Una foto scattata nel 1979 ritrae un boss della mafia in manette. È Leoluca Bagarella, del clan dei Corleonesi, arrestato per la prima volta. L’uomo fissa con ferocia bruciante la persona che l’ha appena fotografato, mentre i guanti neri delle forze dell’ordine lo conducono alla giustizia. Dall’altra parte dell’obiettivo c’è Letizia Battaglia, scaraventata a terra dal calcio che il mafioso ha sferrato per allontanarla. Tra la calca di giornalisti, la donna è riuscita a scattare una delle immagini più significative della cronaca contemporanea, testimone della lotta alla criminalità organizzata.
Il suo cognome riassume la promessa del destino che ha scelto per sé, lontano dai ruoli convenzionalmente assegnati a una donna, decisa a fare del proprio sguardo uno strumento di verità. Attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, Letizia riscrive la propria storia raccontando quella del mondo che la circonda, in una Palermo macchiata di sangue dalle mani di Cosa nostra. Le sue fotografie mostrano ciò che di solito resta oltre la cornice della cronaca. Letizia insegna a non stare un passo indietro, a puntare gli occhi contro la realtà e a mostrarla, anche se terribile. La dipinge in scala di grigi, per attenuare il rosso del sangue e mostrare senza veli tutte le sfumature dell’essere umano.
La fotoreporter Letizia Battaglia in una foto scattata nel 2019.
Foto: © Cohen Media Group / Courtesy Everett Collection / Cordon Press
Libera di essere una persona
Letizia Battaglia nasce il 5 marzo 1935 a Palermo, in una famiglia borghese. Il padre lavora nel campo navale: nel 1944 la famiglia lo segue a Trieste, dove resta per due anni. Lì Letizia vive la fine della Seconda guerra mondiale e una libertà di bambina che dovrà abbandonare con il rientro in Sicilia. Tornare a casa significa ritrovarsi imbrigliata nel dedalo di regole non scritte che privano le donne della propria indipendenza, mascherando il possesso per protezione. Per recuperarla, non rimane che la via convenzionale: trovare marito. Letizia si sposa a 16 anni con Franco Stagnitta, imprenditore. La loro unione dura vent’anni e dà alla luce tre figlie, Cinzia, Shobha Angela e Patrizia, che la donna amerà profondamente.
Gli anni scorrono in una serenità apparente, ma per Letizia la vita borghese prende le sembianze una prigione dorata. Madre e «malamente moglie», come ripete in diverse interviste, si ritrova irretita nella stessa mentalità da cui cercava di scappare. La relazione con il marito naufraga lentamente, con tensioni, ritorsioni e gelosie fino ad esplodere in un colpo di pistola. Fortunatamente Franco non la uccide, ma quel gesto rende chiaro che così non può andare avanti. Il percorso con lo psicanalista Francesco Corrao apre gli occhi di Letizia e segna la la strada verso la sua nuova vita, che inizia a 34 anni. «Mi aveva portato ad essere una persona», dirà, per poi ripartire da se stessa.
Letizia Battaglia - Shooting the Mafia. Volantino del documentario realizzato dal regista Kim Longinotto sulla fotografa palermitana. 2019.
Foto: © Cohen Media Group / Courtesy Everett Collection / Cordon Press
I primi scatti
Nell’estate del 1969 Letizia inizia collaborare come giornalista con il quotidiano locale L’Ora, per poi scegliere di lasciare Palermo e raggiungere Milano. Offre la propria penna alle testate locali, dal Corriere della Sera al Giorno, ma con poca fortuna: senza fotografie nessuno è intestato a pubblicare i suoi pezzi. L’amica Marilù Balsamo le regala una piccola macchina fotografica con cui Letizia comincia a scattare «senza scuola né cultura», ma affinando la sensibilità che poi la renderà unica. Milano la porta in contatto con l’effervescenza degli anni settanta: per un periodo collabora con una pubblicazione erotica, frequenta Pier Paolo Pasolini, Dario Fo e Franca Rame e molti intellettuali protagonisti della grande rivoluzione socio-culturale di quegli anni.
Nel 1974 viene ricontattata da L’Ora, il quotidiano palermitano, per dirigere il servizio fotografico della testata. Accetta di tornare a Palermo. Felice di avere un ruolo e un’identità che non necessita della validazione di un marito o di un padre, diventa la prima fotografa assunta da un quotidiano in Italia. Certo, farsi largo non è semplice, soprattutto nel mondo della cronaca nera, frequentato da soli uomini. Impara a farsi spazio, sgomitando e urlando se necessario. Attraverso il lavoro e la determinazione guadagna il rispetto dei colleghi e del capo della squadra mobile Boris Giuliano – poi vittima di Cosa Nostra – ritagliando il proprio posto nel mondo del giornalismo.
Sofferenza e bellezza
La fotografia diventa la sua «colonna vertebrale», per raccontare «la sofferenza, la bellezza, la lotta e gli eroi» della sua città. Con il collega e fotoreporter Franco Zecchin – che per diciotto anni sarà il suo compagno di vita – fonda nel 1974 l’agenzia Informazione Fotografica e il Laboratorio d’If, dove si formano fotografi e fotoreporter palermitani. Sono gli anni più intensi: «per quasi due decenni ammazzarono le persone migliori», ricorda in un’intervista. «Uomini, arrestati, ammazzati, feriti, in manette», uomini da ammirare o condannare. È il suo «archivio di sangue», che prende forma sulle orme della criminalità organizzata. Con la macchina fotografica Letizia riprende ciò che sta oltre la notizia, per ricordare che «dove c’è un cadavere c’è un uomo che non si sarebbe mosso mai più». Fotografa le famiglie dilaniate dal dolore, i bambini intenti a giocare con armi vere o disegnare con i gessetti le sagome dei loro corpi sull’asfalto, come se la morte fosse un gioco ispirato alla realtà.
Tra i suoi scatti più celebri non mancano i “delitti eccellenti”, come quello avvenuto in via della Libertà il giorno dell'Epifania del 1980. Letizia è la prima fotografa ad accorrere sul posto: dal finestrino di una Fiat 132 ritrae le suole del corpo esanime di Piersanti Mattarella, presidente della regione Sicilia, crivellato di colpi durante un agguato mentre era in macchina con la famiglia. Dalla portiera si scorge il fratello Sergio – oggi presidente della Repubblica – mentre lo estrae dall’abitacolo. È questa la foto forse più tristemente celebre di Letizia, che spesso ne ricorda un’altra mai scattata. Alla morte di Giovanni Falcone, infatti, decide di non accorrere sul posto sebbene fosse a conoscenza della notizia: non avrebbe sopportato la vista del magistrato antimafia ucciso da ciò che fino all’ultimo aveva combattuto con coraggio.
Letizia Battaglia e Franco Zecchin Palermo, 1987
Foto: Tato Grasso - Opera propria, CC BY-SA 3.0, shorturl.at/evO28
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Da Palermo al mondo
Dopo le stragi di Capaci e di via d’AmelioLetizia prende le distanze dalla fotografia, finché nel 1985 non riceve un telegramma da New York. Un amico ha candidato alcune sue foto al premio fotografico Eugene Smith, prestigioso riconoscimento internazionale per la fotografia sociale. A pari merito con l’americana Donna Ferrato, Letizia è la prima donna europea a riceverlo. È incredula, ma per la prima volta guarda al suo lavoro con occhi nuovi. La fama internazionale la porta in Inghilterra, Francia, Svizzera, Stati Uniti, Brasile e Canada, realizzando così il suo grande desiderio di viaggiare.
La sua base rimane Palermo, dove non smette mai di cercare istanti autentici e ruvidi come il bianco e nero che caratterizza i suoi scatti. È il suo tributo alla gente che incontra, da cui è partita e dove torna per ritrovare il lato più autentico della città in cui è cresciuta. Tra i soggetti più amati ci sono le bambine: Letizia sceglie d’immortalarle tra l’infanzia e l’età adulta, prima che l’adolescenza le trasformi in donne. S’innamora di quella bellezza, ancora acerba. Nei loro occhi cerca sé stessa, spettinata e libera, con gli occhi che bruciano lo sguardo di chi osserva.
Al servizio degli altri
Tra gli anni Ottanta e Novanta Letizia si dedica alla politica. Dopo una prima esperienza in consiglio comunale con i Verdi, nel 1991 viene eletta deputata all’Assemblea regionale siciliana, poi vice presidente della Commissione cultura. Il desiderio di lavorare al servizio della propria comunità si spegne a contatto con la rigidità delle istituzioni, troppo distanti dalla sua gente e dall’impegno civile concreto cui era abituata. Dopo un breve trasferimento a Parigi torna a Palermo, dove continua ad occuparsi di fotografia. Nel 1999 riceve un altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life. Nel 2018 inaugura con una mostra il Centro Internazionale di Fotografia ai Cantieri Culturali alla Zisa, di cui sarà direttrice.
Negli ultimi anni di vita, Letizia lotta contro un cancro al seno che la riduce in carrozzina, ma fino all’ultimo non smetterà di fotografare. Muore a Cefalù, cittadina di mare non distante dalla sua Palermo. È il 13 aprile 2022, e il mondo contemporaneo ha già imparato a conoscerla per la sua grande professionalità e sensibilità. «Non sempre ho vinto – afferma in una delle ultime interviste – ma io non voglio vincere, io voglio fare le cose». Brillante, eccentrica, talvolta ruvida, Letizia lascia alle sue foto il compito di raccontare la bellezza e la fragilità di vivere, mai un passo indietro.
Vista dell'esposizione delle opere di Letizia Battaglia presso il MAXXI di Roma
Foto: Jean-Pierre Dalbéra - Esposizione delle fotografie di Letizia Battaglia al Maxxi di Roma. CC BY 2.0, shorturl.at/gqGJK
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