Gli ittiti e il potere dei carri da guerra

Nel II millennio a.C. nel Vicino Oriente si diffuse il carro da guerra: una nuova e potente arma che avrebbe sostenuto l’espansione di grandi regni come l’impero ittita in Anatolia o l’Egitto dei faraoni

Attorno al 1350 a.C. raggiunse la sua massima espansione uno dei più potenti stati dell’antichità: l’impero ittita, i cui domini comprendevano l’Anatolia e gran parte della Siria attuale. Il prodigioso sviluppo degli ittiti fu favorito dal loro potenziale militare, la cui arma più temuta erano i carri da guerra.

Il bassorilievo neoittita datato attorno al 750 a.C. e proveniente da Coba Höyük (Sakçagözü), in Anatolia, rappresenta una scena di caccia al leone

Il bassorilievo neoittita datato attorno al 750 a.C. e proveniente da Coba Höyük (Sakçagözü), in Anatolia, rappresenta una scena di caccia al leone

Foto: Paul Williams / Alamy / Aci

 

 

L’utilizzo di questi nuovi mezzi caratterizzò il II millennio a.C., l’era dei grandi regni del Vicino Oriente. Non sorprende affatto, quindi, che i carri siano menzionati in numerosi passi delle cosiddette “lettere di Amarna”, ovvero la corrispondenza diplomatica intercorsa tra diversi faraoni del Nuovo regno e altri sovrani della regione. Per esempio, Amenofi III saluta il re di Babilonia Kadashman-Enlil I con queste parole: «Io sto bene, spero anche tu. Mi auguro che siano in salute anche la tua casa, le tue mogli, i tuoi figli, i tuoi nobili, i tuoi cavalli, i tuoi carri e le tue terre. Io sto bene, e stanno bene anche la mia casa, le mie mogli, i miei figli, i miei nobili, i miei cavalli, i miei carri e i miei tanti soldati; nelle mie terre tutto è tranquillo». In un’altra lettera il re d’Egitto minaccia velatamente un suo vassallo, il principe di Ammiya, in questo modo: «Sappi che il re è come il sole nel firmamento. I suoi soldati e la moltitudine dei suoi carri godono di buona salute».

I primi carri

Questi veicoli esistevano già mille anni prima che i sovrani del Vicino Oriente ne parlassero con tanto orgoglio nelle loro corrispondenze. L’esemplare più conosciuto è quello rappresentato nello Stendardo di Ur (un pannello di legno ritrovato in una tomba reale della città sumera omonima e risalente al 2500 a.C.): ha quattro ruote lignee piene di diametro compreso tra i 50 e gli 80 centimetri e dei cerchi in pelle, probabilmente fissati con chiodi di rame o bronzo. Secondo questa raffigurazione il carro trasportava un cocchiere e un guerriero armato di giavellotti. Il mezzo era trainato da una varietà di asino, i cui movimenti non venivano ancora diretti tramite il morso (una barretta che si introduce all’interno della bocca), ma con uno strumento molto meno efficiente, ossia un anello collocato sulla cartilagine nasale. Di conseguenza i carri erano lenti e poco maneggevoli. La loro funzione era probabilmente quella di inseguire i nemici: ecco perché sono spesso rappresentati nell’atto di schiacciare l’avversario. Il carro doveva essere anche un elemento di prestigio usato nelle parate trionfali e nei riti funebri.

I muli che trainavano i carri erano diretti tramite un anello collocato sulla cartilagine nasale

Con il passaggio dal III al II millennio a.C. i carri divennero una delle principali armi dell’epoca e videro l’introduzione di varie novità: la ruota a raggi sostituì quella piena, il morso prese il posto dell’anello nasale, e gli asini cedettero il passo a una coppia di cavalli uniti a un timone centrale al quale era agganciata una piattaforma aperta sul retro.

Il carro era un simbolo di regalità, come dimostra questa patera d’oro risalente al XV-XIV secolo a.C.

Il carro era un simbolo di regalità, come dimostra questa patera d’oro risalente al XV-XIV secolo a.C.

Foto: Dagli Orti / Aurimages

Nel corso del II millennio a.C. l’utilizzo di questi veicoli aumentò drasticamente. Intorno al 1650 a.C., durante l’assedio della città Uru, il re ittita Hattuili I dichiarava di avere 30 carri a fronte degli 80 dei suoi avversari hurriti. Tre secoli e mezzo più tardi, attorno al 1275 a.C., nella battaglia di Qade l’esercito ittita di Muwatalli II poteva contare su circa 3.700 carri, anche se solo 500 ittiti; il resto era messo a disposizione da 18 stati alleati o vassalli.

Il nuovo disegno ittita

Gli ittiti svilupparono un nuovo modello di carro con ruote più leggere, a sei raggi invece di otto. Questo veicolo poteva trasportare tre soldati, per quanto se ne vedano solo due nei bassorilievi del grande tempio di Abu Simbel fatto costruire dal faraone Ramses II, l’avversario di Muwatalli a Qade. Secondo queste rappresentazioni il cocchio ittita misurava tra i 2,1 e i 2,5 metri di lunghezza. La maggior leggerezza rispetto a quelli nemici veniva compensata dalla presenza di un terzo passeggero: oltre all’auriga e al guerriero c’era uno scudiero che si agganciava agli anelli posteriori della struttura e ne aumentava così la stabilità durante le manovre. La rapidità dei carri (che a volte si spostavano di notte) permetteva agli ittiti di compiere attacchi a sorpresa dagli effetti potenzialmente letali.

I carri ittiti più evoluti avevano ruote di legno a raggi, erano trainati da cavalli controllati con il morso e potevano ospitare tre persone: l'auriga, il guerriero e lo scudiero

I carri ittiti più evoluti avevano ruote di legno a raggi, erano trainati da cavalli controllati con il morso e potevano ospitare tre persone: l'auriga, il guerriero e lo scudiero

Illustrazione: Sol 90

Se sui carri ittiti si utilizzavano le lance, tra i contingenti nemici l’arma più diffusa era l’arco composito, realizzato con lamine di corno e vari tipi di legname. Con la sua portata di circa 200 metri e una frequenza di tiro tra i 6 e i 10 proiettili al minuto, l’arco era molto più efficace della lancia o del giavellotto. Ma indipendentemente dalle armi presenti a bordo, il carro era utilizzato più per inseguire i nemici che per condurre degli attacchi veri e propri, anche se è probabile che in alcuni casi aiutasse la fanteria a rompere le linee nemiche. Su un terreno favorevole poteva raggiungere una velocità di 16 chilometri all’ora. Per dotarsi di battaglioni di carri lo stato doveva disporre di ingenti risorse. Servivano ampi arsenali per custodire i veicoli (di solito smontati), grandi stalle per i cavalli e reti commerciali attive per procurarsi i vari tipi di legname.

Il carro del XV secolo a.C. ritrovato a Tebe nella tomba Rosellini ha il timone e il mozzo in legno di olmo; l’asse e i raggi delle ruote in legno di rovere, e il gavello (l’anello esterno delle ruote) e il telaio in legno di frassino. Per non appesantire il veicolo di solito non si utilizzavano metalli. Le giunzioni dei vari elementi, compresi i raggi, erano realizzate con strisce di corteccia di betulla o di cuoio bagnato. I gavelli delle ruote erano ricoperti da una fascia di pelle inumidita, che diventava più compatta a mano a mano che si asciugava e fungeva da battistrada. L’asse delle ruote particolarmente lungo – poteva raggiungere i 2,5 metri – forniva una maggiore stabilità, soprattutto in curva. La piattaforma per i passeggeri era leggera e misurava circa un metro di larghezza e mezzo metro di profondità; era ricoperta di pelli e adornata con materiali preziosi.

Uomini e cavalli

Nei vari regni dell'epoca si sviluppò un’aristocrazia militare di guerrieri che combattevano sui carri, come i maryannu del regno di Mitanni. Questi soldati godevano di una posizione politica e sociale privilegiata: ricevevano in usufrutto dei terreni con cui mantenersi, che potevano lasciare in eredità ai propri figli ma non vendere. Grazie a queste risorse erano in grado di provvedere alle spese per il carro, i cavalli e l’auriga. Gli ufficiali, che nella Babilonia del tempo prendevano il nome di shakrumash, potevano trasmettere il carro e la professione stessa ai propri figli, indipendentemente dal fatto che questi fossero in grado di guidarli o meno.

Particolare dello Stendardo di Ur

Particolare dello Stendardo di Ur

Foto: Scala, Firenze

Il cavallo era il principale animale da traino, anche se inizialmente molti sovrani preferivano usare delle bestie più lente (e meno pericolose) quando prendevano parte alle marce trionfali. In una lettera al re di Mari, risalente attorno al 1775 a.C., si legge: «Non voglia il mio signore montare un cavallo; salga piuttosto su un carro tirato da emioni [asini selvatici] più consono al suo ruolo di re». Disporre di buoni cavalli era la preoccupazione di ogni monarca. L’imperatore ittita Hattuili III chiedeva a Kadashman-Enlil I, re di Babilonia: «Inviami dei cavalli, degli stalloni giovani e grandi, perché quelli che mi ha mandato tuo padre erano belli ma piccoli, e in ogni caso sono invecchiati». Va notato che i destrieri dell’epoca erano di dimensioni ridotte rispetto a quelli odierni: raggiungevano un’altezza massima di 1,5 metri al garrese. Si trattava di animali costosi, come dimostra la lettera rabbiosa che il re di Qatna scriveva a Ishme-Dagan I, sovrano di Ekallatum, tra il 1780 e il 1740 a.C.: «Sei un grande monarca; mi hai chiesto quattro cavalli e te li ho inviati. E adesso tu mi mandi [solo] 20 mine [circa 10 chili] di stagno. Non hai forse ricevuto da me tutto [quello che volevi]? Come osi mandarmi questa misera quantità di stagno? Se non mi avessi mandato nulla, mi sarei infuriato di meno, per gli dei di mio padre!».

A partire dal XV secolo a.C. fanno la loro comparsa le corazze a scaglie di bronzo per proteggere i guerrieri sui carri e i rispettivi animali. I cavalli ittiti raffigurati nei bassorilievi della grande sala del tempio di Ramses II ad Abu Simbel non hanno una vera e propria armatura, ma c’è un’immagine in cui indossano una barda a placche di metallo, detta sariam. Questa protezione poteva raggiungere i 27 chili di peso, stando all’esemplare rinvenuto a Kamid el-Loz, nell’odierno Libano. Ma né i poderosi carri né le scintillanti protezioni di bronzo degli aurighi poterono impedire la fine degli ittiti. Il crollo dell’impero e della sua capitale, Hattua, avvenne attorno al 1190 a.C. in seguito alle incessanti lotte interne per il trono e alle invasioni degli enigmatici popoli del mare, che sconvolsero l’intero Mediterraneo orientale.

In questo bassorilievo in pietra proveniente da Karkemiš e risalente al X-VIII secolo a. C. è ritratto un carro da guerra ittita

In questo bassorilievo in pietra proveniente da Karkemiš e risalente al X-VIII secolo a. C. è ritratto un carro da guerra ittita

Foto: Peter Horree / Alamy / Aci

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