Il traffico delle reliquie
Possedere una reliquia significa possedere un oggetto di potere. A maggior ragione se l’oggetto sacro appartiene ai primi martiri; figuriamoci, poi, se attribuito a Gesù Cristo, alla Vergine, o a qualche apostolo. Un tempo si credeva che molte malattie si potessero curare attraverso il semplice contatto con le reliquie, per esempio grazie a vertebre, crani, dita o corpi incorrotti. Com’è logico, gli affaristi imbroglioni ne approfittarono, le reliquie si moltiplicarono all’infinito e il loro traffico divenne molto redditizio. Almeno fino al 1215, quando il IV Concilio Lateranense pose un freno al fenomeno proibendo la venerazione di reliquie prive di «certificato di autenticità».
Tuttavia, il traffico e la falsificazione non solo non cessarono, ma giunsero a un punto tale da indurre Calvino a pubblicare nel 1543 il Trattato delle reliquie, nel quale criticava e ridicolizzava il fervore per le ossa e i tessuti del corpo umano. Il riformatore francese dimostrò che c’erano alcuni santi che avevano tre o quattro corpi diversi e segnalò molte reliquie fraudolente: un osso di cervo era fatto passare per il braccio di sant’Antonio; una spugna veniva adorata come se fosse il cervello di san Pietro e, come poté vedere lo stesso Calvino a Reims, su una pietra dietro a un altare c’era persino l’impronta delle natiche di Gesù.
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L’umanista spagnolo Alfonso de Valdés, contemporaneo di Calvino, era ugualmente scandalizzato: «Il prepuzio di Nostro Signore l’ho visto non solo a Roma e a Burgos, ma anche nella cattedrale di Anversa, mentre la testa di san Giovanni Battista si trova sia Roma, sia ad Amiens. Se poi volessimo contare gli apostoli, che non erano più di dodici, considerando che uno non si trova e un altro è in India, ne troveremmo più di 24 in diversi posti del mondo. I chiodi della croce, come scrive Eusebio, erano tre... e adesso ce ne sono uno a Roma, uno a Milano e uno a Colonia, poi ancora un altro a Parigi, uno a León, e infiniti altri. E infine, i legni della croce: vi dico in verità che se riunissero tutti quelli che dicono esservi nella cristianità, basterebbero per riempire un carro». Questa affermazione, tuttavia, fu smentita dall’architetto Charles Rohault de Fleury, che nel 1870 effettuò uno studio sui frammenti di lignum crucis esistenti nella sua epoca e concluse che, messi tutti insieme, non sarebbero arrivati a formare neanche una terza parte della croce di Cristo.
Ossa, denti, viscere
I corpi dei santi potevano essere smembrati in modo che ogni chiesa possedesse una mano di san Giovanni Battista, un molare di santa Apollonia o qualche osso di sant’Epifanio. Le cattedrali, le basiliche e gli eremi venivano edificati sulle tombe o sulle reliquie sacre, alcune delle quali consistevano di frammenti d’ossa o di carne, comprese le viscere essiccate (il cuore di santa Teresa, la lingua di sant’Antonio da Padova o il cervello di santa Margherita Maria Alacoque) o le secrezioni corporee (barattoli con latte della Vergine, lacrime o sangue). Re, papi, principi e nobili avevano un accesso più immediato a queste insolite reliquie, e le utilizzavano per curare sé stessi o i propri familiari. Dicevano che la regina Isabella la Cattolica fosse guarita da una malattia raccomandandosi a sant’Isidoro l’Agricoltore, il cui corpo incorrotto era apparso nel 1212. Ma il fervore per questo santo risaliva a molto prima: si tramanda che Enrico II di Castiglia (1366-1379) fosse andato a Madrid in compagnia della moglie Giovanna per venerare il corpo del santo; una volta aperta l’arca che lo custodiva, la regina aveva cercato di afferrare il braccio destro e l’aveva staccato dal corpo, e da allora lo si era dovuto tenere legato con una corda.
Furti sacri
Apprezzate per il carattere sacro e per le proprietà terapeutiche, le reliquie venivano comprate, e talvolta anche rubate: e non accadeva solo in passato. Nel novembre del 1981 due banditi armati di pistola fecero irruzione nella chiesa di San Geremia a Venezia e si portarono via il corpo mummificato di santa Lucia. La questione si risolse solo con un grande spavento, visto che il corpo fu restituito per la festa della santa, il 13 dicembre. Con quel furto santa Lucia è diventata il personaggio più soggetto a furti della Chiesa: era stata già trafugata dai bizantini a Siracusa nel 1039; dai veneziani a Costantinopoli nel 1204; da alcune monache agostiniane nel 1400 a Venezia, e infine anche da quei delinquenti “da quattro soldi”. Come se non bastasse, alla mummia della santa manca un mignolo, strappato durante un baciamano dal morso di un fedele troppo fervente.
Il dito andò a finire in un’altra chiesa di Siracusa, la località dove santa Lucia era nata nel III secolo. Una classificazione suddivide le reliquie in insigni, notevoli, e minime, a seconda dell’importanza del santo e della parte del corpo. La testa è sempre stata la parte più quotata, poiché si credeva che vi risiedessero l’intelletto, l’anima e la forza. I fedeli potevano anche tenersi addosso degli ossicini, custoditi dentro appositi medaglioni benedetti, chiamati encolpi. Le reliquie più grandi venivano invece conservate in reliquiari d’oro, argento e pietre preziose, che costituivano un tesoro spirituale ed economico. Proprio per questo erano oggetto di furti e motivo di conflitti tra le città. È rimasta celebre la contesa “poco amorevole” tra Poitiers e Tours per il possesso del corpo di san Valentino, patrono degli innamorati; pochi sanno che uno dei tre crani che gli vengono attribuiti è custodito nella chiesa di Sant’Antonio a Madrid, un altro si trova a Toro, presso Zamora, e un altro ancora a Roma.
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