
Ritratto di Jane Austen disegnato dalla sorella Cassandra nel 1810
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«Qualunque cosa lei scriva è compiuta e perfetta e calibrata. […] Il genio di Austen è libero e attivo. […] Ma di che cosa è fatto tutto questo? Di un ballo in una città di provincia; di poche coppie che s’incontrano e si sfiorano le mani in un salotto; di mangiare e di bere [...] Non c’è tragedia, non c’è eroismo. Ma, per qualche ragione, la piccola scena ci sta commuovendo in modo del tutto sproporzionato rispetto alla sua apparenza compassata […] Jane Austen è padrona di emozioni ben più profonde di quanto appaia in superficie: ci guida a immaginare quello che non dice. In lei vi sono tutte le qualità perenni della letteratura» scrive Virginia Woolf in uno dei diversi testi dedicati alla collega e connazionale un secolo circa dopo la sua morte.
L’ammirazione di Wolf per la penna discreta e ironica di Jane Austen è stata condivisa negli anni da moltissimi lettori, scrittori e critici. Il successo dell’autrice nata a Steventon, in Inghilterra, il 16 dicembre 1775, sembra non avere fine. Negli ultimi decenni i protagonisti di alcuni dei romanzi di Austen sono approdati sul grande e sul piccolo schermo, hanno vestito panni ottocenteschi e moderni, inglesi ed esotici, sono stati riletti e reinterpretati infinite volte, perfino in chiave distopica – si pensi a Orgoglio e pregiudizio e zombie (2009) di Seth Grahame-Smith. Non solo: in Inghilterra e in molti Paesi, tra cui anche l’Italia, non mancano circoli di appassionati della scrittrice, i cosiddetti Janeites, che ne promuovono le opere e ne ricostruiscono l’epoca, organizzando balli in costume e tè, letture e occasioni mondane. Del resto, chi non ha mai sentito parlare di Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy, Emma Woodhouse o delle sorelle Dashwood?

Acquerello di Jane Austen dipinto dalla sorella Cassandra nel 1804
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Il mito di Jane Austen
Sebbene negli ultimi anni della sua breve vita fosse ormai interamente dedita alla scrittura, con molta probabilità Jane Austen non avrebbe mai immaginato di ottenere una simile fama. Tantomeno aveva previsto che attorno alla sua esistenza e ai suoi romanzi si sarebbero espressi innumerevoli pareri critici.
Da più di duecento anni in molti hanno sviscerato i suoi sei romanzi principali – Ragione e sentimento (1811), Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814), Emma (1815), L’abbazia di Northanger (1818), Persuasione (1818) – e gli scritti minori. Si sono scontrati sul suo essere o meno femminista, hanno dibattuto sullo stile e sull’ironia, hanno cercato influenze e generi di riferimento. Ma, soprattutto, in parecchi hanno provato a dipanare le varie incognite circa quella sua esistenza così tranquilla, spesso senza riuscire a venirne a capo.
La famiglia giocò un ruolo decisivo in tal senso. L’amata sorella Cassandra, ad esempio, bruciò le lettere più personali dell'autrice all’indomani della sua prematura morte, avvenuta nel 1817. Se i suoi stessi parenti, in particolare i nipoti, si adoperarono per costruire il mito della scrittrice, ormai famosa, ne occultarono però i dettagli più intimi, in base a un precetto dell’epoca che teneva molto alla sfera privata, soprattutto delle donne. Decisivo fu anche il pregiudizio che le voleva perfette mogli e madri o, se non sposate, rintanate comunque all’interno della struttura famigliare, fuori dalla quale ben poco doveva trapelare.

Ultima pagina di una lettera scritta da Jane Austen a Cassandra l'11 giugno 1799
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Sono quindi scarse le informazioni sulle esperienze di Jane Austen, sugli amori, sulle relazioni. Di certo si sa che nacque nel 1775 da un pastore anglicano, George Austen, e da una madre casalinga, Cassandra. Era la settima di otto figli e con i suoi cari trascorse l’intera esistenza fino alla morte, avvenuta all’età di quarantun anni. Morte, tra l’altro, ancora avvolta nel mistero. Forse fu dovuta al morbo di Addison, forse a un avvelenamento da arsenico: le ipotesi sono svariate.
Rifiutò una proposta di matrimonio il giorno stesso in cui la ricevette, s’innamorò forse di un giovane irlandese, Thomas Lefroy, e visse tra la campagna inglese dell’Hampshire e la cittadina termale di Bath, spesso rievocata nei suoi romanzi. Molto legata all’ambito domestico, scriveva le sue opere su un modesto e minuscolo tavolino, all’insaputa degli ospiti che venivano in visita, e firmò i primi romanzi con uno pseudonimo fin troppo generico: a Lady, una signorina. Si sa inoltre che, in compagnia dei parenti, si dilettava a mettere in scena in casa brevi scenette teatrali, e s’immagina che potesse aver preso parte agli eventi mondani della piccola borghesia rurale e di quella di Bath.
Una vita umile, animata e infiammata soltanto dalla scrittura, che alcuni studiosi attribuiscono a un’ambizione personale e in cui altri scorgono invece uno strumento per riscattare le ristrettezze della famiglia. Una vita semplice, simile a quella di molte donne non sposate della sua epoca e in parte dissimile da quella delle protagoniste delle sue opere, che alla fine del romanzo trovano sempre l’amore, e un bravo e agiato marito.

Frontespizio della prima edizione di 'Ragione e sentimento', il primo romanzo di Austen a essere pubblicato (1811)
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Le donne tra educazione e matrimonio
Fatta eccezione per Emma, che è un’aristocratica, la maggior parte delle ragazze e delle famiglie rappresentate nei romanzi di Austen si muovono negli stessi ambienti in cui visse la scrittrice. E rispondono agli stessi diktat sociali ed economici a cui probabilmente dovette sottostare la romanziera. Poiché una donna non poteva accedere all’eredità paterna per via dell’entail, la legge che vincolava la successione ai soli figli maschi, l’unica possibilità per una vita dignitosa, o migliore, veniva dal matrimonio. Verso tale cammino erano perciò istradate tutte le bambine della società inglese, che per le più fortunate prevedeva un’educazione basata su nozioni di musica, disegno, francese, cucito e danza. Tutto ciò per poter poi trovare un buon partito, che gli avrebbe assicurato un’esistenza senza troppi contraccolpi, nonché una sicurezza materiale. A tale scopo erano organizzati balli, tè e riunioni mondane, in cui le ragazze borghesi o aristocratiche dovevano riuscire a sedurre all’interno di un rigido codice che proibiva di risultare troppo appariscenti o esuberanti.
La società inglese dell’epoca considerava infatti fondamentale che una giovane non macchiasse la propria immagine, non avesse grilli per la testa e rispettasse le convenzioni. La buona reputazione era un concetto cardine del tempo, e lo si ritrova spesso nei consigli dati alle protagoniste di Austen. Le quali, però, da un lato rispecchiano tale attenzione alle forme, dall’altro si discostano in modo più o meno percettibile dal canone, in quanto figure consapevoli e intelligenti. Elizabeth Bennet non rinuncia alla propria arguzia, né Marianne Dashwood alla propria impulsività. Nel corso delle opere le giovani protagoniste imparano a moderare alcuni temperamenti forse troppo sregolati – sempre all’interno della castità, comunque –, ma sanno mantenere il proprio carattere. Non sono certo comparabili al personaggio di Charlotte Lucas, che in Orgoglio e pregiudizio confessa candidamente, riguardo al matrimonio: «Non cerco altro che una casa confortevole». Altro dettaglio: si sposano, sì, ma solo per amore. Come Austen scrisse nei romanzi e nelle lettere pervenuteci, l’unico matrimonio in cui credeva si basava sull’affetto e sull’attrazione, e non solo sulla convenienza, sociale o economica.

Una delle prime due illustrazioni pubblicate per 'Orgoglio e pregiudizio' in un'edizione del 1833
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Fu proprio per smascherare i contrasti e le ipocrisie della sua epoca, nonché le debolezze dei personaggi e le ingiustizie della società in cui erano calati, che Jane Austen fece ricorso a una sottile ironia, caustica quanto delicata, cifra stilistica che la rende immensamente grande. Come a renderla infinitamente grande sono le dettagliate ricostruzioni delle “piccole scene” di cui parla Virginia Woolf, i dialoghi frizzanti, l’uso del discorso indiretto libero, le trame ben congegnate, l’intensità psicologica dei personaggi e la profonda conoscenza delle dinamiche sociali. Tutto ciò ha fatto sì che il pubblico di Austen sia stato sempre eterogeneo, maschile e femminile. Le sue opere, talora etichettate come “rosa”, sono in realtà romanzi universali, che parlano a tutti.
Non è un caso che il termine “Janeites” provenga da un omonimo racconto (1924) di Rudyard Kipling, in cui due reduci di guerra della Prima guerra mondiale si confrontano su come abbiano affrontato i duri anni del conflitto, e uno racconta all’altro di esserci riuscito grazie a un gruppo di soldati seguaci di Jane Austen. Né sembra un caso che pochi mesi fa la pena di un giovane neonazista inglese sia stata bizzarramente cambiata dal giudice: non più due anni di prigione, ma la lettura approfondita dei classici, Jane Austen in testa. Chissà se, china sul suo tavolinetto, Jane Austen ne avrebbe sorriso, rinchiusa nell’intimità della sua casa.

Il cottage di Chawton dove Austen visse gli ultimi anni della sua vita. Ora è il Jane Austen's House Museum
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