Le mummie egizie hanno sempre esercitato un fascino particolare. Basti pensare al faraone Tutankhamon, il cui volto dai denti sporgenti divenne visibile una volta rimossa la dignitosa protezione delle bende e del sarcofago. O alle centinaia di migliaia di animali imbalsamati che furono sepolti nei cimiteri sotterranei di epoca greco-romana.
Poter osservare l’espressione di qualcuno morto più di tremila anni fa e che in qualche modo ha lasciato una traccia nella storia genera un piacere morboso, così come contemplare la mummia di un gatto accuratamente bendato e immaginarlo a caccia di topi prima di essere sacrificato a Bastet, la dea di cui incarnava le caratteristiche.
Fouquet, Gaston Maspero e ad alcuni membri della Società franco-egiziana studiano la mummia sbendata della sacerdotessa di Amon, Ta Uza Ra, ritrovata nel nascondiglio di Deir el-Bahari. Olio di P. D. Philippoteaux. 1891
Foto: Bridgeman / Aci
In virtù della loro quantità e dell’attrazione che suscitavano, le mummie divennero uno dei souvenir preferiti dei viaggiatori e dei turisti del XIX secolo, e ciò anche prima che i ricercatori si rendessero conto dell’ingente quantità d’informazioni che se ne poteva ricavare.
In realtà, prima di trasformarsi in oggetti da collezione le mummie furono considerate per secoli un rimedio imprescindibile in ogni spezieria europea degna di tal nome. Tutto era iniziato con i medici greci Dioscoride e Galeno, che nei loro trattati raccomandavano un prodotto quasi miracoloso: una grande varietà di disturbi, dagli ascessi alle eruzioni cutanee, passando per le fratture, l’epilessia e le vertigini, potevano essere curati dal mum, termine persiano riferito al bitume. Ciononostante, nel corso dei secoli, con la crescita della domanda, gli affioramenti naturali di questa sostanza si erano esauriti. Riluttanti ad abbandonare il commercio di un prodotto che garantiva ottimi profitti, i solerti mercanti orientali si precipitarono alla ricerca di un’altra fonte di materia prima. E la trovarono nei corpi che per tremila anni erano stati imbalsamati sulle rive del Nilo.
Una volta essiccati, le resine, gli oli e le sostanze aromatiche con cui si ricoprivano i cadaveri durante la mummificazione avevano una consistenza e un colore identici a quello del mum originale, e una fragranza ancor più piacevole. Fu così che ciò che gli antichi egizi chiamavano sah finì per ricevere il nome di uno strano medicinale persiano.
Un rimedio discusso
Non essendo sempre facile procurarsi corpi imbalsamati, i mercanti meno scrupolosi decisero di produrli in proprio, provocando un declino della qualità della merce che raggiungeva le botteghe officinali europee. Si cominciò allora a distinguere tra mummie primarie, secondarie e false. Come denunciò Guy de La Fontaine nel 1564, al termine di un viaggio ad Alessandria per procurarsi il farmaco, in molti casi le mummie non erano altro che semplici cadaveri trattati per sembrare antichi.
Un dizionario del 1657 definiva così la mummia: «Sostanza simile alla resina venduta dagli speziali; secondo alcuni si estrarrebbe dalle tombe antiche». Contenitore esposto al Kurpfälzisches Museum, Heidelberg
Foto: Akg / Album
Il frate domenicano spagnolo Luis Urreta scrisse nel 1610 un libro di storia sui regni dell’Etiopia nel quale offre una descrizione dettagliata del processo, che richiedeva di purgare svariate volte un prigioniero moro e poi tagliargli la testa nel sonno. Il cadavere andava quindi appeso per i piedi e lasciato dissanguare, mentre gli si praticavano dei tagli con un coltello. Una volta che il sangue era interamente defluito, le varie ferite e orifizi si riempivano di una miscela speziata. A quel punto si depositava il corpo a terra, lo si avvolgeva nel fieno e lo si seppelliva per due settimane. Successivamente lo si dissotterrava e lo si lasciava al sole per un giorno intero.
Secondo il frate, la carne acquisiva in questo modo proprietà medicinali anche più intense di quella delle mummie antiche, grazie al processo di purificazione.
Ma non tutti concordavano sugli effetti benefici di questi rimedi una volta ingeriti. Già nel 1582 il francese Ambroise Paré scrisse nel suo Discours de la momie:«L’effetto di questo farmaco malevolo è tale che non solo non fa migliorare i pazienti, come ho potuto constatare direttamente svariate volte, ma provoca un grande dolore allo stomaco, cattivi odori in bocca e forte vomito, e questi disturbi a loro volta generano alterazioni nel sangue, facendolo fuoriuscire dai vasi che lo contengono». In contemporanea al diffondersi di queste voci contrarie all’uso farmaceutico dei cadaveri trattati crebbe una certa curiosità per le mummie come oggetti.
Le mummie portano sfortuna
Più complesso è sapere quando iniziò la moda di portare le mummie in Europa come souvenir. Sicuramente già alcuni greci e romani se ne tornavano da un viaggio in Egitto con una mummia di falco o di qualche altro animale.
Ma poi l’interesse per le mummie diminuì notevolmente fino al XIX secolo, perché si diffuse l’idea che portassero sfortuna. In precedenza le autorità ottomane avevano imposto delle leggi che impedivano l’esportazione di queste preziose vestigia del passato egizio; ma c’era sempre qualcuno pronto a correre il rischio.
Le mummie rinvenute nel nascondiglio di Deir el-Bahari vengono caricate sulla nave che le trasporterà al Cairo. Incisione. XIX secolo
Foto: Look and Learn / Bridgeman / Aci
Nel XVI secolo Jean Bodin racconta la storia di Ottavio Fagnola, un cristiano convertito all’islam che saccheggiò svariate tombe, probabilmente a Giza, finché non trovò un corpo eviscerato avvolto in una pelle di bue e con uno scarabeo al posto del cuore – un amuleto che aveva la funzione di proteggere il defunto. La mummia fu caricata senza grosse difficoltà su una nave diretta in Italia, ma durante il viaggio i forti venti costrinsero il capitano ad ammainare le vele e liberarsi di una parte del carico.
Temendo un imminente naufragio, Fagnola approfittò dell’oscurità della notte per sbarazzarsi del corpo del reato, commentando che era risaputo che le mummie «possono provocare tempeste». Che fosse una superstizione messa in giro dagli stessi egiziani allo scopo di limitare il contrabbando di antichità? È possibile, ma più probabilmente questa diceria trae origine da un episodio precedente alla storia di Fagnola.
Alla fine del XVI secolo l’Europa e l’impero ottomano si contendevano il dominio del Mediterraneo. La tensione aumentò fino a quando, nel 1571, la Lega santa e la flotta turca si scontrarono nella Battaglia di Lepanto. In seguito alla netta vittoria cristiana, nei porti del Mediterraneo si diffuse rapidamente la voce che i turchi avevano imbarcato una mummia su una nave come portafortuna.
Non sorprende che da quel momento in poi i cristiani iniziassero a pensare che le mummie potessero facilmente causare un disastro marittimo, e un po’ ovunque spuntarono nuovi aneddoti a sostegno di questa leggenda.
Primi studi sulle mummie
La prima analisi di una mummia ebbe luogo nel 1698, quando il console francese al Cairo Benoît de Maillet ne sbendò una, catalogando gli oggetti ritrovati. Ciononostante, il primo studio serio fu condotto da un farmacista tedesco di nome Christian Hertzog, che nel 1718 esaminò l’intero processo d’imbalsamazione e pubblicò un saggio a riguardo.
Un archeologo si appresta a fotografare una mummia in un museo. Incisione a colori. XIX secolo
Foto: Prisma / Album
Nel 1792 il suo esempio fu seguito dal connazionale Johann Friedrich Blumenbach a Londra; ma fu solo nel XIX secolo che l’interesse per le mummie si diffuse a tutti i livelli della società. Nel 1825 il medico Augustus Bozzi Granville presentò le conclusioni del suo studio su un cadavere imbalsamato.
Tre anni più tardi lo storico William Osburn ne analizzò un altro con l’aiuto di un’équipe di chimici e anatomisti. Entrambi seguivano le orme di Giovanni Battista Belzoni, che nel 1821 – in concomitanza con l’esposizione dei rilievi della tomba di Seti I, da lui stesso scoperti nel 1817 – sbendò una mummia davanti a un gruppo di medici con la collaborazione di un amico, il chirurgo Thomas Pettigrew. Dopo aver assistito a tre sbendaggi eseguiti dallo stesso Belzoni, Pettigrew fece il suo primo tentativo con una mummia comprata a un’asta. Successivamente trasformò l’operazione di rimozione delle fasce in uno spettacolo pubblico, guadagnandosi il soprannome di “Mummia Pettigrew”. Diventato uno dei massimi esperti in materia (anche grazie alle sue conoscenze di anatomia), tenne una lunga serie di conferenze sull’argomento. Il momento clou arrivava nel finale ed era costituito dallo sbendaggio di una mummia, di cui evidentemente non era così difficile procurarsi degli esemplari.
Nel 1833 Thomas Pettigrew organizzò una dozzina d’incontri per il pubblico londinese, che con un misto di stupore e disgusto vedeva apparire di colpo il volto rinsecchito di qualche egizio millenario.
Dato che in fin dei conti era uno scienziato, Pettigrew prendeva accuratamente nota dei risultati dell’operazione. Quegli appunti gli permisero di scrivere il primo trattato scientifico in merito – una storia delle mummie egizie e una relazione sul culto e l’imbalsamazione degli animali sacri, con considerazioni sulle cerimonie funebri di diverse nazioni, e osservazioni sulle mummie delle isole Canarie, degli antichi peruviani, dei sacerdoti birmani, ecc. –, che fu pubblicato l’anno successivo. L’esempio di Pettigrew, che voleva creare una vera e propria scienza delle mummie, si diffuse rapidamente: nello stesso anno John Davison sbendò due corpi imbalsamati alla Royal Institution e poi pubblicò un rapporto dettagliato sull’argomento, come ormai era ritenuto indispensabile fare.
Il lungo cammino verso la scienza
La moda prese rapidamente piede. Dopo il successo di Pettigrew, sbendare mummie divenne uno dei principali passatempi della Londra bene. Di solito si stampavano anche dei biglietti d’invito all’evento, come nel caso di quello tenutosi alle due e trenta di lunedì 10 giugno 1850 al numero 144 di Piccadilly, nella casa di Lord Londesborough. A officiare la “cerimonia” c’era Samuel Birch, curatore del British Museum. Birch divenne in seguito il successore di Pettigrew e studiò numerose mummie, come quelle riportate in patria nel 1868 dal principe di Galles in seguito a un viaggio in Egitto. Ma nelle sue pubblicazioni Birch era più interessato ai sarcofagi e alle iscrizioni che ai corpi imbalsamati.
Nel 1881 fu scoperto a Deir el-Bahari un nascondiglio di mummie reali del Nuovo regno (TT320). Nel 1898 fu la volta della tomba di Amenofi II (KV35) nella Valle dei Re, che era stata anch’essa utilizzata come deposito delle salme di vari faraoni. Il trattamento ricevuto dalle mummie di personaggi come Thutmose III o Ramses II fu senz’altro adeguato per i canoni dell’epoca. Ma gli egittologi erano interessati soprattutto a rimuovere le bende per vedere se trovavano qualche oggetto.
Benoît de Maillet, nel suo 'Description de l’Egypte', descrive con grande precisione la geografia e la natura del Paese. Ritratto di Maillet a opera di Étienne Jeaurat. Versailles
Foto: Gérard Blot / RMN-Grand Palais
Fortunatamente all’inizio del XX secolo Grafton Elliot Smith, che lavorava come anatomista presso la scuola di medicina del Cairo, studiò e fotografò varie salme regali e anni dopo pubblicò un libro che ancora oggi costituisce un punto di riferimento: Catalogue of the Royal Mummies in the Museum of Cairo (1912). I suoi studi osteometrici gli consentirono di capire che i nomi scritti sulle bende di molti corpi erano sbagliati. Evidentemente i sacerdoti della XXI dinastia che avevano nascosto i cadaveri dei faraoni per salvarli da un probabile saccheggio non avevano prestato sufficiente attenzione.
Lo studio delle mummie era a una svolta. Anche se nel 1903 Mark Twain propose scherzosamente di usarle come combustibile per le caldaie delle locomotive egiziane, qualche anno più tardi Margaret Murray organizzò a Manchester un gruppo multidisciplinare per lo studio scientifico di due salme antiche.
La strada era finalmente aperta perché le mummie fossero considerate importanti fonti d’informazione storica. Ma le battute d’arresto non mancarono: in quegli stessi anni un braccio mummificato rinvenuto nella tomba del faraone Djer fu fotografato e quindi gettato nella spazzatura.