L’incredibile storia della suora alfiere

Nel XVII secolo divenne famosa Catalina de Erauso, una giovane basca che decise di vestirsi da uomo e andarsene in America, dove visse peripezie degne di un romanzo

Novizia trasformatasi in militare, assassina confessa di almeno dieci uomini, attaccabrighe, ludopatica, vergine, omosessuale e travestita da uomo. Catalina de Erauso è senza dubbio un personaggio romanzesco.

Conosciamo molte notizie della sua vita grazie a un’autobiografia che era forse destinata, sotto forma di memorie, al re Filippo IV di Spagna e che era stata da lei dettata assieme alla richiesta di un vitalizio.

Pieno di circostanze vere ma costellato di situazioni e coincidenze forzate quanto incredibili, quel suo racconto divenne famoso. Se ne fecero almeno due edizioni; e, nel 1626, il drammaturgo Juan Pérez de Montalbán, discepolo prediletto di Lope de Vega, scrisse e rappresentò a corte La suora alfiere, opera teatrale che consacrò definitivamente il personaggio alla fama. Contraddittoria perfino circa la sua data di nascita, nelle memorie assicurava di essere venuta al mondo a San Sebastián, nel 1585. Il suo certificato di battesimo della parrocchia di San Vicente, nella stessa città, indica invece il 10 febbraio del 1592. Figlia del capitano Miguel de Erauso, Catalina era la più piccola di sei fratelli. A quattro anni entrò nel convento domenicano di San Sebastián el Antiguo assieme a due sue sorelle. Dato che non si adattava ed era ribelle, venne trasferita nel convento di San Bartolomé, dalle regole e dalla clausura più rigide. Oppressa e vessata da una delle religiose, Catalina fuggì dal monastero a 15 anni, prima di prendere i voti.

Catalina de Erauso ritratta da Juan Van Der Hamen nel 1625. Kutxa Fundazioa, San Sebastián

Catalina de Erauso ritratta da Juan Van Der Hamen nel 1625. Kutxa Fundazioa, San Sebastián

Foto: Collezione Kutxa

 

 

Nei panni di un uomo

La sua fuga durò diversi giorni, e Catalina vagò «senza aver mangiato niente più dell’erba che incontrava sul suo cammino» finché raggiunse Vitoria. Nell’odierna capitale dei Paesi Baschi la giovane iniziò a lavorare in casa di un medico, lontano parente, che non la riconobbe sotto gli abiti maschili: Catalina aveva infatti deciso di vivere e vestirsi come un uomo (molto probabilmente conscia del fatto che come donna non le sarebbe stato possibile muoversi liberamente).

Tre mesi dopo scappò dalla casa con il denaro che aveva rubato al parente e si stabilì a Valladolid, dove divenne il paggio del segretario del re Juan Idiáquez, e si fece chiamare Francisco de Loyola. Nelle sue memorie racconta che lì incontrò il padre, il quale non la riconobbe. Catalina fuggì a Bilbao, dove prese a sassate alcuni ragazzi che la deridevano e ne ferì uno in modo talmente grave da essere imprigionata per un mese. Poi andò a Estella, nella Navarra, dove entrò al servizio di un signore in qualità di paggio.

Sbarco di Filippo III a San Sebastián, città natale di Catalina de Erauso

Sbarco di Filippo III a San Sebastián, città natale di Catalina de Erauso

Foto: Erich Lessing / Album

Due anni dopo tornò a San Sebastián, dove un giorno assistette alla messa accanto alla madre, che «non mi riconobbe», assicura nelle memorie. Alla ricerca di nuove esperienze, Catalina si arruolò nella flotta in partenza per l’America. L’anno seguente, mentre i galeoni tornavano in Spagna carichi di oro e di argento americani, Catalina rubò cinquecento pesos dalla cabina del capitano e si nascose nel porto di Nombre de Dios, in Panama, finché le navi si furono allontanate. Sempre con il nome di Francisco si trasferì in Perù, dove lavorò come aiutante di un mercante spagnolo servendolo con lealtà e zelo, ragion per cui in breve tempo passò ad amministrare uno dei suoi magazzini nella città di Saña. Tuttavia l’indole spaccona la portò a essere coinvolta in una rissa, che si concluse con un cavaliere morto, un altro ferito e lei in manette. Il padrone la tirò fuori dal carcere, deciso a sposarla con la sua amante, ma Catalina si rifiutò, e allora lui la spedì a seguire i suoi affari a Trujillo. Un paio di mesi più tardi, il cavaliere che Catalina aveva ferito a Saña andò a cercarla assieme a due compari. Una nuova zuffa culminò con un uomo trafitto dallo stocco della basca: Catalina fu costretta a chiedere asilo in una chiesa.

Per allontanarla dall’imputazione di omicidio e dai numerosi debiti di gioco, il capo la mandò a Lima affinché lavorasse nella bottega di un suo amico. A quanto riferisce lei stessa, lì ebbe dei rapporti con la cognata del superiore, che la licenziò. Senza soldi e lavoro, si presentò in uno degli uffici di arruolamento che reclutavano soldati per combattere gli indios mapuche nel sud del Cile. Decisa a «partire e vedere il mondo», assieme a migliaia di soldati sbarcò a Concepción sotto l’identità di Alonso Díaz Ramírez de Guzmán. E lì si verificò un’altra di quelle straordinarie coincidenze per cui sembra che le memorie di Catalina possano essere state parzialmente alterate da uno o più autori con l’intenzione di aggiungere tinte romanzesche al racconto originale. Solo così possiamo credere che il soldato Alonso si ritrovò al cospetto del fratello Miguel, allora segretario del governatore del Cile. Senza confessargli il legame familiare e senza essere mai scoperta, ne divenne una buona amica ed entrò a far parte del seguito personale di Miguel, «mangiando alla sua tavola per quasi tre anni». Quando, però, Miguel venne a sapere che Alonso corteggiava una sua amante, la mandò al forte di Paicabí, un duro centro correttivo sul fronte araucano.

Guerra tra gli spagnoli e i mapuche rappresentata in questo disegno accluso a una mappa del Cile del XVII secolo.

Guerra tra gli spagnoli e i mapuche rappresentata in questo disegno accluso a una mappa del Cile del XVII secolo.

Foto: Bibliothèque Nationale de France

Promossa ad alfiere

Catalina rimase quattro anni a combattere senza tregua contro i mapuche. Il soldato Díaz dimostrò grande coraggio nelle sue gesta, soprattutto quando riuscì a riprendere il vessillo del battaglione caduto nelle mani degli indigeni. Il fratello Miguel chiese quindi che venisse promossa a capitano. Tuttavia, a quanto sappiamo da lei stessa, divenne solo alfiere perché aveva fatto impiccare un capo mapuche, Quispiguaucha, invece di consegnarlo vivo perché venisse sottoposto a un interrogatorio. Una sera del 1609, mentre era a Concepción in attesa di poter tornare a Lima, in una delle molte risse dovute alla sua passione per le carte ferì con la spada un altro ufficiale e uccise la guardia che era accorsa ad arrestarla. Come in precedenza, chiese asilo in un convento, quello di San Francisco, dove rimase per più di sei mesi sotto il controllo delle truppe del governatore. Appena la vigilanza si allentò, decise di allontanarsi per fare da padrino al duello di un suo compagno d’armi. In una notte così scura «che non ci vedevamo le mani», si batterono non solo i duellanti, ma anche i padrini. E qui compare un’altra incredibile circostanza, e cioè che il padrino contro cui Catalina si batté e che uccise era il fratello. Come se non bastasse, questi venne inumato nel convento di San Francisco, lo stesso in cui Catalina tornò a nascondersi per altri otto mesi prima di scappare a Tucumán assieme a due esuli, in un durissimo viaggio che li costrinse a mangiare uno dei cavalli. A Tucumán Catalina corteggiò e promise di sposare due donne, dalle quali si diede alla fuga prima che venisse svelato il suo genere. Per capire il personaggio e la sua storia bisogna anche tener conto del fatto che l’identificazione tra il sesso biologico e un unico modello di femminilità non era così chiara nel XVII secolo come sarà in epoche successive.

Condanna a morte

La donna raggiunse il villaggio di Potosí a cavallo. In quella località visse un paio di anni per poi arruolarsi in una compagnia militare diretta alla regione dei chunchos, dove affrontò gli indigeni con grande valore. L’alfiere racconta di uno scontro con questi – più di diecimila, secondo lei – in cui «ci battemmo con tale coraggio e facemmo una tale strage che dal campo scorreva il sangue come un fiume, e li inseguimmo uccidendoli fin oltre il Río Dorado». Dopo aver ammassato quanto più oro poteva, lasciò le truppe e si stabilì a La Plata (oggi Sucre, in Bolivia) in qualità di amministratrice di una ricca vedova. Di nuovo coinvolta in un losco affare, venne accusata di aver sfregiato il volto di una donna con una lama da chirurgo per vendicare la sua signora, pure lei colpita al volto con una scarpa durante un acceso battibecco tra le due.

Palazzo episcopale di Lima

Palazzo episcopale di Lima

Foto: Juan Manuel Borrero / Album

Ancora in fuga, si mise a commerciare grano tra Cochabamba e Potosí. Attaccabrighe e lupodatica, uccise due uomini in altrettante risse, e per il secondo delitto venne condannata a morte. Quando aveva già il cappio al collo, riuscì a salvarsi la vita: due dei testimoni – condannati a loro volta – ritrattarono e assicurarono che «indotti e pagati, avevano giurato il falso» contro di lei. Quindi Catalina vagò senza meta per poi tornare a Cuzco, dove in un’altra zuffa mise mano alla spada. Venne colpita gravemente, ma ferì a morte l’avversario. Grazie all’aiuto di alcuni amici biscaglini, decise perciò «di cambiare aria». Ricercata in tutto il Perù, venne alla fine riconosciuta e fermata a Huamanga (l’attuale Ayacucho), non senza aver prima ucciso una delle guardie che la volevano arrestare e averne ferite altre due.

Fu allora, davanti a una morte certa, che l’alfiere Díaz chiese di poter parlare con il vescovo, Agustín de Carbajal, a cui raccontò la propria vita e svelò l’inganno delle vesti. «La verità è questa: sono una donna». Il vescovo mandò due donne a verificare l’affermazione e, quando loro ebbero confermato il sesso dell’alfiere, Carbajal decise commosso che avrebbe scontato la pena nel convento delle clarisse di Huamanga. La straordinaria storia di Catalina divenne di pubblico dominio ed episodi eclatanti della sua biografia circolarono in tutto il vicereame.

Ricevuta dal papa

Ormai una celebrità, Catalina fu chiamata dall’arcivescovo di Lima e dal viceré, che erano ansiosi di conoscerla. Rimase nel convento delle Comendadoras de San Bernardo per due anni, finché si venne a sapere che, diversamente da quanto lei sosteneva, non aveva mai preso i voti, perché a San Sebastián era stata solo una novizia. Pentita, perdonata ed esclaustrata, tornò in Spagna nel 1624 come uomo, con il nome di Antonio de Erauso. Durante il viaggio iniziò a scrivere o a dettare i testi che oggi conosciamo come sue memorie. Dopo essere stata ricevuta dal re Filippo IV andò in Italia, dove ebbe un colloquio con il papa Urbano VIII, che le concesse la dispensa di vestirsi e firmarsi come un uomo.

Papa Urbano VIII. Museo Bottacin, Padova

Papa Urbano VIII. Museo Bottacin, Padova

Foto: Dea / Album

Da quel momento la sua leggenda crebbe ulteriormente, ma lei scomparve dalla vita pubblica. A quanto pare, tornò nella Nuova Spagna e, con una mandria di muli, si mise a trasportare passeggeri e merci dal porto di Veracruz a Città del Messico. Morì nel 1650 nella località di Cuitlaxtla.

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