Ha destato sempre attenzione il fatto che nella dinastia giulio-claudia, la più conosciuta dell’antica Roma, ci fosse un numero così significativo di imperatori squilibrati, al punto che nessuno ricorda i loro successi mentre sono più che noti i loro comportamenti depravati. Raramente viene riconosciuto il grande trionfo di Ottaviano Augusto nell’instaurare la pax romana dopo anni di sanguinose guerre civili. Tuttavia, chi più chi meno ha sentito parlare delle stravaganze sessuali a cui Tiberio si dedicava nell’isola di Capri. O delle fissazioni del giovane Caligola, inclusa quella di nominare console il suo cavallo, l’unica creatura di cui si fidasse. Oppure della megalomania di Nerone, che non si fece scrupoli al momento di incendiare Roma per costruirsi un palazzo più adeguatamente arieggiato. O, addirittura, delle debolezze mentali del povero Claudio, balbuziente e pauroso abitante del palazzo imperiale che il caso volle trasformare in un imperatore.
Nerone fondò dei giochi, i cosiddetti Neronia, che si festeggiavano ogni cinque anni in concomitanza col suo compleanno. Nell’immagine, il Festival della vendemmia di Alma-Tadema. 1871
Foto: Akg / Album
Di sicuro, una simile immagine degli imperatori romani deve molta della sua fortuna alla letteratura, al cinema e alla televisione. Gli autori moderni hanno spostato il centro dell’attenzione su alcuni comportamenti poco raccomandabili per un governante e che, tuttavia, si ripetono nel corso della storia dell’Occidente: bere troppo, frequentare bordelli, avere eccessi verbali… Le superproduzioni nordamericane, con l’aiuto di alcune britanniche, hanno voluto mostrare sul grande schermo cosa succede quando il potere assoluto finisce nelle mani della follia assoluta, inducendo il pubblico a mettere in relazione le figure dell’antichità romana con personaggi contemporanei come i grandi dittatori del XX secolo.
Storici parziali
L’interesse di Hollywood verso questi tiranni si basa anche sulle fonti della storiografia dell’antichità. In particolare, sulle opere di autori appartenenti all’aristocrazia romana tradizionale che, pertanto, erano contrari al potere personale degli imperatori. Tra questi spicca Tacito, militare e statista che dedicò gli ultimi anni della sua vita alla stesura di due opere memorabili, le Historiae e gli Annales, nelle quali racconta la storia dell’Impero romano da Augusto fino alla sua epoca, sotto Domiziano (fine del I secolo d.C.). Entrambi i capolavori, sfortunatamente, ci sono giunti incompleti. Le descrizioni di Tacito, di uno straordinario realismo e di grande profondità psicologica, tramandano ritratti tenebrosi di imperatori come Tiberio e Claudio. Il biografo Svetonio, che scrisse sotto Adriano (117-138 d.C.), aggiungeva anche pettegolezzi scottanti su quegli imperatori che acquisirono fama di maledetti da una parte della storiografia, che è proprio quella che si è conservata. L’accusa più grave che questi storici antichi facevano agli imperatori era di essere folli. Infatti, questo diventò un argomento ricorrente, quasi un topico stilistico che, in realtà, nascondeva una critica politica.
Di Tiberio, lo storico Svetonio risalta le presunte orge e perversioni a cui si dedicò nella sua villa di Capri, così come raffigura quest’olio su tela di Henryk Siemiradzki. 1881. Galleria Tretyakov, Mosca
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Per comprendere la frequenza di quest’accusa bisogna considerare che tra i romani la pazzia aveva un significato morale molto particolare. In questo, la cultura romana era molto diversa dalla greca. In effetti, i romani ritenevano che l’interesse personale fosse sempre subordinato al bene pubblico e che le virtù dei cittadini avessero valore solo se sottomesse al servizio dello stato. L’educazione romana si fondava su un codice di obblighi, o officia, che guidava tutta la società e che aveva tre pilastri: la virtus, o ciò che si deve fare; la pietas, ovvero il rispetto verso i padri e gli dei della patria, e la fides, la fedeltà agli impegni presi. Chiunque doveva rispettare questo codice, e ancor più coloro che esercitavano una carica pubblica. Perciò, infrangere quel regolamento non era considerato solo un reato, ma anche un’aberrazione che si poteva spiegare solamente come l’effetto di uno squilibrio mentale, la follia, ovvero la insania.
Possiamo trovare un esempio di questa riflessione in Cicerone, che fu anche un politico impegnato della sua epoca. Cicerone non esitava a definire pazzi tutti coloro che provavano a intralciare la sua carriera politica. Egli si basava sull’associazione tra la tirannia e la follia di cui aveva parlato il filosofo ateniese Platone. Secondo quest’ultimo la brama di potere assoluto è frutto di tre stati di alienazione: l’eccesso di alcol, l’innamoramento e la pazzia furiosa (La Repubblica, 573 c). Si tratta di tre stati transitori che provocano comportamenti squilibrati o socialmente patologici che, in generale, sono passeggeri, anche se, nel caso del pazzo furioso, possono diventare permanenti. Con ciò si stabiliva una connessione tra la follia e la tirannia che la maggior parte della storiografia romana dell’epoca imperiale usò per sminuire gli imperatori poco propensi a condividere il potere con il Senato.
Un’altra cosa è se ci sia stato o no un imperatore che si potrebbe considerare clinicamente pazzo. Per follia, i romani intendevano dei disturbi che andavano dalla schizofrenia all’oligofrenia (grave forma di deficienza mentale congenita o ereditaria), senza che fossero in grado di determinare con precisione la gravità di ogni patologia. Tuttavia, per quanto riguarda gli imperatori, sono pochi coloro che sottolineano patologie o comportamenti anomali da un punto di vista psichiatrico. I loro gesti di crudeltà, piuttosto che l’effetto di un sadismo patologico, sono la conseguenza del feroce clima di lotta per il potere che assoggettò la corte imperiale di Roma. È anche vero, però, che troviamo negli imperatori non solo stranezze di carattere, ma anche alcuni atteggiamenti che potrebbero derivare da problemi psichici reali.
I sintomi della follia
Attraverso i testi storici, vediamo quali sintomi presentavano i presunti imperatori pazzi. Tiberio (42 a.C. - 37 d.C.) soffrì in vecchiaia di un cambiamento radicale di carattere e si acutizzò il suo desiderio sessuale verso bambini e bambine che l’imperatore, per eccitarsi, obbligava ad avere rapporti davanti a lui, come racconta Svetonio. Quel vizio non è altro che un sintomo di demenza senile da associare a disturbi ossessivi, a disinibizione e persino a paranoia. Eppure, nonostante tutto ciò, l’assassinio di alcuni amici o familiari – come quello di suo nipote Bruto barbaramente narrato da Tacito – è da attribuirsi a interessi politici. Il dottor Gregorio Marañón, nel libro che dedicò ad analizzare il carattere di Tiberio, respinse del tutto l’ipotesi della follia, sebbene riconoscesse che era un timido patologico consumato da manie che la vecchiaia aveva inasprito e trasformato in disturbi.
Molto più folle, sotto tutti i punti di vista, fu il suo successore, il famoso Caligola (12-41 d.C.). Se la storiografia lo raffigurò come un mostro impazzito, la psichiatria attuale non esita ad affermare che alcuni dei suoi comportamenti corrispondano a quelli di un classico schizofrenico: paranoia, disturbi della personalità ed esperienza di una realtà parallela mediante allucinazioni. Questi sintomi, gravissimi se giudicati adeguatamente, furono motivo di censura nella storiografia successiva, che si concentrò solo sulle stravaganze e le esagerazioni di una persona disturbata. Così riferisce Svetonio: «Durante il giorno si consultava segretamente con Giove Capitolino, ora parlando a bassa voce e tendendo l’orecchio, ora gridando e non senza aggiungere offese».
In quest’olio su tela di Antonio Zanchi, Nerone contempla il corpo di sua madre Agrippina dopo averla uccisa
Foto: BPK / Scala, Firenze
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Sbalzi d'umore e malattie
Gli sbalzi d’umore di Caligola erano proverbiali e spesso motivo di panico tra la sua gente, perché provocavano torture e castighi esagerati. Come narra ancora Svetonio: «Una notte convocò a palazzo tre ex consoli e quando essi giunsero pieni delle più terribili apprensioni, li fece salire su un palco; improvvisamente, saltò fuori vestito da donna, con un mantello e una tunica lunga, eseguì una danza accompagnato dal suono dei flauti e delle nacchere, e poi scomparve». La sua vita sarebbe stata meno pericolosa se avesse potuto dar libero sfogo alle sue passioni artistiche. Però come imperatore, le sue paranoie finirono col provocare il suo stesso assassinio. Fu ucciso da diversi senatori, aiutati dalla guardia pretoriana – la scorta personale degli imperatori – stanchi dei suoi modi tirannici che, in questo caso, erano davvero sintomo di follia.
A Caligola successe Claudio (10 a.C.- 54 d.C.), un uomo che, fino alla fine dei suoi giorni, patì le conseguenze di aver vissuto un’infanzia complicata e repressa: balbettava, zoppicava, aveva molti tic nervosi, soffriva di epilessia e si ammalava continuamente. A causa di ciò, da piccolo subì disprezzo e burle da parte della famiglia imperiale. A furia di restare solo per risparmiarsi brutti momenti, Claudio visse come spettatore passivo di quanto succedeva nella corte imperiale fino al giorno in cui la guardia pretoriana, dopo aver assassinato Caligola, lo piazzò sul trono. La storiografia antica ha accentuato il potere che presumibilmente esercitarono su di lui sua madre, Antonia Minore, che non lo sopportava per i suoi difetti fisici, e le sue mogli, Messalina e Agrippina Minore, passate alla storia rispettivamente per gli eccessi sessuali e per la tendenza alla manipolazione. La psichiatria attuale ritiene che i sintomi di Claudio avessero origine in una possibile paralisi cerebrale, che comunque non influì sulla sua capacità cognitiva né sulla sua aspettativa di vita. Il suo impero fu tra i più tranquilli e prosperi del Principato romano. Claudio, insomma, era malato, non pazzo.
Secondo Svetonio, Claudio fu sottomesso e controllato dalle sue mogli. Nell’immagine, Claudio compare da dietro una tenda e viene proclamato imperatore. Olio su tela di Alma-Tadema. 1871. Galleria d’Arte Walters, Baltimora
Foto: Akg / Album
Crudele e tormentato
A Claudio successe Nerone (37-68 d.C.) un imperatore ricordato dai posteri per la sua crudeltà e per la sua presunta follia. La psichiatria attuale ritiene che il suo non fu un caso di schizofrenia dato che lo schizofrenico non si pente delle sue azioni e non prova empatia per il dolore altrui, persuaso com’è della realtà dei suoi deliri. Nerone, al contrario, non riusciva ad addormentarsi e nutriva grandi rimorsi per i suoi crimini, indizio che dimostra che era consapevole dei danni che arrecava ai suoi sudditi. La sua crudeltà e i suoi turbamenti sono il risultato di una madre manipolatrice e desiderosa di potere, Agrippina, che lo utilizzò per diventare imperatrice di Roma. Questo provocò in lui una nevrosi ossessiva che lo condusse a ordinare la morte della madre allo scopo di liberarsi dal suo controllo. Tacito racconta: «Ma alla fine, considerando che la madre, ovunque fosse, era per lui un peso gravoso, decise di ucciderla; l’unico problema era se col veleno, col ferro o con altra forma di violenza».
Per il resto, Nerone era un giovane viziato e pieno di capricci che il suo precettore e tutore, Seneca, sopportò; non soddisfarli provocava, per impotenza, attacchi di rabbia seguiti da episodi di crudeltà che avevano l’obiettivo di eliminare gli ostacoli. Il rendersi conto che il panico che seminava gli dava libertà rappresentò il detonante del suo regime del terrore, e non fu invece la decisione allarmante di un folle.
Secondo Tacito Nerone disse che ad appiccare l'incendio di Roma furono i cristiani: per punizione li fece legare a dei pali e li fece accendere come se fossero torce viventi. H. Siemiradzki. 1877. Museo Nazionale, Cracovia
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Come recentemente ha dimostrato l’esperta inglese in studi classici Mary Beard, Nerone e Caligola non saranno stati certo amabili, eppure il fatto che siano passati alla storia come pazzi è il risultato di un lavoro di manipolazione portato avanti non solo dai loro successori, ma anche da coloro che hanno narrato i fatti dalla fazione opposta. Tranne il caso della schizofrenia di Caligola, i dati non confermano la follia degli altri imperatori celebri per questa caratteristica. Certo, è vero che erano affetti da patologie che non favorivano il corretto funzionamento del governo. Ma un imperatore non ambisce al buon governo. Ambisce a ottenere più potere.
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