Nel 1898 Giacomo Boni, l'archeologo veneziano chiamato a dirigere gli scavi al Foro romano, fu il primo a portare avanti un progetto sistematico di scavo e valorizzazione dell’area archeologica centrale. A lui si devono importanti scoperte come il Niger Lapis e il Comizio. Nel 1899 individuò, a pochi metri dal Lapis Niger e dal Comizio, presso il portico d’ingresso della Curia Iulia, una cassa o vasca in tufo e un tronco di cilindro. A questo rinvenimento Boni non attribuì una particolare importanza tanto che se ne perse la memoria e l’esatta ubicazione.
L'area del Comizio, ai piedi della Curia Iulia, così come appariva prima delle ultime indagini, nel 2009
Foto: Parco archeologico del Colosseo
A 120 anni di distanza gli archeologi del Parco archeologico del Colosseo, in particolare Patrizia Fortini, ristudiando la documentazione di Boni, hanno intuito l’importanza del rinvenimento. Si tratta di un vano ipogeo con all’interno un sarcofago riemerso accanto al complesso della Curia-Comizio, un luogo fortemente simbolico per la vita politica di Roma, luogo di assemblea dei cittadini, sede di culti antichissimi e adattato alle grandi trasformazioni della città.
Particolare della cassa in tufo con l'elemento circolare accanto
Foto: Parco archeologico del Colosseo
Il sarcofago in tufo misura circa m 1,40 di lunghezza ed è associato ad un elemento circolare, probabilmente un altare. Il sarcofago è stato scavato nel tufo del Campidoglio e dovrebbe pertanto risalire al VI sec. a.C. Tutto il vano e l’area del portico della Curia sono stati puntualmente documentati attraverso un rilievo in Laser scanner in 3D.
Rilievo Laser Scanner delle strutture del portico della Curia Iulia, riemerse dopo lo smontaggio della scala del Bartoli
Foto: Parco archeologico del Colosseo
Il contesto ubicato al di sotto della scalinata di accesso alla Curia, realizzata negli anni ’30 del secolo scorso da Alfonso Bartoli, risulta evidentemente preservato per il suo stesso significato simbolico dalla sovrastante Curia. Tra l'altro coincide con quello che le fonti tramandano essere il punto post rostra (dietro i Rostra repubblicani) dove si collocherebbe il luogo stesso della sepoltura di Romolo (secondo la lettura di un passo di Varrone da parte degli Scoliasti di Orazio, Epodi, XVI). Non è un caso che in asse con l’ambiente sotterraneo si trovi il Lapis Niger, la pietra nera indicata come luogo funesto perché correlato alla morte di Romolo.
Così come riposta il comunicato stampa del Parco Archeologico del Colosseo del 21 febbraio scorso, "l'’ubicazione del rinvenimento raffrontato con questa fonte letteraria rende del tutto verosimile che possa trattarsi di quella che gli antichi romani consideravano la Tomba di Romolo, non il luogo di sepoltura poiché secondo alcuni autori antichi (Plutarco Romolo, 27, 6) i senatori riuniti avrebbero ucciso Romolo e smembrato il suo corpo, mentre altre tradizioni narrano della sua assunzione in cielo (Livio e Plutarco)".
Si tratterebbe dunque di un monumento funerario realizzato in un periodo successivo alla morte di Romolo, per celebrarne il culto e la memoria.
Questa entusiasmante scoperta consentirà di dare nuova luce alla storia di Roma e costituirà una tappa fondamentale, un luogo della memoria delle origini della Città Eterna nei futuri percorsi di visita del Foro Romano.