Intorno al 1416 Herman, Paul e Johan Limbourg, tre fratelli artisti olandesi, illustrarono per il ricco e stravagante Giovanni de Valois duca di Berry e fratello del re Carlo V di Francia, un “libro delle ore” (ovvero, una raccolta di preghiere e testi sacri che scandiscono i vari giorni dell’anno). L’opera rimase incompiuta a causa della loro prematura morte, forse per un'epidemia di peste. Decenni dopo vi misero mano prima un artista la cui identità è incerta (potrebbe trattarsi del fiammingo Barthélemy van Eyck) e poi ancora il francese Jean Colombe. Il codice, o libro rilegato, conosciuto con il nome Le Très Riches Heures del Duca di Berry, si compone di 206 fogli con più di un centinaio di miniature, tra cui una serie dedicata ai mesi con le attività cortesi e rurali del tempo.Le Très Riches Heures è uno dei più famosi e begli esempi di libri miniati del Gotico internazionale (fine XIV secolo – metà XV secolo circa).
La miniatura, infatti, è una delle arti maggiormente rappresentativa del Medioevo occidentale. Non si tratta però un’invenzione medievale: già gli antichi egizi decoravano con disegni colorati i papiri con le iscrizioni che dovevano accompagnare il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. Poco documentata nell’età greca e romana, la miniatura fiorì dall’età tardoantica raggiungendo nel Medioevo la sua epoca di massimo splendore. Il termine miniatura deriva dal latino minium (minio), un particolare pigmento rosso a base di ossido di piombo usato inizialmente per delineare le iniziali delle pagine – i cosiddetti “capilettera”. Per estensione, poi, è stato adoperato per indicare in generale le raffigurazioni dei codici medievali e rinascimentali. Il termine viene oggi adoperato anche per indicare oggetti di piccole dimensioni.

'D' iniziale in un salterio francese. John Paul Getty Museum, Los Angeles
Foto: Pubblico dominio'D' iniziale in un salterio francese. John Paul Getty Museum, Los Angeles
Le tecniche illustrative consistevano in disegni a penna, colori ad acquarello e a tempera solitamente su papiro, o più diffusamente su pergamena o anche carta. Le miniature rappresentavano illustrazioni all’interno del testo, sui bordi o nell’intera pagina, come nel caso dei mesi del libro del Duca di Berry. Potevano anche limitarsi a decori ornamentali a margine del foglio oppure a singole lettere del testo, riccamente decorate. Soprattutto nel primo Medioevo, queste minuscole opere d'arte erano eseguite da monaci specializzati che lavoravano nello scriptorium, una sala del monastero adibita alla creazione del libro. Il miniatore era solo uno degli addetti alla creazione del testo. Nello scriptorium, infatti, lavoravano anche i copisti (che si occupavano appunto di copiare il testo), i rubricatori (che evidenziavano in rosso alcune parti fondamentali del testo) e i rilegatori, solo per citarne alcuni.
Dai primi del VII secolo si diffuse particolarmente la miniatura irlandese, promossa da monaci di cultura iberno-sassone. I monasteri più importanti si trovavano nelle località di Durrow, Lindisfarne e Kells ed erano certamente attivi tra il 680 il IX secolo. I miniatori irlandesi giunsero anche in Italia, lasciando traccia della loro produzione in opere come i vangeli di San Colombano a Bobbio. In quest’abbazia, infatti, fin dal VII secolo esisteva uno scriptorium improntato sulla regola del santo, la quale dava grande importanza allo studio e alle lettere. Quando vi giunsero gli irlandesi, oltre a introdurre alcune novità per le parti scritte, avviarono i miniatori locali all’arte insulare. Si tratta di uno stile tipico delle isole britanniche del tempo e, nello specifico della miniatura, si caratterizza, per esempio, in decori molto ricchi e intricati o con le cosiddette “pagine tappeto”, ovvero dei fogli completamente decorati con motivi geometrici, animali o fitoformi.

Très riches heures du Duc de Berry: miniatura dell'Uomo Anatomico con la fascia dei segni zodiacali. 1412-1416. Musée Condé, Chantilly
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Fu però in età carolingia che si riconobbe l’importanza del libro miniato per la propagazione della cultura e l’organizzazione dell’impero (attraverso i libri potevano circolare maggiormente le leggi, per esempio): la maggiore diffusione della miniatura fu uno degli elementi caratteristici della rinascita carolingia, il periodo compreso tra l’VIII e il IX secolo di sviluppo socio-culturale. Carlo Magno, infatti, promosse e incrementò gli scriptoria annessi ai palazzi imperiali e nei monasteri. Qui venivano prodotte opere di grande bellezza e vivacità, come i Vangeli di Ebbone, eseguiti nell’abbazia di Hautvilliers prima dell’823, ma ispirate a modelli del II e III secolo: le figure appaiono monumentali e cariche di forte tensione emotiva.
Se ancora alla fine del romanico (metà XII secolo), la miniatura era utilizzata quasi esclusivamente per illustrare i testi sacri (inizialmente i vangeli, poi anche testi teologici e agiografici) e quasi tutti i miniatori erano monaci, dall’età gotica, la miniatura interessò anche artisti laici – come i fratelli Limbourg – e accanto ai temi religiosi, si diffuse un’ampia varietà di soggetti, legati al gusto della committenza. Si trovavano, per esempio, scene di corte o motivi vegetali. In alcuni casi i disegni avevano una funzione prettamente decorativa, in altri erano strettamente collegati al testo, perché ne illustravano e chiarivano i contenuti.
Con la scoperta della stampa (1450) l’arte delle miniature si avviò verso una parabola discendente: il libro stampato, infatti, permetteva di ottenere immagini a costi più economici, trasformandosi progressivamente in un elemento decorativo di lusso che sopravvive ancora oggi nel mondo del collezionismo.
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