Chiamato il “Cavalier calabrese” per i titoli onorifici che ottenne e perché nato a Taverna di Catanzaro il 24 febbraio 1613, Mattia Preti può essere considerato uno dei migliori caravaggisti del panorama artistico seicentesco. Figlio di Cesare e di Innocenza Schipani, dalla quale aveva ereditato vaghe ascendenze nobiliari, ebbe cinque tra fratelli e sorelle di cui uno, Gregorio, si dedicò anch’egli alla pittura. La sua prima formazione avvenne in Calabria, dunque in un contesto periferico rispetto alla vivacità dei centri culturali del tempo. Anche se non ci sono notizie certe della sua prima formazione, si sa che ebbe una solida educazione umanistica. Fondamentale fu però il trasferimento a Roma avvenuto forse nel 1630.

Autoritratto di Mattia Preti. Dettaglio del dipinto 'Predica di San Giovanni Battista'. Chiesa di San Domenico, Taverna
Foto: Pubblico dominio
Nella città capitolina ebbe modo di entrare in contatto con la pittura di Caravaggio, la cui influenza fu determinante nella costituzione del suo stile. Mattia riuscì rapidamente a farsi notare negli ambienti sia nobiliari (come per esempio dalla potente famiglia Pamphilj) sia ecclesiastici romani. Per esempio, tra il 1645 e il 1646 realizzò una tela sulla crocifissione di San Pietro per conto di una marchesa romana che l’espose insieme a un’opera di Guido Reni. Inoltre nel 1642 ottenne da Urbano VIII il titolo di cavaliere di obbedienza dell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Dopo alcuni viaggi nel nord e centro Italia dove ebbe modo, tra l’altro, di studiare il colorismo veneto, rientrò a Roma. Nel 1650 entrò nella congregazione dei virtuosi al Pantheon, un prestigioso sodalizio intellettuale dove hanno gravitato anche artisti come Borromini, Velázquez e Canova. Dopo un soggiorno a Modena presso Alfonso I d’Este, dove eseguì alcuni lavori del duomo, oggi perduti, realizzò la sua ultima grande commissione pubblica romana, presso la chiesa di San Carlo ai Cantinari insieme al fratello. Poi lasciò definitivamente la città per trasferirsi a Napoli, dove entrò in contatto con Luca Giordano, uno dei maggiori artisti partenopei del tempo. A Napoli iniziò a lavorare per la chiesa di San Domenico Soriano, luogo di culto dei calabresi in città, dove affrescò delle immagini di San Nicola.
Nel 1656 un'epidemia di peste divampò a Napoli. Al termine della piaga, per celebrarne la fine alcuni parenti che vivevano in città gli commissionarono una pala d’altare raffigurante la Madonna di Costantinopoli. Sempre per lo stesso motivo, il consiglio degli eletti, un organo cittadino, gli ordinò di affrescare le sette porte cittadine. Di queste opere rimane solo un affresco, quello relativo alla porta di San Gennaro, oltre a due bozzetti conservati al museo di Capodimonte.

Concattedrale di San Giovanni, a La Valletta. Alcune scene della vita del santo furono dipinte da Mattia Preti
Foto: Peter Thompson / Heritage ImagesConcattedrale di San Giovanni, a La Valletta. Alcune scene della vita del santo furono dipinte da Mattia Preti
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Dal 1658 iniziarono i rapporti con Malta: Martin de Redin, gran maestro dell’ordine di Malta, tramite alcuni esponenti del sodalizio a Napoli, chiese a Mattia Preti l’esecuzione di una tela raffigurante San Francesco Saverio da collocare in una cappella della Concattedrale della Valletta. Seguirono altre commissioni e la richiesta di Preti, circa un anno dopo, di essere nominato cavaliere dell’ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Ottenuta l’investitura l'artista decise di abbandonare l’Italia e trasferirsi a Malta, dopo aver ricevuto l’incarico di affrescare la volta della chiesa di San Giovanni nella Valletta. Secondo alcuni studi, sull’isola avrebbe realizzato circa 400 opere tra pubbliche e private, molte delle quali spedite in Italia, come per esempio un quadro raffigurante Sant'Ignazio di Loyola in gloria a Siena. Inviò molte opere anche a Taverna. In verità, anche se fu sempre in giro per la penisola, mantenne sempre un profondo legame con la sua città natale, tanto che lo storico dell’arte John Spike ha sottolineato che «non ci sono esempi paragonabili di pittori che abbiano voluto creare la memoria di sé stessi nel loro luogo natale». Ad ogni modo, la grande peculiarità del periodo maltese fu il riuscire a unire i modi barocchi con la cultura artistica del posto. La grande mole di opere realizzate in questo periodo si spiegherebbe grazie alla creazione di una grossa bottega di collaboratori e aiuti, tra i quali spiccava anche una donna, la carmelitana terziaria Maria de Dominici. Oramai anziano, Mattia Preti vendette un proprio autoritratto a Ferdinando de’ Medici, che lo donò a Cosimo III. Morì a Malta il 3 gennaio 1699. Le sue spoglie riposano nella Concattedrale che anni prima aveva accolto la sua opera.