Nut e Geb: cielo e terra amanti nell'antico Egitto

La dea del cielo Nut e il dio della terra Geb erano un tempo uniti in un eterno abbraccio, l’uno era parte dell’altra. Essi erano fratelli, sposi e amanti. Quando vennero divisi era ormai troppo tardi: Nut era incinta del suo amato Geb. Assieme, i due generarono gli dei più famosi del pantheon egizio

 

 

 

Secondo la cosmogonia – il mito che narra della creazione dell’universo – della città di Heliopolis, il dio Shu e la dea Tefnut furono le prime divinità in assoluto. Dei dell'aria e dell'atmosfera venivano rappresentati rispettivamente sotto forma di uomo con una piuma sul capo e con il corpo di donna e testa di leonessa. I loro figli erano il cielo e la terra. La dea del cielo Nut, aveva forma di donna con indosso un aderente abito lungo fino alle caviglie – tipico delle divinità femminili – ma a volte veniva rappresentata completamente nuda con il corpo blu cosparso di stelle; il dio della terra Geb aveva invece le fattezze di un uomo con la pelle di colore verde che poteva essere decorata con disegni di piante. Sul capo indossava la Corona Rossa del Basso Egitto, il Nord del paese, oppure poteva sfoggiare l’immagine di un’oca, il geroglifico del suo nome.

Papiro funerario di Djedkhonsouefankh in cui sono rappresentati il dio della terra Geb, la dea del cielo Nut e il dio dell’atmosfera Shu. XXI dinastia (1069-945 a.C. circa)

Papiro funerario di Djedkhonsouefankh in cui sono rappresentati il dio della terra Geb, la dea del cielo Nut e il dio dell’atmosfera Shu. XXI dinastia (1069-945 a.C. circa)

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Geb e Nut un tempo erano uniti in un eterno abbraccio, l’uno era parte dell’altra. Essi erano fratelli, sposi e amanti. Nella sua opera Iside e Osiride lo storico greco Plutarco narrò, tra le tante storie, anche le vicende di queste due divinità. I testi egizi che parlano di loro invece sono pochi e frammentari ma ci permettono di capire che il racconto di Plutarco si attiene fedelmente alla tradizione egizia.

I due amanti, uniti in un eterno amplesso, erano così strettamente avvinghiati da non lasciare spazio tra loro. Per lasciare che tra loro si generasse la vita, era quindi necessario dividerne i corpi. Fu così che il loro padre Shu sollevò Nut separandola per sempre dal suo amato Geb. Il mito era così popolare che di queste tre divinità – del cielo, dell'aria e della terra – ci sono giunte diverse rappresentazioni particolari. Molte di esse mostrano Geb, il dio della terra, sdraiato su di un fianco mentre si sostiene il capo con una mano; Shu, al centro della scena, poggia i piedi sopra di lui e con le braccia alzate tiene in alto la figlia Nut che, arcuata, tocca la terra con la punta delle dita delle mani a ovest e con quelle dei piedi a est. In questo modo il mondo assume la sua forma definitiva: il cielo in alto, l’aria al centro e la terra in basso. La dea Nut, posta ad arco sulla terra, assume le fattezze di un ponte nel cielo. Secondo alcuni studiosi, la dea avrebbe originariamente rappresentato la via lattea, che iconograficamente si avvicina molto all’immagine di uno stretto passaggio, di un “ ponte” appunto, che si apre la via in mezzo al cielo ed è colmo di stelle.

Dettaglio del sarcofago di Nespawershepi, capo degli scribi del tempio di Amon. Il dio dell'aria Shu separa la dea del cielo Nut dal dio della terra Geb. Tebe ovest. XXI dinastia. 984 a.C. circa

Dettaglio del sarcofago di Nespawershepi, capo degli scribi del tempio di Amon. Il dio dell'aria Shu separa la dea del cielo Nut dal dio della terra Geb. Tebe ovest. XXI dinastia. 984 a.C. circa

Foto: Werner Forman Archive/Fitzwillia

La maledizione del dio Ra

Separata dal suo amato Geb, Nut portava però in grembo il frutto del loro amore. Il distacco era avvenuto troppo tardi e il «cielo era gravido» come scrivono i testi egizi; Nut doveva partorire. Il seguito della storia si trova solo nella versione di Plutarco e non nei testi egizi. Il dio sole Ra, rappresentato sotto forma di uomo dalla testa di falco sormontata dal disco solare e dall’ureo – il serpente simbolo di regalità che i faraoni sfoggiavano sulla fronte – lanciò contro Nut una maledizione che le avrebbe impedito di partorire durante i 360 giorni che formavano l'anno lunare. Il motivo del comportamento del dio del sole si è perso nelle brume del tempo e i testi non riportano le ragioni di tale comportamento.

Sia come sia, qualunque sia stato il movente del dio Ra, la dea cercò aiuto e lo trovò in Thot, il dio dalla testa di ibis. Questi si rivelò un potente alleato che la tirò fuori dai guai grazie a un astuto stratagemma: andò da Iah, il dio della luna e patrono del tempo, rappresentato come un uomo con il disco e il crescente lunare sul capo, e lo sfidò ad una partita a dama. Se Thot avesse vinto, Iah avrebbe dovuto donargli un po' della sua luce. Fu così che quando il dio dalla testa di ibis pose fine alla partita battendo l'avversario, ottenne luce sufficiente per illuminare il mondo per cinque giorni, che pose alla fine dell'anno, facendolo diventare più lungo. In quell'arco di tempo, la dea Nut, libera dalla maledizione di Ra, poteva finalmente partorire. Gli egizi impiegarono questo stratagemma per spiegare il passaggio dal calendario lunare a quello di 365 giorni, usato ancora oggi.

In questa illustrazione il corpo di Nut è trapunto di stelle; quello di Geb colmo di arbusti e vegetazione

In questa illustrazione il corpo di Nut è trapunto di stelle; quello di Geb colmo di arbusti e vegetazione

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

In questa illustrazione il corpo di Nut è trapunto di stelle; quello di Geb colmo di arbusti e vegetazione

 

 

 

Ma l'astuzia di Thot ebbe anche dei risvolti negativi: questi nuovi giorni furono chiamati i “giorni in più” ed erano considerati pericolosi poiché le divinità che vi nacquero perturbarono con le loro battaglie la quiete degli dei più antichi, tanto che furono chiamati anche “figli del disordine”. Eppure i loro nomi sono tra i più conosciuti e amati del pantheon egizio: con il loro amplesso Geb e Nut generarono Osiride, Iside, Seth e Nefti. È sempre Plutarco a raccontare di come "con questa luce mise insieme cinque giorni, e li intercalò all'anno di trecentosessanta giorni. Anche ai nostri giorni gli Egiziani li chiamano «intercalari» e li festeggiano come genetliaco degli dèi. Il primo giorno nacque Osiride, e insieme a lui uscì dal ventre della madre una voce che diceva: «Ecco, il signore di tutte le cose viene alla luce»".

Nel capitolo 175 del Libro dei Morti invece Atum, il dio demiurgo – creatore dell’universo –, si lamenta con Thot :«Oh Thot, che cosa bisogna fare con i figli di Nut? Essi hanno fomentato la guerra, suscitate le contese, hanno massacrato, hanno imprigionato, insomma hanno abbassato tutto ciò che era grande, in tutto ciò che io ho creato». In effetti i figli di Nut, con le loro contese e rivendicazioni, posero fine alla pace che era stata stabilità dall’inizio dei tempi. I loro scontri sarebbero culminati nella morte di una divinità: Osiride, che sarebbe divenuto il dio dell'oltretomba. Ma questa è un'altra storia…

Antica tavola astronomica egizia riportata nel II vol. di 'Description de l'Égypte' (1809-1829). L'opera racconta le scoperte della spedizione militare e scientifica del 1798 condotta in Egitto da Napoleone Bonaparte

Antica tavola astronomica egizia riportata nel II vol. di 'Description de l'Égypte' (1809-1829). L'opera racconta le scoperte della spedizione militare e scientifica del 1798 condotta in Egitto da Napoleone Bonaparte

Foto: Historica Graphica Collection / Cordon Press

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