Nell’Atene classica c’era un’importante comunità di donne tanto caratteristica quanto difficile da incasellare. Non sarebbe appropriato chiamarle semplicemente “prostitute”, perché la loro condizione era ambigua ed estremamente mutevole. Le etère – come venivano chiamate – potevano essere sia libere che schiave. Potevano provenire da altre città oppure essere nate ad Atene, da un padre che poteva essere uno schiavo, un meteco – cioè uno straniero residente – o persino un cittadino.

Quest’olio del 1889, opera di Henryk Siemiradzki, presenta la celebre etèra Frine mentre sta per fare il bagno su una spiaggia di fronte al santuario di Eleusi
Foto: Peter Barritt / Alamy / AciQuest’olio del 1889, opera di Henryk Siemiradzki, presenta la celebre etèra Frine mentre sta per fare il bagno su una spiaggia di fronte al santuario di Eleusi
Le etère si distinguevano generalmente per la loro bellezza, ma niente impediva che continuassero a svolgere il loro “mestiere” anche quando questa, col tempo, svaniva. Per quanto alcune fossero particolarmente colte, era sufficiente che possedessero delle nozioni di base di musica e danza, come le decorose cittadine e le giovani che facevano le animatrici nei simposi – i banchetti esclusivamente maschili dove si discuteva, si rideva e si beveva vino in abbondanza. Anche se offrivano agli uomini relazioni sessuali, non si confondevano mai con le prostitute dei bordelli. Alcune potevano diventare anche concubine e andare a vivere in casa dell’amante, se questi era celibe o vedovo.
Compagne di banchetto
Ciò che caratterizzava le etère è implicito nella parola che le identifica: erano hetairai, “compagne”, cioè la versione femminile dell’hetairos. In epoca arcaica (776-480 a.C.) gli aristocratici ateniesi erano organizzati in gruppi, le cosiddette hetaireiai o eterie, che spesso avevano tra loro forti rapporti di rivalità. I membri di ogni eteria si incontravano nei simposi, dove si formavano le coppie pederastiche, costituite da un adolescente e da un adulto e caratteristiche della società greca, ma c’erano anche coppie eterosessuali.
Non sorprende, quindi, che come l’amante maschile era definito hetairos, venissero chiamate “etère” le donne che accompagnavano gli uomini a queste riunioni.

Fondo di una kylix dipinta da Eufronio attorno al 490 a.C. che rappresenta una suonatrice di lira nell’atto di spogliarsi in un simposio
Foto: Image Asset Management / Age Fotostock
L’usanza del simposio continuò anche durante l’epoca classica, in piena democrazia, nel V e IV secolo a.C. Divenne persino popolare, nel senso che si estese a cittadini con un potere d’acquisto medio. Lo testimonia l’esistenza di un andron, la parte della casa destinata ai banchetti, in alcune abitazioni del quartiere ateniese del Pireo che sicuramente non appartenevano all’élite economica. Per questi eventi venivano assunte delle animatrici, di solito schiave, che suonavano strumenti e ballavano, contribuendo a creare un clima di erotismo. In genere nelle ceramiche sono rappresentate giovani flautiste. Ci sono alcune scene di sesso esplicito di queste donne con vari uomini contemporaneamente. L’interpretazione di tali scene non è chiara. Potrebbe anche trattarsi di una fantasia dell’artista che decorava gli oggetti in ceramica usati nei simposi.
In ogni caso, le animatrici non erano le etère. Queste ultime accompagnavano gli uomini al simposio e condividevano con loro i letti (klinai) posti lungo le pareti dell’andron, come si faceva con il partner pederastico. Un recipiente decorato con figure rosse, datato attorno al 510 a.C., ritrae due giovani con le rispettive etère su letti di questo tipo.
La ceramica attica ci mostra anche immagini dell’etèra che cammina con il suo partner verso casa al termine del simposio. Qui, ormai nell’intimità, si consumava la relazione sessuale. L’etèra è, quindi, la donna che condivide lo spazio degli uomini (anche nelle palestre dei ginnasi) e con i quali consuma una relazione sessuale, a prescindere dal fatto che l’uomo sia sposato o meno. Anche se non si trattava di una relazione formalizzata giuridicamente, era destinata a prolungarsi nel tempo.
Mogli ed etère
La chiave per comprendere il ruolo sociale delle etère è la tendenza della società greca alla omosocialità, cioè al fatto che gli uomini conducessero la propria vita con uomini e le donne con donne. È proprio questo che garantiva l’esclusività della relazione sessuale della moglie, destinata a perpetuare la famiglia. Ancor più quando la trasmissione del lignaggio avveniva per via maschile, come nel caso di Atene, dove la moglie, sposandosi, lasciava la sua famiglia per quella del marito, trasferendosi a casa sua. Niente impediva che le donne sposate svolgessero le attività più disparate fuori di casa, purché uscissero sempre con altre donne.

Un’etèra accarezza il suo amante a un banchetto. Si possono notare le tavole basse su cui si disponevano gli alimenti e il cratere in cui si mescevano vino e acqua. Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Foto: Scala, Firenze
La moglie era la madre dei figli legittimi e la padrona di casa. Non si mischiava con altri uomini e loro non dovevano parlare di lei. L’etèra, invece, era la compagna che gli uomini sfoggiavano con gli altri uomini fuori di casa.
Nel caso di Atene, si verificò un fatto che contribuì ad accentuare ancor più la differenza tra le ateniesi “rispettabili” e le donne di condizioni inferiori. Nel 451 a.C. l’assemblea della città approvò una legge, proposta da Pericle, il leader politico del momento, che considerava nuovi cittadini i figli di padre e madre ateniesi, e non solamente di padre come avveniva in precedenza. Questa legge ebbe un forte impatto, perché gli ateniesi erano abituati a sposarsi, per piacere o per ragioni economiche, con le donne di altre città e con le figlie dei ricchi meteci.
Ovviamente la norma favoriva le figlie dei cittadini, nella misura in cui diventavano indispensabili per avere figli legittimi, gli unici che potevano ottenere la cittadinanza, ovvero i diritti politici e la possibilità di ereditare. Ma questo non impediva che le ateniesi si sentissero direttamente minacciate dal grande numero di donne che non potevano ottenere la piena cittadinanza, ma che pretendevano di condurre una vita di alto livello grazie ai loro amanti ateniesi.
Mogli risentite
Restano varie testimonianze dei grattacapi delle mogli e dei figli legittimi di fronte al denaro che il capofamiglia sperperava con la sua etèra, sia per farle dei regali che per mantenerla. Inoltre, se un uomo restava vedovo, poteva sposarsi con l’etèra e generare nuovi eredi. Un famoso discorso penale attribuito a Demostene, Contro Neera, racconta il caso di una schiava, Neera, che era stata comprata da bambina per essere educata alla prostituzione; in seguito era passata da un cliente all’altro e aveva avuto tre figli. Alla fine era riuscita a mettere da parte il denaro sufficiente per comprarsi la libertà e aveva conosciuto un ateniese, Stephanos, che le aveva offerto «di diventare sua moglie (…) e non avrebbe permesso a nessuno di maltrattarla». Inoltre, «avrebbe introdotto i suoi figli nelle sue stesse fratrie (delle specie di confraternite che facevano riferimento a un antenato comune), come se fossero suoi, facendogli acquisire la cittadinanza». Questo tentativo di far passare per legittimi i figli dell’etèra straniera fu l’origine della causa in cui intervenne Demostene.
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Tutto ciò comportava una minaccia per l’integrità dell’oikos, ovvero per i beni di famiglia, che dovevano trasmettersi di generazione in generazione.
Questo fatto spiega l’avversione che le etère suscitavano in una parte significativa dell’opinione pubblica ateniese. Un chiaro esempio è il caso di Aspasia, la “compagna” di Pericle, la cui condizione di straniera fu usata dai nemici dello stratega per attaccarla. Proveniente da Mileto, una delle città più raffinate e cosmopolite dell’Asia minore, Aspasia divenne la concubina di Pericle quando questi restò vedovo ed ebbe con lui anche un figlio, nato tra il 445 e il 440 a.C.

Aspasia di Mileto, la famosa etèra compagna di Pericle, fu insultata da molti suoi contemporanei, come Cratino, che la definì una «sfacciata meretrice». Musei Capitolini, Roma
Foto: Oronoz / AlbumAspasia di Mileto, la famosa etèra compagna di Pericle, fu insultata da molti suoi contemporanei, come Cratino, che la definì una «sfacciata meretrice». Musei Capitolini, Roma
Aspasia era l’etèra di Pericle nel senso che il politico e militare ateniese la frequentava al di fuori della casa. E si dice anche che fosse la sua consigliera politica, con effetti non sempre positivi. Qualcuno, come Socrate, l’ammirava. Secondo quanto riferisce Platone nel Menesseno, il filosofo riteneva che Aspasia fosse l’autrice del famoso Epitaffio pronunciato da Pericle e assicurava che era capace di scriverne anche di migliori.
I poeti comici, invece, si accanirono contro Aspasia, accusandola di dirigere un bordello e attribuendole l’etichetta di etèra in senso dispregiativo. Secondo Plutarco, Aspasia dovette affrontare un’accusa di empietà (mancanza di rispetto verso ciò che è ritenuto sacro) da cui sarebbe stata assolta grazie a un emotivo intervento di Pericle durante il processo. Tuttavia, l’autenticità di questo fatto è stata messa in dubbio.
Libere, ma dipendenti
A differenza delle prostitute, le etère avevano relazioni libere e consensuali, basate su una reciproca soddisfazione: il partner ricambiava con regali e attenzioni la loro presenza. Così avveniva, per esempio, nel già citato caso di Neera e dell’amante con cui la donna si era trasferita ad Atene, Phrynion, il quale «andava con lei di simposio in simposio, si faceva accompagnare da lei ovunque si bevesse, e si divertiva con lei in pubblico dove e quando voleva, ostentando pubblicamente la sua amante davanti a tutti».
Poteva accadere anche che una donna fosse etèra di due uomini distinti, per quanto si recasse ai simposi con uno solo di loro alla volta. Laide di Corinto, considerata la donna più bella dei suoi tempi, era la donna del filosofo Aristippo, che la riempiva di regali. Tuttavia, Laide aveva una relazione anche con Diogene il Cinico, probabilmente disinteressata, dato che questi viveva in un’ostentata povertà.

Specchio di bronzo del V secolo a.C. Museo del Louvre
Foto: Dea / Scala, Firenze
Secondo Demostene, dopo che Neera abbandonò Phrynion per andare a vivere con Stephanon, il primo fece una denuncia esigendo che gli venisse resa la sua amante e che questa gli restituisse i beni che aveva portato via da casa sua. Un tribunale arbitrale stabilì che Neera «avrebbe vissuto con ciascuno dei due a giorni alterni (…) e chi l’ospitava quella notte avrebbe provveduto al suo mantenimento, e successivamente sarebbero stati amici senza conservare rancore».
Il giorno stesso in cui venne letta la sentenza, sempre secondo Demostene, le parti del processo «andarono a cenare a casa di colui al quale spettava Neera quella notte, e lei mangiò e bevve in loro compagnia, e diede piacere a tutti i presenti».
Anche se la maggior parte delle etère erano originariamente schiave, la figlia di un cittadino poteva assumere questa condizione. Ciò poteva avvenire, per esempio, nel caso in cui la sua famiglia non fosse stata in grado di provvedere a una dote, o perché la sua particolare bellezza le avrebbe permesso di condurre una vita migliore di quella di “semplice” moglie. In questo modo sarebbe stata indipendente economicamente e avrebbe potuto perfino possedere una casa, in cui vivere sola o con altre etère.
Per quanto le etère potessero raggiungere una notevole autonomia se comparate con le cittadine, non per questo smettevano di dipendere dagli uomini. La loro partecipazione alle riunioni maschili come i simposi o le palestre era subordinata alla presenza del loro partner.
Le donne ateniesi non potevano uscire da sole, se non in età molto avanzata, se volevano preservare la propria integrità, ma neppure potevano farlo le etère, che dovevano farsi accompagnare dai rispettivi partner, o in alternativa, muoversi in gruppo con altre etère. Va detto che, anche se le etère non si relazionavano con le donne sposate, vista la radicale differenza di stato tra le une e le altre, doveva essere molto difficile distinguerle dall’aspetto esteriore.

Frine davanti ai giudici. Jean-Léon Gérôme ricrea in quest’olio l’episodio in cui Frine si mostra nuda ai giudici che l’accusano di empietà e ottiene l’assoluzione. 1861. Kunsthalle Hamburg, Amburgo
Foto: Bridgeman / AciFrine davanti ai giudici. Jean-Léon Gérôme ricrea in quest’olio l’episodio in cui Frine si mostra nuda ai giudici che l’accusano di empietà e ottiene l’assoluzione. 1861. Kunsthalle Hamburg, Amburgo
In generale le mogli usavano molto trucco e indossavano abiti altrettanto appariscenti di quelli delle etère. Inoltre, sia le une che le altre si coprivano probabilmente il volto con un velo, oppure con un manto, per proteggere dal sole la pelle, già messa a dura prova da una cosmetica aggressiva. Nell’antica Grecia la differenziazione sociale esistente tra uomini e donne e tra il maschile e il femminile era molto più forte e significativa di quella che si poteva osservare tra le etère e le donne sposate.
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