Le lettere di scrocco: come nacquero le estorsioni

Dalla Sicilia agli Stati Uniti d’America, ma anche in Irlanda, Canada, Australia tra XIX e XX secolo le "lettere di scrocco" rappresentarono per le organizzazioni criminali un mezzo per ottenere profitti sulle attività imprenditoriali altrui tramite minacce di morte più o meno dirette

Santa Flavia (Palermo), 12 giugno 1896

Vi pregano gli amici vostri se voi non voleti distrutti i beni che voi possedete vi pregano di mandarsi lire 3 mila se volete vivere ancora dovete fari questo le mandati sul Piano Balestra montagna Catalfamo nella casuccia confinante Luiggi Scardina, mandarli collomo [con l’uomo] vostro Rosario… orario mezzanotte per tre giorni. Li prego di non mancari o pure la vita vostra.

Una "coffin-notice" dei Molly Maguires. XIX secolo

Una "coffin-notice" dei Molly Maguires. XIX secolo

Foto: Pubblico dominio

Non tardò a comprendere il significato della lettera il possidente del comune del Palermitano che molto probabilmente si vide recapitare il messaggio sotto un enorme masso che bloccava l’accesso al proprio fondo. Corredata da sinistri presagi, la missiva era scritta in un italiano piuttosto approssimativo. Ma il destinatario capì subito l’antifona: gli si chiedeva una certa somma di denaro in cambio dell’incolumità personale e dell’integrità dei beni. Al pari di altri prima di lui, il proprietario terriero comprese e forse esaudì quanto preteso dall’anonimo mittente. La nota dai chiari intenti estorsivi è una delle tante «lettere di scrocco» intercettate alla fine del XIX secolo dalla questura di Palermo e così catalogate dal delegato di pubblica sicurezza, Antonino Cutrera. Nel suo saggio La Mafia e i Mafiosi (1900), scritto con sguardo da antropologo e criminologo, Cutrera precisa che si tratta di «una lettera anonima che arriva per la posta a qualche ricco proprietario di fondi, ove con tono dimesso, quasi di chi domanda perdono dell’importunità, o con estrema arroganza e tono di minaccia, e quasi sempre con la minaccia di commettere gravi danni sulla sua proprietà o persona, si chiede a quel tale proprietario di giardino, una data somma». Quel denaro sarebbe servito a sovvenzionare i picciotti (affiliati) e i bisogni delle loro famiglie. Quanto alle modalità di pagamento, Cutrera scende fin nel dettaglio: «Si raccomanda infine di consegnare il denaro chiuso entro una busta e darlo ad un uomo, un amico, vestito in tale guisa, che si farà trovare su tale via campestre, e in un dato luogo, ed aspetta che sia richiesto da qualche individuo, che gli si avvicina, e dietro lo scambio di una parola d’ordine con relativa controparola, l’intermediario, mandato dal proprietario, consegna la lettera col denaro all’amico che si affretta a scomparire».

Tra XIX e XX secolo la città di Palermo e il suo hinterland sono stretti nella morsa di un «tenebroso sodalizio». Per dirla con le parole dello storico Salvatore Lupo «siamo davanti a un’organizzazione centralizzata; meglio potremmo dire a una federazione tra le cosche delle borgate». Accanto a quei mafiosi che si concentrano maggiormente sul monopolio della cosiddetta “economia del vicolo”, si delinea una mafia di tipo rurale che estende i propri tentacoli su tutta la ricca agricoltura intensiva praticata in numerosi centri del Palermitano tramite una sequela di delitti comuni: rapine, sequestri, abigeati, contrabbando, spaccio di monete false e appunto estorsioni mediante lettere di scrocco. Secondo i dati diffusi da Cutrera dal 1893 al 1899 nella sola provincia di Palermo ne vengono catalogate 219.

Una mappa segnala l'attività mafiosa in Sicilia nel 1900. Tratta da 'La mafia e i mafiosi. Origini e manifestazioni'. Antonio Cutrera, 1900

Una mappa segnala l'attività mafiosa in Sicilia nel 1900. Tratta da 'La mafia e i mafiosi. Origini e manifestazioni'. Antonio Cutrera, 1900

Foto: Pubblico dominio

U pizzu

«Evitate di mandare in rovina la gente con richieste assurde di denaro. Offrite invece la vostra protezione, favorite la prosperità dei loro commerci ed essi non solo saranno felici di pagare il pizzu, ma vi baceranno le mani per la gratitudine». Sono parole attribuite dallo storico Arrigo Petacco al boss di Bisacquino (Palermo) Vito Cascio Ferro. Giunto a New York nel settembre del 1901 con alle spalle una serie di reati e condanne, don Vito si unì a una banda di falsari ed estorsori di Corleone con a capo Giuseppe Morello. La banda nota come “Mano Nera”, che agiva prevalentemente a danno di quella miriade di attività presenti nella Little Italy, fu presto oggetto delle attenzioni del detective italo-americano Joe Petrosino.

Si racconta che fu proprio don Vito Cascio Ferro a introdurre negli Stati Uniti la tecnica della lettera di scrocco. A lui è attribuita infatti l’espressione fari vagnari u pizzu (far bagnare il becco) da cui proverrebbe il termine usato ancora oggi per intendere il racket dell’estorsione. Un’altra ipotesi più attendibile riguardo alle origini del pizzo rimanda al duca Sigismondo Castromediano, autore di un libro di memorie dal titolo Carceri e galere politiche (1895). Castromediano scrive che i detenuti che varcavano per la prima volta i cancelli delle galere partenopee controllate dalla camorra erano immediatamente soggetti a due “taglie” o imposizioni fisse: un contributo per l’olio della lampada che veniva posta davanti all’icona della Madonna e il pagamento di un pizzo che «nel gergo carcerario […] è il posto dove stendere la propria cuccia sulla nuda terra e lungo le pareti, o innanzi alle finestre, o presso l’uscio, e lontano poche linee dai giacigli dei compagni». Il più delle volte il giaciglio si riduceva a un «pagliericcio imputridito» sistemato in un luogo che come spiega Castromediano «non poteva ottenersi tra i migliori senza il consenso del priore che ne riscuoteva il prezzo».

Sigismondo Castromediano

Sigismondo Castromediano

Foto: Pubblico dominio

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Bare e pistole

Bare, croci, teschi con le tibie incrociate, altre volte pistole spaventavano a morte chi se li vedeva recapitare. Tra Europa e Nuovo Mondo i primi a utilizzare tali simboli furono gli appartenenti alla società segreta denominata Molly Maguire, attiva dal 1862 al 1876 in Irlanda, ma anche a Liverpool nel Regno Unito e nella parte orientale degli Stati Uniti d’America, specie negli ambienti minerari della Pennsylvania. Il gruppo prendeva il nome da una vedova che nel 1840 si pose alla guida di alcuni agitatori irlandesi contro i proprietari terrieri. I “mollies” si resero protagonisti di atti sediziosi e di stampo terroristico nei bacini carboniferi della Pennsylvania e della West Virginia: alle brutali condizioni di lavoro e alle discriminazione i membri della società segreta risposero con omicidi, atti di sabotaggio e vere e proprie intimidazioni affidate a lettere sulle quali campeggiavano spesso alcune bare. Una di queste missive venne utilizzata come prova da Franklin B. Gowen, procuratore distrettuale della contea di Schuylkill nel corso di un processo per omicidio celebrato nel 1876. Catalogata come “coffin-notice [o note]” (letteralmente “avviso di bara”) era indirizzata a un certo Tomas e vi campeggiava un grande feretro su cui era scritto: «Questa è la vostra casa»; mentre tre pistole facevano da cornice a un testo dal contenuto minatorio: «Se non siete già nella bara lo sarete a breve».

Per molto tempo le lettere rappresentarono una modalità estorsiva e intimidatoria praticata negli Stati Uniti, in Australia e Canada, ma non solo da criminali di origine italiana. A Toronto furono utilizzate da delinquenti locali come tecnica per estorcere denaro a facoltosi imprenditori. Agli atti del processo per un tentativo di estorsione ai danni di James C. Eaton – il figlio del fondatore di una delle più note catene commerciali del Paese – sta appunto una serie di lettere di scrocco inviata secondo l’accusa a Eaton, nel 1910, da James E. McCauley. Tutte recavano in calce la sigla “The Black Hand Society” (l’organizzazione della mano nera). In una di queste si legge: «Per lo statuto della nostra organizzazione, giuro sullo Spirito Santo e tutti i Santi di pretendere e ricevere 200 dollari da voi o rovinerò la tua casa e la tua famiglia sparando il primo che mi capita sotto mano». Nella lettera è indicato anche il luogo – uno dei bagni dell’hotel King Edward – dove sarebbe dovuta avvenire la consegna del denaro. In un’altra lettera inviata a Fred Guido, un commerciante di Welland, nei pressi delle cascate del Niagara, in Canada, si legge: «La presente vi noto la quale ci sono amici indisturbo noi ci rivolgiamo a voi che bene sappiamo che voi potete aiutarci in questa circostanza; sarete pregato non fare il meno di corrispondere al dovere che vi chiama non domandiamo la vostra vita. Alle 3 dopo la mezza notte gennaio 9 - 1932 vi trovate nel cimitero cattolico portate con voi la somma di 5.000 che li sono persone che vi spettano non fare il meno. Sappiamo che sei persona che puoi corrispondere coso contrario vi succede disturbo».

Incontro clandestino dei Molly Maguires. Incisione del 1874

Incontro clandestino dei Molly Maguires. Incisione del 1874

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Le "balle"

Ma uno dei precedenti più datati di lettere a sfondo minatorio ed estorsivo risale ai primi anni del regno d’Italia. Fu allora che si celebrarono diversi processi a carico delle cosiddette “balle”. Si trattava di una via di mezzo tra le società di mutuo soccorso e le associazioni malavitose che estendevano il proprio controllo sulla città di Bologna, il suo contado e in generale su tutto il territorio emiliano-romagnolo e marchigiano. Secondo quanto scrive lo storico Roberto Ibba «le balle si associano per compiere colpi di vario genere: assalti alle diligenze, rapine nei palazzi aristocratici cittadini, furti alla stazione ferroviaria, spingendosi fino a un clamoroso furto ai danni della Zecca». Gli affiliati alla “balla grossa” o “balla dalle scarpe di ferro” appartenevano al ceto artigianale cittadino – macellai, canapai, falegnami, osti, bottai, mercanti – si riunivano in osterie e altri ritrovi improvvisati in piazza Maggiore. Uno dei tanti processi a tali malviventi, celebrato a Pesaro nel 1864, portò alla condanna a morte di Sante Frontini, un calzolaio venticinquenne nativo di Isola di Fano, legato alla famigerata banda Grossi. Sul suo capo pendevano varie accuse tra cui l’uccisione di due carabinieri nel 1861, furti, grassazioni, percosse e, dulcis in fundo estorsione «mediante biglietto contenente minacce di morte».

Esecuzione di undici Molly Maguires a Pottsville, in Pennsylvania, il 21 giugno 1877. Incisione

Esecuzione di undici Molly Maguires a Pottsville, in Pennsylvania, il 21 giugno 1877. Incisione

Foto: The Granger Collection, New York / Cordon Press

Definita anche tassa sulla paura, l’estorsione, nel tempo, da «ingiusto profitto con altrui danno» (art. 640 del Codice Penale) è diventata una forma di protezione, una sorta di pretesa fiscale da parte delle organizzazioni mafiose, giustificata da una serie di controprestazioni, tra cui la risoluzione di controversie di natura legale ed extra-legale, la garanzia dell’ordine pubblico, tramite il controllo della microcriminalità sul territorio e la tutela dei diritti di proprietà e di confine. Oggi, si è ulteriormente evoluta. Ci sono organizzazioni mafiose che impongono prodotti e servizi a imprenditori e commercianti. E ci sono metodi che giustificano l’estorsione mediante fatture per prestazioni inesistenti all’interno di un rapporto formalmente legale che di fatto sovverte la condizione di sudditanza, creando compartecipazione e complicità tra chi estorce e chi viene estorto.

Per saperne di più:

Carceri e galere politiche. Memorie del duca Sigismondo Castromediano. R. Tipografia Editrice Salentina, Lecce 1895.
La mafia e i mafiosi. Antonino Cutrera. Palermo 1900.
Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri. Salvatore Lupo. Donzelli, Roma 2004.

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