Il tempio di Selinunte, contrariamente ad altri templi dorici, non sempre facilmente attribuibili a qualche divinità, fu dedicato a Era
Foto: Antonio Bartuccio/Fototeca 9X12
Dopo il crollo della civiltà micenea attorno al 1100 a.C., la Grecia attraversò una lunga “età oscura”, il Medioevo ellenico, di cui sono rimasti pochi resti materiali. Di fatto, del primo tempio greco conosciuto non restano che alcune tracce sul terreno. Si sa però che fu eretto nell’VIII secolo a Eretria, sull’isola di Eubea, che era dedicato ad Apollo Dafneforo (“portatore di alloro”) e che era in legno. Aveva una navata centrale allungata, coperta da un tetto a due spioventi sostenuto da pilastri esterni anch’essi in legno. Significativamente la pianta di questo tempio sembra rifarsi a quella di un edificio pubblico di poco precedente, di cui sono state trovate tracce sulla stessa isola. La dimora della divinità seguivainsomma il modello della casa degli esseri umani. Duecento anni più tardi, sull’isola di Samo, di fronte alle coste dell’Asia Minore, sorse il primo tempio greco in pietra del quale ci sono giunte tracce. Dedicato a Era, la moglie di Zeus, aveva una struttura simile ai templi arcaici e presentava già quella forma che avrebbe caratterizzato i santuari nel corso della storia: una cella (naos) con la statua del dio, circondata da colonne.
Secondo alcune teorie, il tempio greco di pietra sarebbe stato influenzato dall’architettura religiosa egizia, anch’essa in pietra, ma non ci sono elementi sufficienti ad avvalorare quest’ipotesi.
Se è vero che i templi egizi presentano spesso un gran numero di colonne, queste sono generalmente situate all’interno dello spazio sacro, del quale costituiscono la cosiddetta sala ipostila, e non all’interno, come invece avveniva in Grecia. Pertanto è molto probabile che il modello greco – un recinto circondato da colonne – sia frutto di un’evoluzione autonoma. Lo sviluppo di questa struttura non può essere spiegato unicamente tramite la religione e le necessità del culto, ma è strettamente relazionato con le caratteristiche della società e del suo elemento più rilevante, la polis.
Veduta della Grecia dell’età aurea, che rievoca la costruzione del Partenone
Foto: Bpk/Scala, Firenze
Il tempio e la città
La statua della divinità era sempre situata all’interno dell’edificio sacro, che era la casa del dio. Per questo il tempio era anche chiamato oikos, termine che indica la dimora e, per estensione, la famiglia. Il culto si svolgeva invece su un altare esterno, posto davanti alla facciata. Questo suddivideva il tempio in due aree distinte. Da un lato c’era la cella della divinità, in cui poteva entrare unicamente il personale addetto ai riti per lavare e vestire la statua sacra, e le cui porte erano sempre chiuse perché nessun altro potesse accedervi. Dall’altro, un’area porticata e colonnata che circondava la zona sacra ed era aperta a tutti. Il santuario greco, quindi, consiste in uno spazio privato e chiuso, circondato da uno spazio pubblico. La cella che ospita la divinità – o la sua rappresentazione terrena – non ha praticamente aperture, è una specie di luogo oscuro e segreto che appartiene esclusivamente agli dei. Invece il portico circostante è della collettività, e i suoi membri possono deambularvi liberamente. In questo senso si può dire che il santuario ha due proprietari, ognuno dei quali possiede una parte specifica dell’edificio: la polis controlla il portico, aperto ai cittadini, mentre la divinità domina la cella.
Veduta notturna dell’Acropoli con il Partenone illuminato e, alla sua sinistra, l’Eretteo
Foto: Nikos Pavlakis / Alamy / Aci
Questa ripartizione del tempio tra la cella della divinità e il portico corrisponde alla struttura della polis, generalmente suddivisa in una città bassa e in una alta fortificata, l’acropoli, dov’erano situati gli spazi sacri. La città bassa era nelle mani della comunità e aveva il centro della sua vita sociale nell’agorà, la piazza pubblica in cui si svolgeva il mercato, si concludevano accordi commerciali e si discuteva di politica e di filosofia. Invece l’acropoli era dedicata al culto religioso. A differenza di quanto avveniva nella città mesopotamica, che apparteneva interamente agli dei, in Grecia le divinità risiedevano nel loro piccolo spazio separato da quello degli umani. In questo modo il tempio è espressione dell’organizzazione sociale della polis. Situato in cima all’acropoli, visibile da ogni punto della città, il santuario rende manifesta la presenza degli dei, indifferenti alla sorte dei mortali che si affannano ai loro piedi nella città bassa, intorno all’agorà. Ma allo stesso tempo testimonia l’autonomia degli esseri umani, che si prendono cura degli dei ma vivono indipendentemente da loro. Il tempio è la dimora della divinità, ma ricorda ai cittadini che la polis è loro.
Una nave per gli immortali
A volte si è contrapposto il modello del tempio greco a quello delle chiese cristiane. In queste ultime l’edificio è organizzato attorno a uno spazio centrale che conduce all’altare e in cui le persone possono circolare liberamente, a differenza di quanto avviene nel tempio greco. Gli edifici religiosi cristiani si configurano così come un luogo di accoglienza, in cui mortali e immortali trovano un punto di incontro e di condivisione dei valori. La chiesa, in quanto spazio che non rifiuta nessun essere vivente e in cui tutti si sentono protetti, diventa una riproduzione dell’Eden biblico e dell’arca dell’alleanza, la cassa in cui erano conservate le tavole della legge che Dio consegnò a Mosè; o della stessa arca di Noè. Non è quindi casuale che questo luogo di sovrapposizione tra l’umano e il divino abbia in alcuni casi la forma di un’imbarcazione rovesciata. Ma la metafora navale non è esclusiva del santuario cristiano. Anche il tempio greco presenta delle similitudini con una barca. L’immagine è resa ancora più evidente dalle file di colonne che lo circondano, simili a remi. Va notato che nell’antica Grecia i remi, per il loro modo rapido e sincronizzato di muoversi al di sopra dei flutti marini, erano spesso paragonati a uno stormo di uccelli migratori, come le gru che guidavano i marinai; e il termine che designa lo spazio porticato del tempio greco, pteron, significa “ala”.
Si può vedere allora il tempio greco come una nave che supera lo spazio invalicabile tra immortali e mortali. È un’imbarcazione solida come una roccia, che sebbene sembri fluttuare nell’aria – soprattutto quando riverbera alla luce del sole, al di sopra delle nebbie umide che coprono la città inferiore e il suo porto – è in realtà saldamente ancorato per l’eternità. Gli edifici, come le barche, hanno bisogno di essere ormeggiati perché le correnti del tempo e dell’oblio non li trascinino via. E la nave di pietra è così solida e inamovibile da trasmettere sicurezza a quelle creature effimere che sono gli uomini. Il passaggio degli esseri umani sulla terra è fugace, ma il tempio è progettato e costruito per ispirare un senso di protezione di fronte alla precarietà dell’esistenza. Quella nave attraccata sopra la città ha la sua àncora nel cosmo. Anticamente gli architetti disponevano i templi secondo la posizione di pianeti, stelle o costellazioni particolarmente luminosi (come Venere, la Stella polare o le Pleiadi) e li orientavano in base ai punti cardinali. Il mondo greco non faceva eccezione in tal senso, e i suoi santuari avevano una corrispondenza con l’ordine cosmico.
Il frontone nell'immagine proviene dal tempio di Egina e raffigura un momento della Guerra di Troia
Foto: Prisma/Album
Il tempio e l’universo
La facciata principale del tempio, dov’era situata l’entrata, era rivolta a est. Così, quando le porte del santuario si aprivano, i raggi del sole nascente illuminavano il volto della divinità, permettendole di entrare in contatto con sé stessa. Anche le prime chiese cristiane erano orientate secondo i punti cardinali, ma l’ingresso era rivolto a ovest, affinché la luce dell’alba, penetrando attraverso le vetrate del coro, orientate a est, investisse il viso dei fedeli che procedevano verso l’altare. Questa disposizione e il ruolo giocato dalla luce evidenziano una differenza essenziale tra tempio cristiano e greco: il primo è la dimora di tutti gli umani; il santuario pagano ospita invece la divinità, e le persone non vi hanno accesso, a eccezione di re e sacerdoti. I templi greci non erano collegati al cosmo solo tramite i punti cardinali, ma avevano con esso una connessione matematica più profonda. Nella costruzione di un tempio l’importante non erano le dimensioni dei vari elementi ma le specifiche relazioni che questi intrattenevano tra di loro, come per esempio i rapporti tra l’altezza, la larghezza e la lunghezza di una sala, o tra l’altezza delle colonne e la loro distanza reciproca. Tutti i componenti architettonici dovevano attenersi a queste proporzioni.
I santuari di Poseidone (a destra) e di Era (a sinistra)
Foto: Guido Baviera/Fototeca 9X12
Nel caso del Partenone, la relazione tra larghezza e lunghezza della cella contenente la grande statua della dea Atena era di 3 a 4. Tali relazioni si ritrovano anche nella musica, nella quale gli intervalli armonici tra le note emesse da due corde dipendono dal rapporto tra le rispettive lunghezze. Di fatto, le colonne che circondavano la cella del tempio rievocavano le corde tese di uno strumento, pronte a vibrare per mano di un divino musicista. Per i greci le proporzioni musicali rimandavano a loro volta alle distanze tra i corpi celesti: il sole, la luna, la terra, gli altri pianeti allora conosciuti (Saturno, Giove, Marte, Mercurio e Venere) e la fascia delle stelle fisse. Se le posizioni degli astri erano governate dagli stessi rapporti che erano alla base della musica, allora i movimenti dei corpi celesti dovevano produrre armonie, la cosiddetta “musica delle sfere”. E i templi, che seguivano lo stesso modello di proporzioni, rappresentavano un’immagine perfetta del cielo. Erano un’immagine in scala ridotta dell’universo.
Vicino ad Atene si trova questo santuario dedicato al dio del mare, Poseidone, il tempio di Capo Sunio
Foto: Ed Freeman/Getty Images
Il santuario greco replicava il cosmo e allo stesso tempo si situava in esso, orientandosi secondo i punti cardinali. In terra come in cielo Se il cielo e il tempio erano strettamente relazionati, quest’ultimo non poteva essere una struttura chiusa o isolata, ma doveva aprirsi alla volta celeste. Ecco perché era delimitato da colonne e non da pareti continue. Il santuario era organizzato secondo gli stessi rapporti che regolavano il firmamento e mirava a renderli manifesti. Da questo punto di vista era del tutto logico e comprensibile ritenere che la divinità dimorasse nel tempio, proprio come abitava nel cosmo. L’architettura sacra offriva un’immagine chiara e comprensibile del mondo, dissipava timori e incertezze, era uno specchio capace di svelare l’universo e di fugare l’ignoranza di fronte ai movimenti celesti. In definitiva, era una chiave per capire gli enigmi del cosmo.