Statue policrome che rappresentano il principe Rahotep e sua moglie Nofret, nel Museo egizio del Cairo
Foto: Cordon Press
Nel 1871 un ormai anziano Auguste Mariette, capo del Servizio di Antichità d’Egitto, stava facendo degli scavi a Meidum, a un centinaio di chilometri a sud del Cairo. Meidum è famosa per la sua piramide a gradini, costruita con ogni probabilità dal faraone Snefru, che si staglia nel paesaggio desertico come una gigantesca torre sprofondata. Ma vi si trova anche una vasta necropoli di mastabe dell'Antico regno (2453-2120 a.C.). Ed è proprio degli scavi in alcune di queste tombe, situate a nord della piramide, che si stavano occupando Mariette e la sua squadra.
La piramide a gradoni di Meidum, opera di Snefru, nelle cui vicinanze fu scoperta la mastaba di Rahotep e Nofret
Foto: Cordon Press
Durante l'esplorazione della zona, vicino alla mastaba di Nefermaat (uno dei figli di Snefru), Albert Daninos, aiutante di origine greca di Mariette, si occupava di coordinare un gruppo di lavoratori che stavano prelevando una stele. Dopo aver completato l'opera s'imbatterono nell'ingresso di un pozzo che dava su una galleria. Sembrava proprio che avessero trovato una nuova mastaba. Emozionato, Daninos face entrare uno degli operai nella galleria con una candela per realizzare un'ispezione preliminare. Così, armato di una luce tremolante, l'uomo entrò nella galleria. Daninos lo aspettava fuori, impaziente. Dopo qualche tempo l'operaio riapparve correndo all'impazzata e con una smorfia di terrore in viso. Daninos spiegò poi così perché il pover'uomo fosse tanto spaventato: «Si vide davanti le teste di due esseri umani vivi che lo fissavano».
Una coppia di alto lignaggio
In realtà, come si può immaginare, non c'era nessun essere vivente dentro la mastaba (in seguito nota come la numero 6), e non era nemmeno uno spirito maligno quello che si era messo a fissare l'operaio terrorizzato. Le teste che avevano tanto spaventato il lavoratore egiziano appartenevano a due statue funerarie molto realistiche, che rappresentavano i proprietari della tomba: il principe Rahotep e sua moglie Nofret. Le due magnifiche opere furono trasferite poco dopo al Museo di Bulaq, il predecessore dell'attuale Museo di piazza Tahrir, al Cairo. (Alcuni manufatti del Museo del Cairo, da quest’anno sono in fase di spostamento presso il nuovo Museo delle civiltà egiziane, costruito cinque chilometri più a Sud, nella Cairo vecchia).
Ma chi erano i due illustri personaggi? Pare che Rahotep fosse uno dei figli del re Snefru, il primo faraone che fece costruire una piramide romboidale. Cheope, artefice della Grande piramide di Giza, era il fratellastro di Rahotep. Come membro della famiglia reale, Rahotep poté vantare diversi titoli importanti: Gran sacerdote del re, Capo dei costruttori, Capo dell'esercito reale, Direttore delle spedizioni e, naturalmente, "figlio del re, generato dal suo corpo": titolo che chiariva senza ombra di dubbio la paternità fisica del faraone. Da parte sua, Nofret (che significa "la bella") meritò il titolo di Conoscente del re.
Dalle iscrizioni rinvenute nella loro tomba sappiamo che la coppia ebbe sei figli, tre maschi e tre femmine. Sembra che Rahotep fosse morto giovane e che a causa della sua posizione fosse stato sepolto in una lussuosa mastaba nella necropoli di Meidum, vicino a una delle piramidi costruite dal padre e accanto alla mastaba del fratello Nefermaat e di sua moglie Itet. Fu in questa tomba che si scoprì uno dei dipinti più belli e famosi dell'arte egizia: il fregio noto come "le oche di Meidum".
"Le oche di Meidum", fregio della mastaba di Nefermaat a Medium. Museo egizio, Il Cairo
Foto: CC
Come membro della famiglia reale, Rahotep poté vantare diversi titoli importanti: Gran sacerdote del re, Capo dei costruttori, Capo dell'esercito reale, Direttore delle spedizioni e "figlio del re, generato dal suo corpo": titolo che evidenziava la paternità fisica del faraone
Le statue che rappresentano Rahotep e Nofret sono di pietra calcarea colorata e a tutto tondo, e sono oggi conservate al Museo egizio del Cairo. Il grande realismo e la perfezione formale le hanno ormai rese dei punti di riferimento nella storia dell'arte. Le figure non formano un unico gruppo scultoreo: si tratta invece di due statue individuali di circa centoventi centimetri ciascuna, in posizione seduta su una specie di trono dipinto di bianco che recano scritti i loro nomi e titoli. Entrambe hanno conservato in maniera spettacolare la policromia originale e i loro occhi, di quarzo bianco e cristallo di rocca, sembrano fissare lo spettatore. Tutti e due tengono la mano destra appoggiata sul petto e la sinistra sulla coscia, nel caso di Rahotep col pugno chiuso. Il colore della pelle di ciascuno corrisponde alle convenzioni artistiche dell'epoca: gli uomini erano dipinti con un tono più scuro e le donne con uno molto più chiaro, quasi giallastro.
Rahotep indossa un gonnellino bianco corto e Nofret una tunica aderente con spalline stretta da una sorta di mantello, tutto in bianco. L'uomo sfoggia un paio di baffi sottili e curati e ha le guance rasate, mentre attorno al collo gli pende un raffinato monile bianco. Dal canto suo, la donna è pettinata con una corta parrucca adornata da un diadema a roselline e porta una grande collana. Entrambi hanno gli occhi truccati con il khol e sono scalzi, con i piedi appoggiati su una sorta di sgabello. Mentre Nofret sembra una dama nata ed è vestita sontuosamente, Rahotep, abbigliato in modo più semplice, si fa notare soprattutto per la fermezza del viso e dei gesti e per la sua virilità.
Le statue di Rahotep e Nofret di profilo. Museo egizio, Il Cairo
Foto: Pubblico dominio
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Nascosti per l'eternità
Anche se può sembrare incredibile, queste statue straordinarie non erano destinate a essere ammirate da uno spettatore, come accade oggi per qualunque opera d'arte. Sono anzi sculture funerarie, pensate per non essere viste da nessuno. Mai. Avevano piuttosto una funzione magica: servivano perché il ka (una delle cinque parti che formavano l'anima del defunto secondo gli antichi egizi) vi si potesse incarnare nel caso che le mummie venissero danneggiate o si deteriorassero. Dovevano quindi rimanere nascoste per l'eternità e accompagnare i corpi imbalsamati delle persone che rappresentavano. Ma i saccheggiatori di tombe e il passare dei secoli, come spesso avviene, lo resero impossibile.
Visione frontale del viso del principe Rahotep, su cui spiccano i baffi curati e il collo adornato da un raffinato monile
Foto: Cordon Press
Dettaglio frontale della statua di Nofret: la tunica è trasparente e aderisce al suo corpo
Foto: Cordon Press
Queste statue avevano una funzione magica: servivano perché il ka (una delle cinque parti che formavano l'anima del defunto secondo gli antichi egizi) vi si potesse incarnare nel caso in cui le mummie venissero danneggiate o si deteriorassero
Malgrado lo scorrere del tempo, entrambe le statue rimasero nascoste nella tomba di Meidum, impassibili, osservando il susseguirsi degli eventi, fino a che furono scoperte dal gruppo di Mariette. La penombra e il peso dei millenni fecero decollare l'immaginazione del primo essere umano che le rivide dopo tanti secoli. Oggi occupano un posto privilegiato nel Museo del Cairo, dove rimarranno fino al trasferimento nel Grande museo egizio che sarà presto inaugurato nella capitale, e da lì continuano a osservare impassibili lo spettatore, che non teme più il loro sguardo limpido e profondo, ma che anzi osserva ammirato la loro bellezza eterna e immutabile.
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