L'opera di salvataggio dei templi nubiani

Nel 1960 l’UNESCO rivolse un appello a tutti i Paesi del mondo perché partecipassero a un’operazione di emergenza: il salvataggio del patrimonio archeologico dell’Egitto e del Sudan, che stava per essere sommerso a causa della costruzione della nuova diga di Assuan. Lo sforzo coordinato riuscì a salvare alcuni templi emblematici, come quelli di Abu Simbel.

L'opera di salvataggio dei templi nubiani

La diga di Assuan in Egitto è una delle maggiori opere contemporanee di ingegneria. Nel 1955 il governo del generale Nasser ne propose la costruzione per sostituire una vecchia diga edificata tra la fine del XIX e i primi del XX secolo e ormai ritenuta obsoleta.

La nuova diga, di 111 metri di altezza e quasi quattro chilometri di larghezza, fu eretta tra il 1959 e il 1970 sullo stesso livello della seconda cataratta del Nilo, e permise per la prima volta nella storia di controllare le piene annuali del fiume ed evitare le conseguenti inondazioni. L’opera comportò un miglioramento fondamentale dell’agricoltura egiziana e permise un incremento della produzione energetica essenziale per Egitto e Sudan.

Ma non ci furono solo vantaggi. La creazione di un immenso lago artificiale a valle della diga, il lago Nasser, con i suoi 500 chilometri di lunghezza e una larghezza media di 22 chilometri, costrinse a reinsediare 90mila persone che vivevano nella zona, sia in Sudan che in Egitto. Inoltre, un gran numero di monumenti antichi situati nella regione storica della Nubia, che si estende dal sud dell’Egitto fino al nord del Sudan, erano condannati a scomparire sotto le acque del nuovo lago, che avrebbe raggiunto i 90 metri di profondità. Tra questi, c’erano alcune opere particolarmente emblematiche, come i templi di Abu Simbel e quelli dell’isola di File.

Prima della costruzione della diga di Assuan i templi dell’isola di File rimanevano parzialmente sommersi per vari mesi l’anno. Nell’immagine, il Nilo ricopre il chiosco di Traiano

Prima della costruzione della diga di Assuan i templi dell’isola di File rimanevano parzialmente sommersi per vari mesi l’anno. Nell’immagine, il Nilo ricopre il chiosco di Traiano

Foto: Bridgeman / Aci

 

 

Nel 1960 Vittorino Veronese, direttore dell’UNESCO rivolse un appello ai cento stati membri con lo slogan: «Salviamo i monumenti della Nubia». La reazione della comunità internazionale non si fece attendere. Una trentina di Paesi, tra cui l’Italia, crearono dei comitati nazionali – composti da ricercatori, archeologi, storici, ingegneri, architetti, disegnatori e fotografi – che si sarebbero occupati delle operazioni di salvataggio sul campo.

Dopo uno studio approfondito delle fotografie aeree, che permise l’individuazione delle zone archeologiche con maggiore probabilità di essere inondate, una squadra di esperti venne incaricata di redigere un rapporto esaustivo. Quindi, una ventina di missioni straniere provenienti da Paesi come Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Russia, Spagna e Stati Uniti, intrapresero delle vere e proprie campagne di salvataggio. L’UNESCO organizzò una raccolta di fondi per la salvaguardia e la conservazione del maggior numero possibile di monumenti e siti archeologici. La campagna ebbe un grande risalto sui mezzi di comunicazione e fu appoggiata da varie entità pubbliche e private legate al mondo della cultura.

Francobollo emesso dal governo libico con l'obiettivo di raccogliere fondi per contribuire al salvataggio dei monumenti nubiani in pericolo

Francobollo emesso dal governo libico con l'obiettivo di raccogliere fondi per contribuire al salvataggio dei monumenti nubiani in pericolo

Foto: Bridgeman / Aci

Una trentina di Paesi effettuarono un’emissione speciale di francobolli a sostegno dell’operazione. Lo slogan “Adesso o mai più” lanciato dai governi di Egitto e Sudan, ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica internazionale. Il presidente egiziano manifestò la sua gratitudine di fronte alla risposta straniera con queste parole: «La coscienza del mondo ha aperto gli occhi sul significato profondo del salvataggio dei monumenti della Nubia […] Non c’è alcun dubbio che la nostra eredità culturale possa ridare al mondo fiducia nella fratellanza umana e nella cooperazione tra i popoli».

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Il governo egiziano e gli esperti dell’UNESCO suddivisero i siti minacciati dalla diga in tre gruppi, in ordine di importanza e di possibilità di intervento. Nel primo gruppo si trovavano 19 templi scavati nella roccia o costruiti sulle sponde del Nilo, tra cui quelli di Abu Simbel, Aniba, Amada, Wadi es-Sebua (famoso per il suo viale delle sfingi), Kalabsha (con importanti bassorilievi), Qertassi e Semna est/ovest, nonché la fortezza di Buhen.

​La partecipazione al salvataggio dei tesori nubiani valse alla Spagna il Tempio di Debod, che sorge oggi a Madrid

​La partecipazione al salvataggio dei tesori nubiani valse alla Spagna il Tempio di Debod, che sorge oggi a Madrid

Foto: Murguia / Getty Images

La tecnica vincente

Nella maggior parte dei casi si decise di trasferire i monumenti smontandoli in blocchi che poi venivano caricati sui camion – grazie a delle enormi gru – e quindi ricostruiti in un luogo vicino.

Il tempio di Kalabsha fu un caso particolare: già da quando era entrata in funzione la prima diga di Assuan, all’inizio del XX secolo, l’acqua lo ricopriva per nove mesi l’anno, e questo aveva finito per cancellarne le pitture. Tra il 1961 e il 1963 alcuni archeologi tedeschi lo trasferirono su un promontorio situato giusto a sud della diga, salvandolo in questo modo dalla definitiva scomparsa.

Un’altra soluzione adottata in alcuni casi fu quella di circondare il monumento con delle dighe di protezione che impedissero alle acque di sommergerlo completamente o parzialmente. Fu un’operazione di questo tipo a permettere di smontare i templi di File e trasferirli sull’isola di Agilkia.

La campagna di salvataggio dei tesori archeologici della Nubia non si limitò ad alcuni grandi templi. Ci furono altri interventi che permisero di terminare scavi iniziati in precedenza e salvare un enorme patrimonio prima sconosciuto. Nella zona di Aniba, per esempio, fu esplorato un gran numero di tombe, tra cui quella del principe Hekanefer, in cui si trovarono figure funerarie con il suo nome insieme a dipinti e iscrizioni parietali.

A Faras, un importante centro della Nubia cristiana, furono rinvenuti forni per la ceramica, due cappelle con steli e 169 dipinti murali di grande valore, con rappresentazioni della Madonna e del Bambino. Venne esplorata anche l’enorme fortezza di Buhen.

La missione archeologica spagnola effettuò scavi in due siti preistorici, tre villaggi cristiani, 300 gruppi di arte rupestre e 20 necropoli, tra cui quella quelle di Masmas e Argin, composte da oltre 1.500 tombe, al cui interno vennero ritrovati migliaia di oggetti. In conclusione, i risultati finirono per superare le aspettative della stessa UNESCO.

Chiosco di Qertassi

Chiosco di Qertassi

Foto: Ed Scott / Age Fotostock

 

 

Per attrarre gli archeologi occidentali, l’Egitto annunciò che le nazioni partecipanti avrebbero potuto conservare una parte dei pezzi rinvenuti negli scavi. Quattro Paesi ricevettero persino in omaggio un tempio completo, che fu inviato smontato e poi ricostruito nel luogo di adozione.

È per questo che a Torino troviamo oggi il tempio di Ellesija, a New York quello di Dendur, a Leida quello di Tafa e a Madrid quello di Debod.

Il grande tempio di Abu Simbel nel suo sitio attuale. Dedicato a Ramses II, misura 22 metri di altezza, 38 di larghezza e 62 di profondità. I colossi seduti del faraone raggiungono i 22 metri di altezza​

Il grande tempio di Abu Simbel nel suo sitio attuale. Dedicato a Ramses II, misura 22 metri di altezza, 38 di larghezza e 62 di profondità. I colossi seduti del faraone raggiungono i 22 metri di altezza​

Foto: Josef Niedermeier / Age Fotostock

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