Poiché figlia di Eva, responsabile del peccato originale, nel Medioevo la donna fu considerata impura per natura e perciò relegata ai margini della vita della Chiesa. Il Decretum Gratiani, una raccolta di diritto canonico risalente al XII secolo, proibiva alle rappresentanti del genere femminile (monache incluse) di avere contatti con gli oggetti di culto e negava loro la possibilità di trattare argomenti teologici. Secondo Graziano, il monaco camaldolese compilatore della raccolta, la donna non ha infatti alcuna autorità e deve sottomettersi in tutto all’uomo.
Pur in un simile contesto, alcune donne riuscirono a trovare una via per vivere pienamente il loro sentimento religioso, giungendo persino a diventare guide e maestre: quella della mistica, una comunicazione diretta con Dio che poteva assumere la forma di visioni, profezie o miracoli. La prima donna a seguire questa strada fu la tedesca Ildegarda di Bingen.

Ildegarda raffigurata su una vetrata dell'abbazia di EIbingen, a Hesse, che attualmente porta il suo nome
Foto: Fine art images / Age Fotostock
Nata nel 1098 da una famiglia nobile, Ildegarda a soli 8 anni entrò come oblata nell’eremo di Giuditta di Sponheim, vicino all’abbazia di Disibodenberg, nei pressi di Magonza, secondo l’usanza dell'epoca di offrire agli enti monastici donne e bambini. Debole e malaticcia, mostrò già in tenera età un acceso fervore religioso, che si tradusse tra l’altro in visioni divine: iniziate nell’infanzia, esse l’accompagnarono sino alla morte, giunta nel 1179.
Creatura di cenere e polvere
Come testimonia la Vita di Santa Ildegarda vergine iniziata da Goffredo di Disibodenberg e terminata da Teodorico di Echternach, in un primo tempo Ildegarda esitò a divulgare le proprie visioni: «Sino a 15 anni ebbi molte visioni e parlavo molto di esse, sebbene in modo semplice, al punto che quelli che ascoltavano queste cose mi chiedevano meravigliati da dove venissero e da chi avessero origine. Anch’io ero alquanto meravigliata di me stessa [...]. Durante una mia malattia chiesi a una delle mie infermiere se anche lei vedeva cose simili: quando mi rispose di no, fui presa da una gran paura. Spesso, nelle mie conversazioni, parlavo di cose future, che vedevo come presenti; tuttavia, quando notai la sorpresa dei miei interlocutori, diventai più riservata».
Soltanto intorno al 1136, dopo aver preso la direzione della sua comunità, Ildegarda decise di mettere per iscritto le sue visioni, assecondando quanto gli avrebbe ordinato una voce celestiale: «Oh, fragile creatura, cenere da cenere e polvere da polvere, racconta e scrivi ciò che vedi e odi», ricorda la stessa Ildegarda in un suo libro intitolato Scivias, “Conosci le vie [della luce]”. Dopo non poche esitazioni, confessò l’accaduto al suo direttore spirituale e all’abate nella cui giurisdizione si trovava il convento. Poiché non sapeva scrivere, ricorse all’aiuto di un monaco di nome Volmar: ciò comportò tra l’altro una forma di controllo maschile sul testo, che placò i timori dei superiori di Ildegarda nei confronti delle sue rivelazioni. Ella iniziò così la dettatura dello Scivias, un’opera composta da 26 visioni cosmologiche relative all’Apocalisse accompagnate da commenti teologici e lodi ispirate al Cantico dei cantici.
La santa scrisse libri di medicina e dietologia che anticipano di secoli le conoscenze attuali
Tra il 1146 e il 1147 Kuno, abate di Disibodenberg, inviò le pagine scritte da Volmar all’arcivescovo di Magonza affinché questi le esaminasse; quest’ultimo le fece a sua volta pervenire a papa Eugenio III e a Bernardo di Chiaravalle, che in quel periodo partecipavano a un sinodo nella vicina Treviri. Il contenuto delle visioni fu approvato e il loro carattere profetico riconosciuto: Ildegarda venne così autorizzata a proseguire nella stesura del libro e alcuni estratti vennero letti pubblicamente in occasione della chiusura del sinodo, tributando un onore che a nessuna donna era mai stato concesso.

Miniatura da una copia manoscritta dello 'Scivias'. 1220 circa. Università di Heldelberg
Foto: Fine art images / Age Fotostock
In una lettera del 1146 o 1147 indirizzata da Ildegarda a Bernardo di Chiaravalle, si legge: «Io, miserabile, e ancora più miserabile nella mia condizione di donna, ho visto sin dall’infanzia cose grandi e meravigliose che la mia lingua non sarebbe in grado di raccontare se lo Spirito Santo non mi avesse insegnato a credere in loro»; poco più avanti, ella chiedeva al monaco: «Devo dire ciò che vedo apertamente o mantenere il silenzio?». Nella medesima lettera ricordava umilmente la sua condizione femminile, avvicinandola al destino degli uomini: «Sono nata dal ceppo di Adamo, che, consigliato dal diavolo, venne esiliato in terra straniera». Se poteva considerarsi «saggia nell’anima», se durante le sue visioni imparava «il senso interiore» delle Sacre Scritture che le «toccava il cuore e l’anima come una fiamma», era perché Dio si rivolgeva a lei – e tramite lei a tutti gli uomini – per vie misteriose. Bernardo rispose offrendole aiuto e raccomandandole umiltà.
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Dalla medicina alla musica
Tra il 1158 e il 1163 Ildegarda compose il Libro dei meriti di vita e, tra il 1163 e il 1174, il Libro delle opere divine. Il successivo Libro delle sottigliezze delle creature divine è un’originale enciclopedia che si occupa di scienze naturali: contiene alcune intuizioni della concezione eliocentrica dell’universo e della teoria della circolazione del sangue, oltre a elementi che hanno ispirato negli anni Ottanta del Novecento la moda della medicina alternativa. Particolarmente conosciuti oggi sono i 73 inni liturgici da lei composti, raccolti nella Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti, opera centrale nella tradizione del canto gregoriano, e l’Ordine delle virtù, opera teatrale liturgica terminata entro il 1151 che vanta numerose rappresentazioni.

Rovine dell'abbazia di Disibodenberg, monastero nei pressi di Magonza che accolse Ildegarda all’età di otto anni
Foto: Falkenstein / Age Fotostock
Il successo dei suoi libri procurò a Ildegarda un notevole prestigio personale: nel 1150 fondò – vicino a Bingen – una comunità femminile indipendente dall’abbazia di Disibodenberg e, nel 1165, creò un nuovo monastero sulle rive del Reno. Anche se il Decretum Gratiani proibiva alle donne di predicare, Ildegarda realizzò quattro campagne di predicazione: chierici, nobili e cittadini si riunivano per ascoltare i suoi sermoni. Mantenne anche una corrispondenza con alcune delle maggiori figure della cristianità e, con l’autorità conferitale dalle sue visioni, non esitò a pronunciarsi in merito alle questioni politiche del suo tempo, come facevano i profeti dell’Antico Testamento. Nel 1155 l’imperatore Federico I Barbarossa la ricevette a Ingelheim e più tardi le mandò sua moglie Beatrice, non più fertile, con la speranza che le preghiere di Ildegarda contribuissero a farla rimanere incinta. Quando Federico scese in guerra contro il papa, provocando una profonda frattura con la Chiesa, ricevette una severa missiva nella quale la “Sibilla del Reno” gli rimproverava senza mezzi termini di «comportarsi come un bambino, come un uomo dalla vita insensata».
Precorritrice del femminismo
Ildegarda di Bingen è una delle figure più significative della lunga storia dell’emancipazione femminile. Se certamente non poteva mettere radicalmente in discussione il dominio maschile, valorizzò però la femminilità come mai nessuno prima aveva fatto. Nelle sue opere mistiche mutò di segno l’immagine femminile tradizionalmente negativa: assimilando la propria debolezza di donna a quella di Cristo, finì con l’esaltarla; sviluppò anche una spiritualità intensa, sensuale e quasi erotica intorno alla Vergine. Nel Libro delle sottigliezze delle creature divine trattò con sensibilità le questioni relative all’apparato genitale femminile, in modo particolare la prima mestruazione e la menopausa: in un mondo convinto dall’antichità che il sangue mestruale fosse malefico e veicolasse malattie quali la rabbia o facesse appassire l’erba e appannare gli specchi, ciò rappresentò un notevole progresso.
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