Da oltre cinque secoli sul fiume Adda naviga un traghetto “ecologico”, che collega i comuni lombardi di Imbersago e Villa d’Adda. Per farlo funzionare basta un cavo teso tra le due rive, qualche nozione di fisica e l'energia di una sola persona, che sfruttando i vettori di forza della corrente riesce a condurre senza troppa fatica l'imbarcazione, carica di persone e merci. Le sue origini risalgono a prima del XVI secolo, quando le due sponde (oggi appartenenti alle province di Lecco e Bergamo) erano rispettivamente sotto il dominio del ducato di Milano e della Serenissima repubblica veneta.
Tracce di queste imbarcazioni si ritrovano in vari passi di opere letterarie – compresi i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni –, ma tra le testimonianze più significative figura un bozzetto attribuito a Leonardo Da Vinci, che agli inizi del XVI secolo soggiornò nel ducato di Milano per dedicarsi agli studi idraulici nella zona dei Navigli. Non ci sono documenti in grado di associare l'ingegnosa trovata all’inventore fiorentino, che tuttavia ne studiò il funzionamento, basato su un principio di scomposizione delle forze. Lo stesso che ancora oggi consente al “traghetto leonardesco” – rivisitato negli anni – di accompagnare i passeggeri da una sponda all'altra del fiume.
Il traghetto di Imbersago durante una traversata
Foto: Pubblico dominio
Questione di fisica
L'imbarcazione è costituita da due chiglie affiancate e fissate per tutta la lunghezza, a formare una chiatta sormontata da una piccola cabina. All'altro lato si trova un albero senza vela, sormontato da un congegno a doppio rullo in cui scorre un grosso cavo, teso tra una riva e l'altra. Per salpare basta uno “strattone” da parte del traghettatore, che tirando una fune orienta la chiatta verso il centro del fiume. Al resto pensa la corrente, che insiste con uguale potenza sui due lati dell'imbarcazione: al nocchiere non resta che regolare l'inclinazione della chiglia agganciando un'asta metallica alla fune, in modo da regolare la combinazione di forze che sospinge la barca fino all'altra riva, senza fatica e senza inquinare.
L'invenzione del traghetto a fune è stata per un periodo attribuita a Leonardo da Vinci, che tra il XV e il XVI secolo trascorse circa venticinque anni nel ducato di Milano. Era stato incaricato da Ludovico il Moro di risolvere i problemi di navigabilità – dal dislivello delle acque all'irregolarità dei fondali – che impedivano la navigazione tra Lecco e Milano, come testimoniano gli appunti riportati nel Codice atlantico. Il maestro fiorentino entrò così in contatto con il territorio dell'Adda: risale proprio al 1513 un suo disegno intitolato “paesaggio dell’Adda con particolare di un traghetto” (conservato presso la Biblioteca reale di Windsor), in cui si nota un'imbarcazione a fune in tutto simile a quelle che solcano le acque del fiume lombardo.
Il famoso disegno leonardesco del "porto della Canonica di Vaprio" raffigura il traghetto (detto "porto") vincolato a una fune
Foto: Cordon Press
Prima di Leonardo
Come documentato dall'autore brianzolo Erminio Bonanomi, che ha ricostruito storia e vicende dei traghetti sull'Adda, la presenza di queste imbarcazioni a impatto zero risale già alla metà del XV secolo, prima cioè che Leonardo arrivasse a Milano. La prima testimonianza è infatti una lettera del 1454 firmata da Paolo Amigoni, capitano della Martesana, che chiede la revoca della licenza concessa dal duca Filippo Maria Visconti a un abitante della val San Martino per l'utilizzo di un traghetto, probabilmente sfruttato per traffici illeciti. Tra le ipotesi riportate nel volume, si cita però la possibilità che proprio da Vinci abbia ideato il porto di Imbersago – tuttora esistente – dopo aver studiato la legge della scomposizione delle forze che consente al traghetto di spostarsi in linea perpendicolare al fiume, sfruttando la spinta naturale della corrente.
Schema delle forze che permettono il funzionamento del traghetto, tratto da E. Bonanomi, "Traghetti sull'Adda"
Immagine: Giorgio Bertella
Un altro documento risalente al 1575 attesta che a Olginate – undici chilometri a sud di Imbersago – era attiva un'imbarcazione analoga, oggetto di particolari precauzioni, per il trasporto dei passeggeri dal territorio milanese alle sponde della Serenissima, all’epoca duramente colpita dalla peste. Altri due traghetti collegavano Trezzo d’Adda a Capriate e Brivio a Cisano Bergamasco; di quest'ultimo Bonanomi ricorda che «nel 1499 fu ceduto alla nobile famiglia Borromeo da Ludovico il Moro che, sconfitto dall'esercito francese, aveva elargito doni alle illustri casate milanesi per ottenerne la benevolenza». Fu poi «sequestrato dagli avidi governatori spagnoli, che nel 1567 vendettero i diritti di pedaggio per poi riscattarli nel 1577 e affittarli nuovamente l'anno successivo per una somma di annue lire 320».
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A galla sul tempo
I corsi d’acqua costituivano una risorsa importantissima per gli abitanti della Pianura padana. La vivacità commerciale della zona è attestata da documenti cinquecenteschi: la pesca di fiume, l'attività dei mulini e delle piccole realtà artigiane alimentava il commercio della vicina Milano e garantiva la sussistenza dei territori limitrofi. Sui traghetti viaggiavano «li uomini con fagotti, i cavalli, i muli, i carri»: per ognuno di questi era previsto un pedaggio stabilito da un apposito tariffario, da pagare al momento dell'imbarco. Tra le curiosità riportate da Bonanomi, spicca l'accordo siglato tra i comuni di Capriate, San Gervasio e Trezzo, i cui abitanti potevano viaggiare gratis. In cambio, «dovevano occuparsi della manutenzione dei tratti di strada che collegavano i tre paesi al porto, in modo da facilitarne l'accesso»: una forma di gestione cooperativa della mobilità locale.
Per almeno trecento anni il traghetto a fune è stato l'unico mezzo “pubblico” di collegamento – fisico e commerciale – tra la sponda brianzola e quella bergamasca, fino al XIX secolo sprovviste di ponti. Sull’Adda si contavano cinque imbarcazioni di questo tipo, destinate a scomparire con la costruzione del primo ponte a Paderno d’Adda nel 1889. Il traghetto di Imbersago è l'unico superstite all'incedere del tempo, riconfermandosi baluardo ecologico e precursore dei tempi.
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