Il 21 ottobre del 1600 ebbe luogo una sanguinosa battaglia nella piana di Sekigahara, che portò alla vittoria assoluta di una delle due fazioni, la famiglia Tokugawa. Il vincitore Ieyasu si fece incoronare shogun dall’imperatore tre anni dopo e i suoi successori governarono il Giappone per quasi tre secoli, dando vita al periodo Edo (1603-1867), chiamato così dal nome della nuova capitale, l’odierna Tokyo. Sulle rovine della società feudale i nuovi governatori instaurarono un regime che assicurò al Giappone una lunga epoca di pace, ma a costo di un completo isolamento culturale e politico dal resto del mondo. Il periodo Edo segnò anche l’inizio di un profondo cambiamento nell’arte e nel modo di vestire: l’abito tradizionale, il kosode, un predecessore del kimono, fu introdotto in quest’epoca e sarà indossato fino alla Seconda guerra mondiale.
Donne in pellegrinaggio a Enoshima, dove si trova un santuario dedicato a Benzaiten, dea della musica. Xilografia di Torii Kiyonaga, 1789 circa
Foto: Bridgeman/ Index
Dalla fine del XV secolo i Giapponesi portavano il kosode, che era formato da una tunica aperta a forma di T che si allacciava alla vita con una cintura. Derivato da un’antichissima sottoveste che si usava nel periodo Heian (794-1185), il kosodeaveva lo stesso taglio per uomini e donne. Le donne dei samurai adottarono il semplice kosode nel periodo Kamakura (1185-1333) come abito principale, accorciandone le maniche. Questo abbigliamento divenne lo standard per le donne a partire dal periodo Muromachi (1333-1587) e verso la fine di questa epoca tutte le classi sociali indossavano il kosodecome abbigliamento esterno principale.
Le leggi sull’abbigliamento
All’inizio del periodo Edo gli abiti subirono importanti mutamenti e il kosode acquistò importanza e bellezza come abito femminile. Con il passare del tempo si affinarono le tecniche di tintura e di decorazione, sia a colore sia con ricami, portando notevoli risultati di raffinatezza e grazia. Iniziarono a differenziarsi i motivi ornamentali degli abiti tra uomini e donne. Le decorazioni erano sempre più colorare e vistose sugli abiti femminili e piccole semplici su quelli maschili. Nel periodo Edo il kosode divenne sempre più popolare e le mode iniziarono a essere influenzate dagli stili elaborati di cortigiani, intrattenitori e attori di Kabuki, una delle principali forme drammatiche giapponesi a partire dal XVII secolo. Pertanto, lo shogunato promulgò una serie di leggi suntuarie che stabilivano quali abiti fossero appropriati per ciascun ceto sociale e in quali occasioni.
Con il passare del tempo si affinarono le tecniche di colorazione e ricamo
I vestiti lussuosi erano riservati all’aristocrazia, la seta non era concessa alle classi meno agiate, soprattutto ai contadini, e il loro uso da parte di dame di rango inferiore era punito severamente. Lo scrittore giapponese Mitsui Takafusa (1684-1748), in un testo del 1728, dedicato alla classe mercantile, narra che agli inizi del secolo la moglie di un ricco commerciante di nome Ishikawa che viveva a Edo, disattendendo le norme che proibivano ai mercanti gli eccessi nell’abbigliamento, indossò vestiti di lusso. Un giorno, «incontrò lungo la strada il principe che credendo che la donna fosse la moglie di un daimyo, cioè un appartenente a qualche famiglia di alto rango, si rivolse gentilmente ai suoi servitori; scoprì però che ella era solo la moglie di un mercante. Tornato al suo palazzo, il principe fece convocare Ishikawa e la moglie; il magistrato punì la scandalosa stravaganza della donna espropriando i coniugi dei loro beni ed esiliandoli dalla città».
Attore vestito come un samurai. Incisione di Utagawa Kunisada, XIX secolo
Foto: Bridgeman / Index
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Geisha e samurai
Legata alle mode degli abiti era soprattutto la geisha, che letteralmente significa “artista” e che identifica una donna esperta nella danza, nel canto e nell’arte dell’intrattenimento degli uomini giapponesi, ai quali serviva il tè e con i quali conversava durante cene o feste. Questo ruolo di cortigiana, che in passato era in realtà assunto da uomini, si affermò intorno alla fine del XVII secolo, nel periodo Edo; quando il secondo shogun di quest’epoca legalizzò la prostituzione le geisha furono spesso confuse con le prostitute, chiamate geiko a Kyoto, poiché abitavano nei quartieri del piacere delle grandi città. Nel XIX secolo però, con il sorgere delle case da tè e delle case chiuse, le due figure si differenziarono.
Le geisha conservavano gelosamente i segreti del loro mestiere e degli abiti tradizionali. Queste vestivano inizialmente in maniera più sontuosa ed erano loro a creare le tendenze. Alla fine del periodo Edo molte donne giapponesi del Paese tentarono di emulare gli abiti sfarzosi delle geisha, spesso riprodotti in stampe; in occasioni importanti queste artiste indossavano un abito simile al kimono, chiamato susohiki o hikizuri, il quale aveva l’orlo leggermente imbottito in modo da ricadere a terra elegantemente e creare uno strascico. Questi vestiti avevano poi motivi inusuali, che si differenziavano dalle solite peonie e fiori di pruno che abbondano sui kimono delle altre donne. La differenza, però, era soprattutto nel modo di indossare questi abiti: la geisha tirava indietro il colletto del kimonofino a scoprire tutta la nuca, poiché questa parte del corpo era considerata un punto focale dell’erotismo giapponese. Sempre per perseguire questo intento di mostrare la nuca, nel periodo Edo nacquero inoltre acconciature molto seducenti, elaborate con spilloni, nastri, fiori e pendenti e identificate con un nome.
Foto: Bridgeman / Index
Per quanto riguarda gli uomini, il personaggio più caratteristico dell’epoca era il samurai. Oltre al codice di condotta, chiamato bushido, erano rigidamente stabiliti anche gli abiti di questi guerrieri, erano composti da due parti principali: ampi pantaloni, detti hakama, un gilet con le spalle molto larghe, denominato kataginu, e una giacca leggera di seta, chiamata haori, indossata anche sopra il kimono per proteggerlo. Questo completo era conosciuto all’epoca come kamishimo ed era decorato con motivi piccoli e sobri in modo da renderlo poco appariscente. Nell’abito maschile era anche ricamato lo stemma familiare, detto kamon, che indicava il rango di colui che indossava il kamishimo e compariva in genere nella bandiera e nell’armatura, per distinguere la propria famiglia dalle altre. Di cotone o di seta, l’abito di un samurai non era completo senza la katana, la lunga spada della classe guerriera.
Inoltre, nel periodo Edo i samurai portavano un’acconciatura chiamata chonmage, che originariamente manteneva la stabilità dell’elmo in battaglia. Consisteva in un taglio che faceva risaltare la fronte rasata e i capelli rimanenti, che venivano unti, erano raccolti in una coda molto alta che ripiegata formava un ciuffo cadente.
Abiti di carta per i contadini
I Giapponesi appartenenti alle classi inferiori erano invece, secondo le norme, soggetti a restrizioni sugli indumenti. Poiché era vietato utilizzare tessuti lussuosi per i loro abiti, vi erano zone del Paese nelle quali gli abitanti possedevano solo un abito di canapa per l’estate e un altro di carta per l’inverno. Sebbene oggi ci sembri sorprendente, gli abiti di carta, washi in giapponese, erano di uso comune e si estesero in tutto il Paese alla fine del periodo Edo. Erano infatti leggeri, lavabili, abbastanza resistenti e più caldi dei vestiti in cotone.
Furono fabbricati fino alla Seconda guerra mondiale e ancora oggi esistono alcuni artigiani che li producono. I contadini ricorsero anche a materiali poveri, meno elaborati, come i giunchi e la paglia, con la quale si realizzavano i tipici mantelli per ripararsi dalla pioggia, chiamati mino.