I cento anni dell’Aeronautica Militare italiana

Il 28 marzo 1923 nasce la regia aeronautica italiana. Da quella data l’aviazione diventa arma autonoma inquadrando i reparti volo precedentemente incorporati nell’esercito e nella marina. Nel decennio successivo gli uomini dell’arma azzurra compiono voli leggendari che stupiscono il mondo, dall’Italia al Giappone, all’Australia, alle Americhe e sul Mediterraneo

Kitty Hawk, contea della Carolina del Nord, 17 dicembre 1903. I fratelli americani Wilbur e Orville Wright riescono a far volare una sorta di aliante fatto praticamente di legno e tela per 59 secondi e 260 metri. Comincia l’epopea del volo, che cambierà per sempre la storia dell’uomo. In pochi anni l’aeroplano aumenta la sua notorietà anche grazie ad apposite manifestazioni aeronautiche come i circuiti aerei, dove i piloti si esibiscono coi loro velivoli. Celebre resta quello del settembre 1909 che si tiene a Montichiari (Brescia). È il primo a livello internazionale e ha una risonanza enorme. Fra i cronisti giunti dall’estero vi è pure un ancora sconosciuto Franz Kafka. In breve tempo l’invenzione dei fratelli Wright conquista anche i mercati. In Italia i tenenti Mario Calderara e Umberto Savoja – i primi a conseguire il brevetto di pilota – ottengono direttamente dai Wright la licenza per produrre cinque aeroplani. È la base per uno sviluppo aeronautico che nei decenni seguenti vedrà l’Italia all’avanguardia nel settore.

Giulio Gavotti, aviatore italiano, su un biplano nel 1910 a Roma

Giulio Gavotti, aviatore italiano, su un biplano nel 1910 a Roma

Foto: Pubblico dominio

Dalle origini ai cieli della Prima guerra mondiale

L’Italia, però, già dal 1884 dispone di un servizio aeronautico in seno all’esercito, che il ministero della guerra ha dotato di aerostati da ricognizione. Nel 1887 questi sono usati durante la guerra d’Eritrea per osservare dall’alto i movimenti nemici. Come spesso accade il progresso tecnologico si lega agli eventi politico-militari della storia umana. Infatti il primo impiego operativo del servizio aeronautico si ha nella guerra italo-turca (1911-1912) per il predominio sulla Libia. L'1 novembre il pilota Giulio Gavotti scrive sul suo diario: «Ho deciso di tentare oggi di lanciare delle bombe dall’aeroplano. È la prima volta che si tenta una cosa del genere». La missione ha successo e la sua intuizione è rivoluzionaria. È il primo bombardamento aereo della storia. Il poeta Gabriele D’Annunzio lo immortala nei versi del suo libro Merope. Canti della guerra d’oltremare: «S’ode nel cielo un sibilo di frombe. Passa nel cielo un pallido avvoltoio. Giulio Gavotti porta le sue bombe». Se in Libia l’aereo fa il suo ‘debutto’ operativo è nei cieli della Prima guerra mondiale che si consolida la sua potenzialità. I reparti d’aviazione concentrano la loro attività su bombardamenti e incursioni, specie lungo le coste dell’Adriatico.

«Ho deciso di tentare oggi di lanciare delle bombe dall’aeroplano. È la prima volta che si tenta una cosa del genere», scrisse il pilota Giulio Gavotti sul suo diario

Come la guerra in trincea e sul mare, anche quella nei cieli ha ben presto i suoi eroi: sono gli ‘assi’ dell’aviazione, come Silvio Scaroni che abbatte 26 velivoli nemici lungo la linea del Piave e Francesco Baracca, l’asso degli assi, che consegue ben 34 vittorie. L’aviazione si rivela anche utile per la propaganda. Lo intuisce Gabriele D’Annunzio che il 9 agosto del 1918, alle 5.30 decolla da San Pelagio (Padova) con una squadriglia di undici biblani SVA, acronimo dei progettisti e costruttore Savoja-Verduzio-Ansaldo, per compiere un volo provocatorio su Vienna ed esortare i cittadini alla resa. Quando i velivoli sono sulla città scendono a meno di 800 metri dal suolo e scaricano sulla capitale austriaca 350mila manifestini tricolore scritti in italiano e tedesco. Gli abitanti sono attoniti. Il cuore dell’impero è violato dagli SVA italiani giunti «in questo mattino d’agosto se non per la gioia dell’arditezza – come scrive D’Annunzio su alcuni manifestini – e per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo». La missione non sortisce effetti militari, ma l’impatto psicologico sui viennesi è forte.

Un biplano SVA, Savoja-Verduzio-Ansaldo, del 1918

Un biplano SVA, Savoja-Verduzio-Ansaldo, del 1918

Foto: Pubblico dominio

I ‘ruggenti’ anni venti: l’epoca delle trasvolate e dei trasvolatori.

Fin dove può volare un aereo e a quale altezza? Sono questi interrogativi che animano il progresso aeronautico del dopoguerra. Se le risposte ancora mancano, quello che non manca sono pochi audaci disposti a rischiare tutto per trovarle. Nascono così le trasvolate, voli lunghissimi intrapresi per dimostrare potenzialità ed efficienza dell’aeroplano, che caratterizzano il periodo fra le due guerre. Lo sviluppo teconologico aeronautico e la ricerca di ‘primati’aviatori coinvolge diverse nazioni. In gioco ci sono colossali ritorni d’immagine per le case costruttrici degli aerei e la ricerca di prestigio internazionale per i governi. Sono anni in cui la ‘febbre’ del volo supera oceani e continenti. Dagli Stati Uniti dei ‘ruggenti’ anni venti e del proibizionismo, che organizza una squadriglia d'idrovolanti per compiere il primo giro del mondo, alla Gran Bretagna di Alan Cobham che vola sino in Sud Africa e poi in Australia, o al Portogallo di Couthino e Cabral che nel 1922 volano da Lisbona a Rio de Janeiro per festeggiare il centenario dell’indipendenza del Brasile.

C'è poi la Francia, in cui l’americana Bessie Coleman consegue il brevetto di pilota poiché gli Stati Uniti le negano l’ammissione nelle scuole di volo in quanto nera e donna, e in cui Antoine de Saint-Exupéry dai suoi voli postali trae spunto per alcuni dei suoi capolavori letterari. Quindi la Germania nazista coi suoi enormi Zeppelin e l’Italia fascista che, sopratutto negli anni trenta, organizza le trasvolate per propagandare il regime all’estero e intavolare scambi commerciali con altri Paesi. È su questo palcoscenico internazionale, dove record su lunghe distanze e voli audaci si susseguono a ritmo incessante, che l’Italia gioca un ruolo da protagonista. Così a Centocelle (Roma) il 14 febbraio 1920 i piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero coi motoristi Gino Capannini e Roberto Maretto decollano coi loro biplani SVA 9. È il volo Roma-Tokio: 18.000 chilometri in 30 tappe e 112 ore. Quando il 31 maggio atterrano nel parco dello Yoyogi Kōen a Tokio, l’accoglienza è immensa: l’imperatore Taishō decreta addirittura 42 giorni di festa.

1920 - Il raid aereo Roma-Tokyo

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I ‘ruggenti anni venti’ cominciano al rombo di ‘motori ubriachi di benzina’, parafrasando Ferrarin, e l’impresa è solo il preludio di nuove sfide. Eppure, nonostante i progressi, non esiste ancora l’aeronautica intesa come arma autonoma. I reparti volo, infatti, sono incorporati in esercito e marina. Su questo aspetto il generale Giulio Douhet afferma: «L’aviazione è l’Arma del futuro e come tale deve svilupparsi autonomamente». La sua visione trova applicazione il 28 marzo 1923, quando il governo fascista di Benito Mussolini istituisce il Commissariato generale per l’aeronautica. È la nascita della Regia Aeronautica come terza forza armata italiana. Due anni dopo s'istituisce il ministero dell’aeronautica. La propaganda fascista sfrutta le trasvolate per rappresentare l’Italia all’estero come potenza tecnologicamente avanzata, ma alla base del successo ci sono gli studi e la tecnologia aeronautica italiana che permettono di compiere diverse imprese aviatorie in rapida successione.

Come nel 1924, quando Francesco De Pinedo e il motorista Ernesto Campanelli compiono il volo Roma-Amsterdam e ritorno; l’anno successivo invece, il 20 aprile, decollano da Sesto Calende (Varese) con un piccolo idrovolante battezzato Gennariello. Destinazione Australia, Giappone e poi ritorno a Roma. Dinanzi a loro vi sono ben 55mila chilometri in 88 tappe. È un’impresa storica. Mai nessuno si è spinto così lontano in aereo. Quando il 10 giugno ammarano a Saint Kilda (Melbourne) ci sono circa diecimila persone ad attenderli. Le autorità ordinano la chiusura di tutti i negozi per lo straordinario evento. Tale è il successo di De Pinedo e Campanelli e dell’idrovolante da loro utilizzato che nel 1926 gli argentini Eduardo Olivero e Bernardo Duggan fanno due richieste all'Italia. Oltre ad ordinare alla Savoia-Marchetti un modello simile di velivolo, sollecitano al governo italiano di autorizzare la collaborazione di Campanelli, le cui competenze non hanno rivali, per intraprendere con lui il primo volo New York-Buenos Aires su un idrovolante Savoia-Marchetti S59. Febbraio 1927, Francesco De Pinedo, Carlo Del Prete e Vitale Zacchetti compiono la crociera aerea delle due Americhe. I tre partono da Elmas (Cagliari), poi Brasile, Argentina, Stati Uniti e ritorno, quasi 44mila chilometri. Alla fine degli anni venti gli aerei stabiliscono record mentre i dirigibili si avviano verso il loro tramonto dopo le due epiche spedizioni polari del generale Umberto Nobile, compiute nel 1926 e nel 1928.

Francesco de Pinedo, il Presidente degli Stati Uniti d'America Calvin Coolidge, e l'addetto aeronautico italiano a Washington D.C. Silvio Scaroni

Francesco de Pinedo, il Presidente degli Stati Uniti d'America Calvin Coolidge, e l'addetto aeronautico italiano a Washington D.C. Silvio Scaroni

Foto: Library of Congress

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Oltre l’Atlantico: le Crociere Aeree degli anni Trenta

Novembre 1926. Italo Balbo, gerarca fascista di primo piano ed ex squadrista, diventa sottosegretario all’aeronautica e nel 1929 viene nominato ministro. Comincia una nuova era per l’aeronautica. Balbo imprime un profondo ammodernamento dando grande spazio alla ricerca tecnica. A Guidonia istituisce un centro sperimentale all’avanguardia mondiale mentre a Desenzano nasce il reparto sperimentale alta velocità. Balbo muta pure le trasvolate in crociere aeree di massa: non più voli in solitaria o in coppia, ma voli compiuti da squadriglie di idrovolanti su lunghe distanze con diversi scali. Lo scopo è duplice: addestrare gli equipaggi e, soprattutto, la ricerca di prestigio internazionale per costruire l’immagine di un’aviazione all’avanguardia. Così, nel 1928 e 1929 Balbo organizza le crociere aeree del Mediterraneo occidentale e orientale, con rispettivamente 61 e 35 idrovolanti. Ma a consacrare l’immagine della regia aeronautica sono due imprese colossali il cui successo sarà globale: attraversare l’Atlantico con un volo in formazione.

È un’impresa mai tentata prima, per la preparazione si costituisce anche un’apposita scuola di navigazione aerea d’alto mare. La prima, la crociera aerea transatlantica Italia-Brasile del 1930-1931 vede impegnati 12 idrovolanti, che partono il 17 dicembre da Orbetello e giungono a Rio de Janeiro il 15 gennaio dopo varie tappe, e dopo aver compiuto un salto atlantico di ben 3000 chilometri senza scalo in circa 20 ore. La riuscita del grande volo porta Balbo a progettare nel 1933 la seconda impresa transatlantica: la crociera aerea del decennale. L’occasione è il decennale della fondazione dell’Aeronautica, la meta stavolta è il Nord America con Chicago e New York. L’anno è propizio visto che a Chicago si tiene pure l’esposizione universale Century of Progress, a cui l’Italia partecipa con un proprio padiglione espositivo. La metropoli diventa quindi il fulcro del progetto poiché l’esposizione offre una vetrina importantissima in termini di prestigio. L'1 luglio decollano da Orbetello 25 idrovolanti, che toccano Amstersdam, Londonderry, Reykjavík, dove ammarano in una baia la cui spiaggia viene rinominata Balbo beach. Dall'altra parte dell'Atlantico ammarano in Canada, con Shediak e Montréal e, finalmente, a Chicago il 15 luglio. In migliaia assistono all’arrivo degli atlantici, come vengono chiamati gli equipaggi, per tributare loro grandi onori. A Balbo viene persino dedicata una via, la General Balbo Avenue tutt’ora esistente. Il 19 luglio le squadriglie ripartono verso New York, dove i festeggiamenti sono colossali. Notevole la parata su una sezione di Broadway – la cosiddetta Ticker-tape parade – e l’incontro a Washington ospite del presidente Franklin Delano Roosevelt. Il 12 agosto gli equipaggi rientrano a Roma. Hanno percorso 19.900 chilometri di volo e trasvolato l’Atlantico per ben due volte.

Giuseppe Castruccio, il console italiano a Chicago, regge in mano un trofeo d'argento che consegnerà a Italo Balbo al suo arrivo in città. 30 giugno 1933

Giuseppe Castruccio, il console italiano a Chicago, regge in mano un trofeo d'argento che consegnerà a Italo Balbo al suo arrivo in città. 30 giugno 1933

Foto: TopFoto.co.uk / Cordon Press

«Virtute Siderum Tenus»

I tempi di pace e prosperità si avviano però al declino. La Seconda guerra mondiale infrange tutto ciò che anni di primati e trasvolate hanno costruito. La guerra rivela l’inferiorità qualitativa e quantitativa della tecnologia bellica della regia aeronautica. Se gli studi e le esperienze fatte nei tempi di pace tanto lustro hanno portato all’aviazione italiana, ora quello stesso sviluppo italiano mal si declina con l’impressionante tecnologia e il ritmo produttivo dei tempi di guerra adottata dagli altri contendenti. Alla fine del conflitto e con la nascita della Repubblica Italiana l’aviazione è rinominata Aeronautica Militare. Nei decenni successivi partecipa a numerose missioni come la Guerra del Golfo del 1991, le operazioni nella ex Jugoslavia e ovviamente in tutti i teatri dove opera la NATO. Fra i suoi compiti non vi è solo la difesa dello spazio aereo nazionale, ma anche la raccolta e l’elaborazione dei dati per il Servizio Meterologico Nazionale, che in altri Paesi è invece affidato ad istituzioni civili. L’epoca delle trasvolate è ormai lontana ma il coraggio, la competenza e il sacrificio di tutti gli aviatori italiani è ben vivo nel moto dell’Aeronautica: Virtute Siderum Tenus (Con valore verso le stelle), rappresentato oggi anche dall’abilità delle celeberrime Frecce Tricolori. Di quei lontani pionieri del volo rimangono le esperienze che hanno contribuito a creare i collegamenti aerei di cui oggi disponiamo e che già nel 1926 De Pinedo aveva così indicato: «Alla nostra generazione spetta di risolvere il problema delle rapide comunicazioni aeree intermondiali. Alle generazioni future spetterà di risolvere il problema delle comunicazioni interplanetarie».

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