Era il 2 febbraio 1502: una ragazza bionda, snella, dagli occhi color fiordaliso, i lineamenti aggraziati pervasi da un’espressione di dolcezza e da una volontà straordinaria di vita e di allegria entrava nella città di Ferrara come sposa di Alfonso I d’Este, figlio ed erede del duca Ercole I. La novella sposa indossava un abito di raso morello con frange d’oro abbinato a un mantello in broccato d’oro foderato di ermellino, una cuffia trapuntata d’oro, gemme e perle e una collana di diamanti. Cavalcava uno splendido destriero bianco coperto di scarlatto con finimenti preziosi. Sotto un baldacchino di raso cremisi veniva scortata da sei gentiluomini ferraresi. Al suo seguito decine di muli e due magnifiche mule, bardati dei colori del papa, avanzavano carichi di ogni sorta di oggetti preziosi.
In questo affresco del Pinturicchio, Lucrezia Borgia è ritratta come Santa Caterina, di cui papa Alessandro VI era un fedele devoto. 1492-1494. Appartamento Borgia. Vaticano, Roma
Foto: Scala, Firenze
L’entrata in città di Lucrezia Borgia fu abbagliante, nonostante la fama che la precedeva. Tutti sapevano che era figlia dell’allora papa Alessandro VI, frutto di una intensa e duratura relazione risalente a quando era ancora il cardinale Rodrigo Borgia. Si sa poco di Vannozza Cattanei, la madre di Lucrezia: era una cortigiana di origini lombarde arrivata a Roma in cerca di un amante che le garantisse una vita di agi. Da Rodrigo Borgia ebbe quattro figli: Cesare, Giovanni, Lucrezia e Goffredo, tutti molto amati dal padre e a cui Rodrigo non fece mai mancare nulla. Nonostante avesse altri figli, ebbe sempre un occhio di riguardo per Lucrezia, che trascorse la sua infanzia e i primi anni dell’adolescenza negli appartamenti papali. Il padre e il fratello Cesare – noto come il duca Valentino e modello di libertinaggio e strategia politica in Il Principe di Machiavelli – erano sospettati di praticare la simonia e il nepotismo, oltre a essere considerati degli arrivisti politici e manipolatori.
A minare la reputazione di Lucrezia contribuirono anche le accuse d’incesto – avrebbe avuto una relazione con il padre e con il fratello – lanciate contro di lei dal suo primo marito Giovanni Sforza, ripudiato dalla moglie per volere papale. Quando il suo secondo marito Alfonso d’Aragona duca di Bisceglie divenne un alleato scomodo per i Borgia, venne tolto di mezzo per ordine di suo fratello Cesare. Non è dunque strano che nel XIX secolo si fossero diffuse opere come Les Borgia di Alexandre Dumas, tragedia che dipingeva Lucrezia come una consumata avvelenatrice e una donna malvagia.
In quest’opera di Bartolomeo Veneto Lucrezia Borgia si sarebbe fatta ritrarre con le fattezze della beata Beatrice II d’Este (1230 circa-1262 circa)
Foto: The snite museum of art, University of Notre Dame
Un giudizio smentito già dai suoi contemporanei: gli ambasciatori del duca Alfonso, inviati a Roma nel 1501 per le trattative del suo terzo matrimonio, si erano meravigliati della sua saggezza e della grande intelligenza. Un delegato del duca Ercole d’Este scriveva di lei: «Sembra che la duchessa sia molto prudente, e più abile a sbrigare gli affari correnti che a divertirsi […] È donna discreta e di buona indole […] La bellezza è già di per sé soddisfacente, ma la piacevolezza delle maniere e il modo grazioso di porgersi l’aumentano e fanno che nulla di sinistro si debba o si possa sospettare di lei». Solo l’anno dopo, un corrispondente di Isabella d’Este la reputava «donna di gran cervello, astuta», nonché «savia madona».
Una nuova vita a Ferrara
I due anni che seguirono l’arrivo di Lucrezia in città furono per lei tra i più allegri e spensierati. La figlia del papa fu protagonista di un incontrastato rinnovamento culturale: si circondò di poeti, musicisti e letterati, rivaleggiando con sua cognata Isabella d’Este. Fiorivano la composizione di commedie, i poemi cavallereschi, gli scritti encomiastici, le dispute sui temi più alla moda. Lucrezia seppe animare l’antica e prestigiosa corte estense, tradizionalmente legata alla cultura francese, grazie ai suoi modi gentili e all’influsso spagnolo.
Benché fosse nata nel Lazio, era stata educata secondo i dettami della Spagna, terra d’origine della sua famiglia, i Borja. A Ferrara introdusse la moda, la musica, le danze – che amava moltissimo – e la lirica iberica, di cui inviava versi al poeta Pietro Bembo perchè questi li traducesse in italiano.
Pietro Bembo. Ritratto dipinto da Raffaello Sanzio. 1503-1504. Szepmueveszeti Muzeum. Budapest
Foto: Scala, Firenze
Quello con Bembo, che rimase alla sua corte dal dicembre 1502 all’autunno del 1505, fu un rapporto prettamente letterario, fatto di scambi di sonetti, lettere e doni. Pietro aveva conosciuto Lucrezia nel 1502, poco dopo le sue nozze con il duca Alfonso d’Este, e se n’era invaghito immediatamente. Al momento del loro primo incontro lei indossava una veste di broccato d’oro adorna di gioielli e perle d’inestimabile valore, mentre una cuffia trapuntata di pietre preziose agghindava il suo capo. Ci furono tra loro scambi di versi, intrattenimenti letterari, passeggiate, svaghi di corte e un epistolario, fitto da parte di Bembo (40 lettere) e limitato a nove circospette missive da parte di lei. Da una di queste poche pagine emerge il carattere di Lucrezia, che scriveva: «Miser Pietro mio. Circha el desiderio tenite intender da me lo incontro del vostro o nostro cristallo che cusi meritamente se po reputar e chiamare non saperia mai che altro posserne dire o trouare: saluo una extrema conformità forsi mai per nisun tempo igualata». La lettera, datata 24 giugno 1503, fu scritta in risposta a una missiva di Bembo. Entrambi fanno riferimento al cristallo, un altro modo di definire i loro cuori. Benché girassero voci su una presunta relazione sentimentale tra i due, sembra che il loro rapporto si limitasse a un amore platonico. A lei Pietro dedicò Gli Asolani (1504), immaginario dialogo sulla natura dell’amore, che definiva «desio di bellezza», intesa come rettitudine dell’anima. Questo trattato sarebbe divenuto poi fondamentale nella legittimazione letteraria della lingua italiana.
Un’abile amministratrice
Le fonti del tempo descrivono Lucrezia come una persona d’indole solare e vivace, dal carattere dolce e socievole, animata dalla gioia di vivere. Un cronista ferrarese ricorda una giornata del 1505 in cui Lucrezia, con sua cugina e altre damigelle di corte, portò in giro per la città in carretta gli ambasciatori veneziani tra risate e divertimenti. Questo non le impedì di assumere responsabilità politiche normalmente estranee alle donne del suo tempo. Sebbene fosse giovanissima al momento del suo arrivo a Ferrara, si era già dimostrata all’altezza d'incarichi di eccezionale importanza. Nelle strategie politiche di Alessandro VI la figlia aveva assunto infatti fin da subito un ruolo fondamentale non soltanto come pedina nello scacchiere delle alleanze matrimoniali, ma anche come consanguinea fedele a cui delegare l’amministrazione di terre della Chiesa. Fu in questa occasione che un pontefice affidò a una donna per la prima e unica volta nella storia la carica di governatrice di alcuni territori papali: nel 1499 Lucrezia ricoprì i governatorati di Spoleto e di Foligno.
Lucrezia Borgia è tuttora l’unica donna della storia ad aver mai ricoperto la carica di governatrice di territori papali
Ciocca di capelli che Lucrezia Borgia donò a Pietro Bembo. La teca è opera dell’Orafo Alfredo Ravasco. 1926-1928. Veneranda biblioteca ambrosiana. Milano
Foto: Marco Ansaloni
Ma non si limitò a questo: nel 1501, fatto inaudito, Alessandro VI le affidò l’incarico di reggente dello Stato della Chiesa in sua assenza, con la facoltà di aprire e leggere la corrispondenza indirizzata al papa e di intervenire, consigliandosi con un gruppo ristretto di cardinali, in caso di questioni urgenti. Chiaramente le sue capacità erano tali che il padre si fidava completamente di lei e qualche anno dopo il marito Alfonso fece lo stesso affidandole la reggenza del ducato. Ma oltre ad assolvere i compiti che lo sposo le assegnava, Lucrezia aveva un dovere indelegabile come futura duchessa di Ferrara: garantire la continuità della dinastia. Purtroppo non fu facile. La sua vita fu segnata da 16 o 17 gravidanze nell’arco dei tre matrimoni. Solo dieci giunsero a termine, ma da una di queste la bimba nacque morta. Dei nove figli sopravvissuti, soltanto cinque vissero oltre l’adolescenza. Tra loro Ercole II, l’erede del ducato, nato nel 1508.
Seppure eventualità abbastanza comune all’epoca, Lucrezia visse la morte dei suoi bimbi in fasce come un trauma. In una sua lettera indirizzata al suocero Ercole d’Este, preccupato per la sua salute in occasione della prima delle sfortunate gravidanze, scriveva: «Ho ricevuta grandissima displicentia dello affanno et molestia che ha presa la Excellentia Vostra della mia nova indisposizione, la quale volentieri l’haveria celata per non li dare melanconia, quando tacendo non fusse mancato del debito mio […] La ringratio sumamente dello amorevole scrivere suo, et della speranza ch’ella mi dà». E così gli annunciava la morte del suo secondo bambino, di appena un mese: «Lo illustrissimo nostro charissimo figliolino essendo sta’ agitato più volte da molti accidenti sopravvenuti, questa mattina su le XIII ore è passato da questa vita. De che siamo in lachryme tanto tribulata et havemone tanto cordoglio quanto Vostra Signoria pote pensare», pregandolo poi di non informare la duchessa malata per non darle preoccupazioni.
Niccolò II d’Este, marchese di Ferrara, in seguito a una rivolta commissionò a Bartolino da Novara il disegno del Castello estense
Foto: Guido Baviera / Fototeca 9x12
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Fervente religiosa
Suscitano tenerezza soprattutto gli innumerevoli monili sacri – come una croce raffigurante da un lato la passione, e dall’altro il Santo Sepolcro – che Lucrezia metteva al collo dei suoi bambini nel tentativo disperato di proteggerli dalla malattia già avanzata o dalla morte imminente. In seguito alle molte gravidanze finite male e ai numerosi lutti che la colpirono la sua religiosità si fece sempre più manifesta. Divenne terziaria francescana – seguiva le regole dell’ordine senza vivere in convento – e volle essere sepolta con quella veste. Nel 1509 fondò con i propri mezzi San Bernardino, convento di clarisse osservanti votate alla povertà assoluta, e colmò di attenzioni i monasteri femminili di molte altre città. Strinse rapporti di amicizia con numerose religiose che avevano manifestato segni di santità, distribuì elemosine, donò formaggi e altri generi di prima necessità ai conventi ferraresi e offrì regali ai monaci, cercando di mettere in pratica i principi della fede cristiana in ogni circostanza della sua vita. Assai spesso osservava il digiuno, cosa di cui il marito la rimproverava.
Notizie sulla sua religiosità emergono dalla corrispondenza con il fiorentino Tommaso Caiani, che fu il suo confessore tra il 1514 e il 1519. Caiani era un seguace di Savonarola, la cui predicazione aveva avuto grande influsso a Ferrara, tanto che all’inizio del cinquecento si era formato un vero e proprio movimento improntato sulle sue idee. Le invettive contro il papato e la curia romana lanciate nel 1494 a Firenze da Savonarola e la condanna e la tragica fine del frate messo al rogo proprio durante il pontificato di Alessandro VI dovettero impressionare moltissimo Lucrezia.
Papa Alessandro VI autorizzò la figlia Lucrezia ad amminisitrare i territori della Chiesa in sua assenza. F. Cadogan Cowper, 1908-1914. Tate Gallery, Londra
Foto: Tate, London / Scala, Firenze
I suoi gioielli, di cui rimangono due inventari stilati tra il 1502 e il 1519, testimoniano una fede intrisa di sofferenza per le prove a cui la vita l’aveva sottoposta: oltre agli aborti e alla morte di tanti figli, Lucrezia aveva sofferto anche l’assassinio del secondo marito Alfonso d’Aragona, l’unico veramente amato. Come ebbe più volte modo di affermare nelle sue lettere, apprezzava soprattutto gli oggetti «belli e insieme di devozione». Nel periodo ferrarese tutto ciò che indossava era ormai di natura sacra, riservando i monili profani alle occasioni di stato. Tra i quindici testi in suo possesso che si sono conservati, il più prezioso era un piccolo libro miniato in oro con episodi della vita della Madonna. Gli altri suoi volumi e i numerosi arazzi di carattere religioso anziché mitologico – gli episodi biblici rappresentavano la giustizia e la rettitudine contrapposte all’arroganza e all’abuso di potere – testimoniano una cultura varia ed eclettica.
Benessere del ducato
Il dolore per la perdita dei figli si unì a quello per la morte del padre Alessandro VI, avvenuta il 18 agosto 1503. Lucrezia però continuò a occuparsi con amore e dedizione del benessere economico del ducato di Ferrara, di cui divenne la duchessa nel 1505. La sua attività di amministratrice s’intensificò negli anni del conflitto contro Venezia e il papato (1509-1513), che costituirono un punto di svolta determinante: dal 1513, spinta dalle necessità economiche del ducato, iniziò l’ambizioso programma di risanamento delle finanze di Ferrara che avrebbe portato avanti fino alla morte.
La volta della sala più famosa di palazzo Costabili, o palazzo Ludovico il Moro, a Ferrara, fu decorata tra il 1503 e il 1506 da Benvenuto Tisi detto il Garofalo
Foto: Bridgeman / ACI
Lucrezia fu l’artefice di un’instancabile opera di bonifica basata non tanto sull’agricoltura, ma piuttosto sull’allevamento. Per realizzarla non ebbe remore a utilizzare sia i proventi dell’eredità di uno dei suoi figli sia quelli derivanti dalla vendita dei propri gioielli: nel 1516 vendette una catena d’oro per sovvenzionare il rifacimento degli argini di un fiume e poco tempo dopo impiegò una perla e un rubino per avviare un allevamento di bufale, della cui mozzarella era particolarmente golosa.
Morì di parto a soli 39 anni, il 24 giugno 1519. Il marito Alfonso, sconvolto e disperato, dava così la notizia al nipote Federico Gonzaga: «Non posso scriverlo senza lachrime, tanto mi è grave il vedermi privo d’una sì dolce e cara compagna, quanto essa mi era per li boni costumi suoi e per il tenero amore che era fra noi». E il dolore era grande in tutto il ducato.
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