I mosaici della villa romana di Noheda rappresentano una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni. Il sito del ritrovamento si trova 18 chilometri a nord della cittadina spagnola di Cuenca, in una frazione del comune di Villar de Domingo García. La presenza di resti romani nella zona era nota da tempo. Il cartografo rinascimentale spagnolo Alonso de la Santa Cruz, nella sua mappa del 1554 intitolata Atlas de El Escorial, documentava il nome che aveva allora l’attuale località di Villar de Domingo García: il “Villar de la Villa”.

Nella villa di Noheda sono stati ritrovati numerosi reperti archeologici: ceramiche, mosaici in vetro, opere in marmo di varia provenienza e vari frammenti di sculture di ottima fattura
Foto: Miguel Ángel Valero
Il luogo venne descritto per la prima volta, in maniera concisa, nella relazione di J. Santa María, pubblicata nel 1893 all’interno del Boletín de la Real Academia de la Historia spagnola. Il documento di J. Santa María riferiva della scoperta di scorie ceramiche, marmi e «tracce di mosaici superiori composti da vetri colorati» in una zona chiamata Cuesta de los Herreros, oltre che di «un muro lungo 80-100 metri che potrebbe rappresentare il perimetro di un insediamento significativo». Qualche anno più tardi, esattamente nel 1897, anche Francisco Coello parlava delle rovine romane di Noheda, sottolineando la presenza di tessere di mosaico.
Scoperta di una villa
Nel XX secolo la località fu studiata da diversi autori. Nel 1966 Julio Larrañaga analizzò il sito e, basandosi sulla vicinanza della via 31 dell’Itinerarium Antonini– un registro delle comunicazioni viarie dell’impero romano –, identificò erroneamente le vestigia romane con la mansio (la stazione di posta ufficiale) di Urbiaca.
A partire dalla fine degli anni settanta diversi archeologi esaminarono i resti in superficie, che insieme alle ceramiche e alle monete ritrovate nella zona permisero di identificare l’insediamento con una villa tardo-romana, databile tra il III e il V secolo. A metà degli anni ottanta, nel corso di alcuni lavori all’interno di una tenuta agricola privata, il responsabile della proprietà ritrovò casualmente alcuni frammenti di mosaico – i volti di due figure identificate con il principe troiano Paride e la sua amante Elena –, ma i reperti furono in seguito interrati.

Le concrezioni calcaree formatesi sui mosaici sono state rimosse prima che si indurissero e richiedessero una pulitura con sostanze chimiche
Foto: Artelán
La prima campagna archeologica vera e propria è stata condotta solo una ventina di anni più tardi, alla fine del 2005, allo scopo di portarli nuovamente alla luce. Nel 2008 è iniziata una nuova tappa della ricerca, mirata allo studio integrale del sito e del mosaico. In quell’anno sono stati effettuati gli scavi dell’enorme triclinio (sala da pranzo) con absidi su tre lati, di 290 metri quadrati di superficie.
La stanza è pavimentata con un mosaico costituito da sei pannelli figurativi realizzati in gran parte in opus vermiculatum, una delle tipologie di mosaico più complesse, caratterizzata dall’utilizzo di tessere molto piccole che, disposte in maniera asimmetrica, seguono il contorno delle immagini.
Le tessere utilizzate per quest’opera, infatti, misurano circa 1,5 mm e sono di una gamma cromatica molto varia e alcune persino dorate. La loro ricchezza iconografica, la composizione complessa e il carattere unitario, insieme al buono stato di conservazione, accentuano l’eccezionalità di questo ritrovamento.
Il primo pannello (ovvero quello corrispondente alla lettera A) rappresenta la gara tra il re Enomao e Pelope, il pretendente di sua figlia Ippodamia. Sopra questa scena principale ce n’è un’altra di dimensioni inferiori, che raffigura un circo. Nel pannello B appaiono una compagnia teatrale e altri personaggi minori impegnati in competizioni di vario tipo. Nel C fanno da protagonisti il giudizio di Paride e il rapimento di Elena, e nel D uno spettacolare corteo dionisiaco.
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Dal canto suo, il pannello E è molto simile al B, ma presenta qualche piccola differenza nella posizione e nel dinamismo delle figure. Infine il pannello F è caratterizzato da motivi marini.
Fama mondiale
Data l’eccezionale qualità dell’opera, i lavori di esumazione, pulitura e consolidamento del pavimento sono stati affidati a una squadra di archeologi e restauratori. L’intervento si è concluso nel 2009 con la rimozione degli ultimi centimetri di terra – un’operazione che è stata eseguita in un’unica fase per evitare la formazione di una crosta di carbonato di calcio sul mosaico. Nel 2010 hanno iniziato a circolare le prime pubblicazioni dedicate ai vari aspetti della villa e in particolare ai mosaici. L’importanza del sito archeologico è stata messa in evidenza grazie a vari incontri spagnoli e internazionali, tanto specialistici quanto divulgativi, che hanno permesso di far conoscere a livello mondiale le meraviglie della villa.
Questa risonanza ha spinto molti ricercatori a interessarsi al mosaico di Noheda. Katherine Dunbabin, una delle maggiori esperte in questo ambito, ha dichiarato: «È l’opera musiva dell’impero romano più notevole che abbia mai visto». Il lavoro coordinato dei vari soggetti coinvolti ha permesso di procedere alla tutela del sito archeologico, che nel 2012 è stato dichiarato dallo stato spagnolo “bene di interesse nazionale”.
Un’opera unica
Il pavimento figurativo di Noheda è eccezionale sotto vari punti di vista: non solo è il più grande della Spagna romana, ma rappresenta anche un unicum in tutto l’impero per la grande profusione iconografica e la struttura variegata e complessa. Gode inoltre di un ottimo stato di conservazione. La sua composizione è di particolare interesse, perché presenta una peculiare combinazione di tematiche mitologiche, rappresentazioni ludiche e allusioni a generi letterari e teatrali.
Le varie scene del mosaico sono articolate tra loro con un chiaro stile narrativo, che permette di seguire la sequenza dei differenti episodi di un mito o di un’allegoria e di coglierne allo stesso tempo i contenuti trasversali.
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