La letteratura di viaggio di Jelena Dimitrijević

La scrittrice serba Jelena Dimitrijević fu un’instancabile viaggiatrice che, più di un secolo fa, descrisse i cambiamenti negli stili di vita di donne serbe, turche, arabe, e indiane, ma anche quelle italiane, francesi, inglesi e statunitensi.

Poche altre figure si stagliano in un contrasto così netto con la realtà storica in cui vissero come Jelena Dimitrijević, scrittrice nata in Serbia ma che viaggiò in tutto il mondo imparando da autodidatta il francese, l’inglese, il russo, l’italiano, il neogreco e il turco. Ma se l’elenco delle sue conoscenze linguistiche risulta ammirevole anche per una persona colta dei nostri tempi, a queste è necessario aggiungere la stesura e la pubblicazione di dodici libri di poesia, narrativa e, soprattutto, di resoconti di viaggio. Perché Dimitrijević fu innanzitutto un’instancabile viaggiatrice e attenta osservatrice del mondo che la circondava.

Nata a Kruševac (Serbia centro-meridionale) nel 1862, Jelena Miljković sposò a soli diciannove anni un ufficiale dell’esercito serbo, Jovan Dimitrijević, dal quale prese il cognome con il quale pubblicò tutte le sue opere. La Serbia dei primi anni della vita di Jelena era un Paese di forti contrasti e in rapida modernizzazione. Suo nonno fu uno degli insorti che portarono al riconoscimento del Principato di Serbia nel 1830 come stato vassallo dell’impero ottomano, mentre l’indipendenza di questo Paese fu riconosciuta soltanto nel 1879, due anni prima del matrimonio fra Jelena e Jovan. In questo contesto caratterizzato da una popolazione in maggioranza serba, i turchi ottomani erano ancora visti come il principale nemico della nazione, ma forse fu proprio per questo che Jelena scelse il mondo orientale come il primo fulcro del proprio interesse come scrittrice. Con un tasso di alfabetizzazione che superava di poco il dieci per cento, era già abbastanza difficile trovare donne che sapessero leggere, mentre Jelena, già nelle prime poesie, mostrò un grande talento da scrittrice. Quando apparvero sulle pagine delle riviste letterarie dell’epoca, questi poemi dallo spiccato gusto orientaleggiante e con una forte carica sensuale diedero origine alla leggenda secondo cui la donna sarebbe fuggita da un harem ottomano. Ma, in realtà, era una delle poche donne cristiane ad essere riuscita ad entrare negli harem tardo-ottomani e a descrivere la vita delle donne musulmane, tanto in Serbia quanto in ciò che rimaneva dell’impero ottomano. È infatti lecito supporre che fu un’estesa rete di amicizie femminili a permettere l’ingresso di Jelena nei vari harem.

Jelena Dimitrijević in una delle pochissime foto conservatesi fino ad oggi

Jelena Dimitrijević in una delle pochissime foto conservatesi fino ad oggi

Foto: Fair use, shorturl.at/nCQX3

Negli harem musulmani

Subito dopo il matrimonio, nel 1881, Jelena si trasferì assieme al marito nella città di Niš, appena liberata dai serbi e con una forte minoranza musulmana. Lì scrisse la sua prima opera di rilievo, Lettere da Niš sugli harem, pubblicata nel 1897. Già in questo lavoro troviamo alcune delle caratteristiche fondamentali della prosa di Dimitrijević: anzitutto, la forma epistolare conferiva un tono d’intimità con il lettore contribuendo al contempo ad aumentare la sensazione di veridicità, ma anche fornendo una giustificazione ad una donna che scrive in un ambiente ancora fortemente patriarcale. Il volume si apre, infatti, con il resoconto del rapporto con un’amica ormai scomparsa (sempre riportata solo con la iniziale N.), ma che avrebbe, sul punto di morte, imposto a Jelena di descrivere ciò che vedeva e sentiva negli harem musulmani.

E’ con questo pretesto che Dimitrijević giustifica il suo primo volume, ma ciò che è il fulcro del suo interesse sono le trasformazioni sociali vissute dalle donne del suo tempo. Sul finire del XIX secolo l’istruzione occidentale, assieme alla capacità di conversare in francese, vestirsi alla moda e suonare gli strumenti musicali occidentali, era penetrata anche negli harem dell’impero ottomano. Per gli uomini, tutti questi miglioramenti rappresentavano uno status symbol, un ornamento esteriore da presentare ai visitatori della casa aumentandone il prestigio. In quel periodo, nell’Impero ottomano in declino, la cultura europea era vista come superiore e dunque l’adesione ai nuovi costumi importati – per quanto talvolta questi entrassero in conflitto con le vecchie tradizioni – aumentava la rispettabilità della singola famiglia. Per le donne, le nuove idee non rimasero però soltanto un orpello, e non di rado causarono dei conflitti di coscienza sull’aderire ancora alle vecchie norme sociali.

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Nelle Lettere da Salonicco, per esempio, Jelena Dimitrijević, descrive come la proclamazione della costituzione ottomana aveva spinto diversi giornali internazionali ad affermare che, a seguito del cambiamento istituzionale, diverse donne turche si sarebbero tolte il velo. All’ingresso nel suo primo harem tessalonicese, invece, la scrittrice serba suscitò l'indignazione delle donne musulmane quando chiese se ora, in quella nuova epoca storica, avrebbero tolto il chador. Le protagoniste delle sue opere di finzione sono giovani donne che «vivono in Turchia ma sognano di Francia, sulla quale, ogni giorno, leggono qualcosa di nuovo, e desiderano ardentemente questo mondo lontano e sconosciuto». Eppure la prosa dell'autrice non è mai un giudizio, né nei racconti pubblicati fra il 1901 e il 1907, né nel romanzo Le nuove (1912), anzi: Dimitrijević si presenta sempre come fautrice della modernità.

Un lutto inatteso

Nel 1908 Jelena e Jovan si recarono a Salonicco, coinvolta appieno dalla rivoluzione dei Giovani Turchi, ma il resoconto di questo viaggio fu pubblicato solo dopo la Prima guerra mondiale, nel 1918, nel volume Le lettere da Salonicco. Proprio in questo conflitto accadde un avvenimento che sconvolse la vita di Jelena, ma che allo stesso tempo la rese l’instancabile viaggiatrice passata alla storia: Jovan, il suo tollerante marito, era un militare e morì tra le fila dell’esercito serbo. Jelena rimase vedova, ma con messi sufficienti per affrontare diversi viaggi, anche oltreoceano.

Busto di Jelena Dimitrijević


Busto di Jelena Dimitrijević


Foto: Ana Stjelja - shorturl.at/benGW, CC BY-SA 4.0, shorturl.at/agptN

Così, nel 1919, s’imbarcò per il suo primo grande viaggio, questa volta in Occidente. Passando per la Francia, Spagna e Inghilterra, raggiunse gli Stati Uniti d’America, dove rimase per più di un anno. Qui entrò in contatto con le più moderne teorie femministe dell’epoca e rimase affascinata dalle donne americane e dalle loro libertà. Da queste osservazioni, questa volta in forma di diario, nacque il volume Il nuovo mondo, o un anno in America, pubblicato appena nel 1934. Ma tale ritardo era pienamente giustificato da un altro grande viaggio che la donna realizzò salpando dal porto di Genova nel 1926, alla volta dell'estremo Oriente. Visitò così la Terra Santa e Gerusalemme, la Giordania, la Siria e il Libano per arrivare fino in India, dove incontrò anche il poeta e filosofo bengalese Rabindranath Tagore. Negli anni successivi, si spostò ancora più lontano, nello Sri Lanka, Cina e Giappone, dove riuscì anche a stringere amicizia con diverse geishe. Questa figura femminile nipponica era già relativamente conosciuta in Occidente grazie all'opera Madama Butterfly del musicista Giacomo Puccini (1904), ma tanto le geishe quanto l’intera cultura giapponese rimasero pressoché ignote al pubblico serbo fino alla pubblicazione degli ultimi volumi di Jelena Dimitrijević: Lettere dall’India (1928) e Lettere dall’Egitto, nonché una raccolta complessiva di appunti di viaggio intitolata Sette mari e tre oceani. In viaggio intorno al mondo (1940).

Jelena Dimitrijević morì per cause naturali sul finire della Seconda guerra mondiale, a Belgrado, il 22 aprile del 1945. Anche il suo funerale fu un avvenimento curioso in quanto tutti i giornali diedero l’annuncio sbagliato sull'ora della sua sepoltura. All’arrivo, gli amici e parenti della defunta scoprirono che era stata sepolta due ore prima del previsto. I suoi volumi sugli usi e costumi delle donne di mezzo mondo furono dimenticati per oltre mezzo secolo, e riscoperti solo con l’inizio del nuovo millennio.

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