Le mummie di Urbania: una storia oltre la morte

A Urbania c’è una piccola chiesa che nasconde un grande segreto: 18 corpi mummificati che narrano storie di vita e, ovviamente, di morte

Le mummie della chiesa dei Morti sono esposte  in teche di legno e vetro,  al riparo dagli agenti esterni  e dal continuo viavai di turisti

Le mummie della chiesa dei Morti sono esposte in teche di legno e vetro, al riparo dagli agenti esterni e dal continuo viavai di turisti

Foto: Michele e Matteo Dini

Nel 1804 in un’Europa quasi completamente dominata dall’impero di Napoleone venne promulgato l’Editto di Saint-Cloud, il decreto che per motivi igienico-sanitari e di uguaglianza sociale stabiliva nuove regole per la sepoltura dei morti: le tombe andavano trasferite al di fuori delle mura della città, in luoghi ventilati e soleggiati, e i defunti dovevano essere seppelliti singolarmente e con lapidi tutte uguali.

Quando due anni più tardi l’editto venne esteso all’Italia, anche la piccola città di Urbania (circa 60 chilometri a sud di Pesaro), chiamata così in onore di Papa Urbano VIII, dovette allinearsi alle indicazioni dell’imperatore. Iniziò così una lunga operazione di trasferimento di tutti i corpi inumati in fosse comuni, chiese e cappelle private situate all’interno delle mura della città. All’epoca a occuparsi gratuitamente del trasporto dei defunti era la Confraternita della buona morte, un gruppo di devoti a san Giovanni Decollato che era stato fondato nel 1567 dal sacerdote Giulio Timotei. Oltre al trasporto dei corpi, la confraternita offriva diversi altri servizi, come l’assistenza ai malati e ai condannati o la compilazione dei registri di morte. Uno dei cimiteri che andava “trasferito” era quello del convento di San Francesco, che si trovava in un piccolo appezzamento di terra nei pressi del centro storico, vicino a quella che allora era la cappella Cola.

L’incredibile scoperta

Un giorno, durante la riesumazione di alcuni corpi da una fossa comune del piccolo cimitero, i confratelli furono colpiti da un’incredibile scoperta: all’interno della fossa c’erano diversi cadaveri che apparivano in perfetto stato di conservazione. La pelle era praticamente intatta, così come i tendini, i vasi sanguigni e in alcuni casi gli organi interni e perfino i genitali. Stando ai registri di morte, i corpi appartenevano a persone decedute tra il XVI e il XVIII secolo e a quel punto, dopo oltre duecento anni, sarebbero dovuti essere ridotti a un mucchio di ossa.

Il rinvenimento attirò in particolare l’attenzione del priore della confraternita Vincenzo Piccini, che di lavoro faceva il chimico ed era il farmacista della città. In quegli anni le conoscenze biologiche erano ancora molto limitate e Piccini si convinse che qualcuno doveva aver prodotto un unguento in grado di essiccare i corpi e impedirne la decomposizione. Decise quindi di studiare a fondo le salme per provare a ricreare la fantomatica “pozione” che, una volta giunto il momento, sarebbe dovuta essere applicata su di lui e sui suoi familiari secondo le sue precise indicazioni.

Vista della cittadina medievale di Urbania. Deve il suo nome a Papa Urbano VIII, che nel 1636 la elevò al grado di città con relativa diocesi

Vista della cittadina medievale di Urbania. Deve il suo nome a Papa Urbano VIII, che nel 1636 la elevò al grado di città con relativa diocesi

Foto: Michele e Matteo Dini

 

 

L’interpretazione del priore sulle cause della mummificazione si rivelò sbagliata e il tentativo non andò a buon fine: oggi nella chiesa dei Morti si trovano esposti diciotto corpi, di cui quindici sono ben conservati mentre tre, quelli della famiglia Piccini, sono poco più che scheletri. La mummificazione dei quindici corpi era in realtà avvenuta in maniera del tutto naturale. Tuttavia l’errore di Piccini trova conforto nel fatto che le reali cause del fenomeno sono rimaste a lungo misteriose e tutt’oggi sono ancora oggetto di discussione. Per moltissimi anni si è ritenuto che il responsabile della mummificazione fosse un fungo, Hipha bombicina pers., una muffa idrovora che sarebbe stata in grado di disidratare rapidamente i corpi ed evitarne la decomposizione. La teoria della muffa, spesso associata anche ad altri casi di mummie naturali è stata però smentita dai più recenti studi dei paleopatologi Arthur Aufderheide, dell’Università del Minnesota, e Gino Fornaciari dell’Università di Pisa, secondo i quali la causa della mummificazione risiede in una particolare combinazione di fattori climatici e ambientali. Il pH elevato dovuto alla natura calcarea del terreno di sepoltura, insieme all’effetto assorbente dell’involucro di tela all’interno del quale i morti erano stati avvolti (all’epoca dei decessi le bare venivano usate soltanto per il trasporto), avrebbero impedito la decomposizione e favorito la disidratazione dei corpi. Normalmente quando la mummificazione è realizzata artificialmente il corpo viene trattato e svuotato di tutte le parti molli interne. Invece nel caso di Urbania questa incredibile combinazione di elementi naturali ha restituito dei corpi intatti. Nel corso degli anni diversi istituti hanno analizzato le mummie (lo studio più consistente è quello realizzato da National Geographic Channel nel 2002 in occasione delle riprese del programma “The mummy road show”). Le indagini strumentali, insieme ai controlli sui registri di morte e all’osservazione diretta sui corpi, offrono una dettagliata descrizione di come quelle diciotto persone siano vissute e di come siano morte.

Il corpo del priore Vincenzo Piccini è esposto con indosso un abito talare, una mantellina e il bastone priorale su cui campeggia il teschio con due tibie incrociate simbolo della Confraternita della buona morte

Il corpo del priore Vincenzo Piccini è esposto con indosso un abito talare, una mantellina e il bastone priorale su cui campeggia il teschio con due tibie incrociate simbolo della Confraternita della buona morte

Foto: Michele e Matteo Dini

 

 

Alcuni corpi portano i segni di malattie, come il ragazzo affetto dalla sindrome di Down o il canonico Muscinelli, uomo di chiesa la cui corporatura abbondante è visibile anche a quattrocento anni dalla morte. Altri testimoniano una morte violenta: c’è un uomo ucciso per impiccagione che è ancora oggi nella stessa postura contratta del giorno della sua esecuzione, e un altro che venne ucciso durante una festa. Nel cuore della vittima, oggi conservato a parte, si vede tuttora chiaramente il foro a sezione quadrata dello stiletto che lo uccise. La vicenda più terribile però è senza dubbio quella dell’uomo sepolto vivo, con il ventre schiacciato, la pelle d’oca e tutti i muscoli del corpo in tensione.

Le mummie oggi

Tutte queste storie sono sopravvissute alla morte grazie alla mummificazione e grazie all’interesse di Vincenzo Piccini, che dopo la scoperta dei corpi fece edificare una cripta dietro all’altare della cappella Cola. In alto al centro della cripta c’è un lampadario fatto di teste di femori, tibie e teschi assemblati insieme con fil di ferro opera, a quanto sembra, di un medico militare austriaco detenuto nel convento vicino alla chiesa durante la Prima guerra mondiale.

Oggi il museo è aperto al pubblico e sono quasi 14mila le persone che ogni anno, grazie ai racconti di Giovanni Maestrini, custode e guida della chiesa, rivivono le storie delle mummie di Urbania.

Condividi

¿Deseas dejar de recibir las noticias más destacadas de Storica National Geographic?