, i più giusti della città.
Il rimorso di Oreste, o Oreste perseguitato dalle Furie, olio su tela di William-Adolphe Bouguereau, 1862. Chrysler Museum of Art di Norfolk in Virginia
Fonte: Pubblico dominio
Come afferma la dea, «io sceglierò per gli omicidi giudici giurati e fonderò un istituto di giustizia che resterà saldo per sempre». Tale consesso ricorda proprio l’Areopago, il più antico tribunale di Atene, di cui nel 462-461 a.C. il politico Efialte limitò le funzioni, facendo in modo che si occupasse solo delle questioni di sangue. Come quella di Oreste, appunto. Le Eumenidi diviene allora la rappresentazione di un vero e proprio atto giuridico, che legittima la democrazia. Difatti metà dei dodici uomini ritiene Oreste colpevole, metà no. A porre la parola fine interviene Atena, che assolve definitivamente Oreste.
Il fondamento della sua scelta, agli occhi moderni, può apparire discutibile, giacché Atena ritiene che sia più importante il legame con il padre di quello con la madre, già definita da Apollo soltanto «la nutrice del feto appena in lei seminato». Al di là dei motivi che scagionano Oreste, è interessante osservare come la giustizia non sia più affidata alla vendetta privata, bensì alla decisione assennata e razionale di un gruppo di uomini. Per quanto gli dèi siano presenti come garanti, sembra che ormai il limite alla libertà individuale risieda nelle mani della giustizia umana e collettiva. E difatti poi Atena trasforma le Eumenidi in figure positive, non più rappresentanti di un mondo arcaico, ma divinità sagge celebrate dalla città.
Giustizia è fatta. Rimane, però, l’assillante domanda: fin dove può spingersi la libertà d’azione? Sarà la letteratura contemporanea a chiederselo nuovamente. Nelle Mosche (1943) Sartre immagina che, al posto delle Erinni, siano questi insetti a perseguitare gli abitanti di Argo, non solo Elettra ed Oreste. Nonostante il rimorso, Oreste compie il fatale gesto, ma per lui non vi è assoluzione. Scrive Sartre, «dovrà caricarsi il proprio delitto sulle spalle [...] La libertà non è un potere astratto di sorvolare la condizione umana: è il più assurdo e inesorabile degli impegni». Ognuno di noi, che sia Atride o meno, dovrà rispondere in eterno di ogni piccola azione. E forse sentirà sibilare alle proprie spalle i serpenti delle mostruose Erinni.
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