L’unica volta in cui Edward Hopper rappresentò sua moglie, la pittrice Josephine Verstille Nivison intenta nel suo lavoro, non inserì nel quadro né una tela né tavolozza e pennelli. In Jo painting, infatti, lei è scorciata in modo tale che si veda appena il braccio sollevato nell’atto di dipingere, ma, in buona sostanza, solo il titolo fa comprendere che azione stia compiendo.
Hopper – famoso per i dipinti in cui mostra la solitudine e l’alienazione urbana della società americana contemporanea (come nel celebre Nighthawks del 1942, in cui mostra i pochi avventori di una tavola calda notturna) – mal digeriva che sua moglie avesse le sue stesse aspirazioni e capacità artistiche. La donna finì per sacrificare la sua identità di artista per lui. Josephine Nivison nacque a Manhattan il 18 marzo 1883 da Eldorado, un pianista e insegnante di musica, e da Mary Ann McGrath. Frequentò la Normal College di New York per diventare insegnante. Data la sua grande passione per l’arte, e per la pittura in particolare, decise di iscriversi anche alla School of Art, uno dei più importanti istituti di New York in quest’ambito. Nel 1906 cominciò a insegnare nelle scuole pubbliche, ma continuando comunque a inseguire il sogno di diventare una pittrice affermata.
'The Art Student'. Ritratto di Josephine Nivision opera di Robert Henri. 1906
Foto: Pubblico dominio
Così, dopo un viaggio in Europa per conoscerne i fermenti artistici e culturali, nel 1914 espose per la prima volta in una mostra collettiva accanto ad artisti del calibro di Man Ray, riscuotendo anche una citazione sul New York Times. Josephine, detta “Jo”, però era una donna dai molteplici interessi: negli anni attorno alla Prima guerra mondiale fece teatro, divenne infermiera per curare i reduci e iniziò a collaborare con The Masses, una rivista d’ispirazione socialista. Nel 1920 lasciò l’insegnamento per dedicarsi completamente all’arte, partecipando a diverse esposizioni e conquistando un forte interesse da parte del pubblico.
Quando aveva circa quarant’anni, nell’estate del 1923, andò a Gloucester, nel Massachusetts, in una sorta di colonia di artisti e qui conobbe Edward Hopper. Entrambi erano stati allievi della School of Art di New York ma non si erano mai frequentati prima. L’uomo non era ancora un pittore affermato, ma lei fin da subito decise di supportarlo nella sua carriera. Per esempio, un giorno fu invitata a partecipare a una mostra collettiva di artisti americani ed europei al Brooklyn museum e riuscì a convincere gli organizzatori a far esporre anche il compagno. Alla fine, Hopper attirò su di sé le attenzioni dei critici, mentre le opere di Josephine finirono in secondo piano.
Edward Hopper nel suo studio. 1945 circa
Foto: Courtesy Everett Collection / Cordon Press
Si sposarono il 9 luglio del 1924 e subito iniziarono i conflitti. Uno dei primi riguardava Arthur, un gatto che Jo trattava come un figlio. Hopper invece non lo sopportava, perché riteneva che la donna desse più attenzioni all’animale che al marito. In Status quo, una caricatura conosciuta che come The Great God Arthur, per esempio, la donna siede a tavola con un enorme gatto all’altro capo, davanti a un arrosto fumante, mentre l’uomo è accucciato sotto il tavolo. Alla fine, la spuntò Hopper e Arthur dovette rimanere nella vecchia casa della padrona, dopo che lei si era trasferita da lui a Washington Square. Poi ci fu la volta dell’automobile: la coppia decise di acquistare una macchina, ma solo Hopper prese lezioni di guida, mentre impedì alla moglie di fare altrettanto.
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Intanto, la fama di Hopper cresceva e quella di Josephine no: aveva perso lo smalto di un tempo, anche perché il marito non la incoraggiava mai. Nei suoi diari, infatti, la principale lamentela di Jo era che suo marito non sosteneva il suo lavoro («Non è bello avere una moglie che dipinge?», gli chiese una volta, retoricamente. «Fa schifo», rispose lui). Una volta, un gallerista vecchio amico di Nivison si recò a casa loro per visionare alcuni suoi acquerelli. Hopper – che notoriamente era un uomo taciturno e apatico tanto che una volta lei disse che era «come un cencio senza consapevolezza del passare delle ore, dei giorni, delle settimane, della vita» – si mise in mezzo chiacchierando e distraendo l’ospite per tutto il tempo: «Non appena una leggera brezza soffia nella mia direzione, deve agire immediatamente, spegnerla per sempre» scrisse Josephine nel suo diario. Quella sera la coppia finì per litigare violentemente, cosa frequente nel loro rapporto. Probabilmente Jo, donna libera e piena d’interessi, non corrispondeva all’ideale di moglie che aveva Edward, almeno a giudicare da alcune caricature incentrate sulla loro vita coniugale: in una, per esempio, lui è ridotto pelle e ossa mentre supplica la donna, che, intenta nella lettura, lo ignora. Il titolo è molto eloquente: Meal Time, L'ora dei pasti.
Nel corso del tempo, lei divenne sempre più insicura del proprio talento, alimentata dal marito che non perdeva occasione di manifestarle la sua superiorità artistica, sminuendo le sue opere. Invece, lei continuava a sostenerlo: lo incoraggiava quando era in crisi d’idee, invitava la gente alle sue mostre, gli suggeriva i titoli delle opere. Il suo ruolo è stato dunque decisivo nella carriera di Hopper e alla sua influenza si deve la scelta dell’artista di dedicarsi seriamente alla tecnica dell’acquarello, nell’estate del 1923. Gli oltre sessanta diari che tenne per tutta la vita, inoltre, sono oggi la fonte principale per lo studio di Hopper, uno dei più grandi interpreti della scena americana moderna.
E gli faceva anche da modella, posando praticamente in tutte le opere dell’uomo in cui compaiono figure femminili, anche se il più delle volte Hopper ne modificò le fattezze per renderla più simile all’immagine che aveva in mente. Edward Hopper morì nel 1967, lei il 6 marzo del 1968. Il loro matrimonio fu di certo “difficile”, eppure rimasero insieme per oltre quarant’anni. «Meritiamo la croix de guerre, una medaglia per esserci distinti nella battaglia», scrisse lei in un bigliettino per il marito, in occasione delle loro nozze d’argento.
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