Negli ultimi tempi ha fatto grande scalpore la decisione di firmare con uno pseudonimo femminile, Carmen Mola, una serie di libri dal notevole successo commerciale: è accaduto in Spagna, e i tre scrittori, uomini, si sono giustificati dichiarando di voler giocare con il nome del loro alter ego. Al di là delle ragioni profonde che li hanno spinti a una simile scelta, non lontane, forse, dal seguito di alcuni generi odierni se legati a un nome di donna semplice ed evocativo, colpisce a volte la necessità di ricorrere a uno pseudonimo per attrarre più pubblico.
Se qui si tratta forse di convenienza economica, vi erano epoche in cui l’uso di uno pseudonimo era una vera e propria necessità, non un vezzo o il risultato di un calcolo. E, ovviamente, a ricorrere al nom de plume maschile o all’anonimato erano le donne che, in alcuni frangenti della storia, e in alcune società particolarmente conservatrici, erano costrette a servirsi di tale espediente per poter raggiungere il pubblico e uscire dalle pareti di casa. Per citarne alcune, Jane Austen, le sorelle Brontë e, negli Stati Uniti, Louisa May Alcott, che dovette firmarsi con lo pseudonimo di A.M. Barnard quando scrisse quattro romanzi di terrore, disdicevoli per una “signorina”. Il caso più famoso riguarda forse l’autrice di articoli e romanzi George Eliot, nata il 22 novembre del 1819 in Inghilterra. Il suo vero nome è Mary Anne (Marian) Evans, e venne alla luce ad Arbur Farm, una tenuta nel Warwickshire di cui il religiosissimo padre è amministratore. La crescita di Marian è segnata dall’insegnamento paterno e dalle cure dedicate al padre e ai fratelli dopo la prematura morte della madre.

Ritratto di George Eliot, ovvero Mary Ann Evans, a opera di Francois D’Albert Durade, 1850. National Portrait Gallery, Londra
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Alla ricerca della propria identità
Quando, all’età di ventun anni, la giovane segue il padre in città, a Coventry, entra subito in contatto con liberi pensatori razionalisti, i quali la spingono a riflettere sulle sue posizioni in materia di fede. La giovane Marian traduce persino, senza ricevere in cambio alcun compenso, la Vita di Gesù di David Friedrich Strauss, testo controverso perché mette in dubbio la natura sovrannaturale di certi episodi della vita di Cristo, interpretandoli piuttosto come miti. Non realtà storiche, quindi.
È in tale ambito, perciò, che la giovane Evans muove i primi passi, unica donna in un contesto di uomini. Nel 1851 inizia a collaborare a un giornale, The Westminster Review, per il quale scrive, corregge, sceglie gli articoli, fino a raggiungere l’ambito ruolo di vicedirettrice: è uno scandalo che una donna possa ricoprire una simile posizione di prestigio. Perché per secoli il contesto culturale è stato dominato dal maschilismo, che ha negato alle donne l’accesso agli studi, a cariche di rilievo, o anche alla banale diffusione della cultura.
Marian Evans è molto preparata, intelligente, e anche in contesti pubblici – ad esempio la difesa dei piccoli editori contro i grandi marchi, nel 1851 – è spesso l’unica donna, ma non per questo accetta di tacere o farsi da parte. Negli stessi anni conosce George Henry Lewes, autore di saggi di filosofia, scienze naturali e critica letteraria. George Lewes è sposato, eppure dal 1854 Marian Evans sceglie di andare a convivere con l’uomo senza rispettare le convenzioni. Sfida la società, accompagnandolo perfino in un viaggio in Germania dove lui vuole recarsi per scrivere una biografia di Goethe. L’intera famiglia di origine le toglie la parola e per Marian diviene sempre più difficile frequentare le amiche di un tempo. Isolata da molti, sceglie di dedicare la propria vita al conforto della letteratura.

'L’emarginata', di Richard Redgrave, 1851: un padre caccia di casa la figlia perché ha avuto un figlio fuori dal matrimonio. Royal Academy of Arts, Londra
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La società vittoriana
L’Inghilterra è nel pieno dell’età vittoriana, segnata dal lungo governo della regina Vittoria. Se, da un lato, sono anni di crescita economica, di un certo ottimismo, di espansione coloniale, dall’altro, sotto l’imperante modello della regina, s’impone nella società uno stereotipo conservatore. Il periodo vittoriano, che si spinge ben oltre la morte della regina, avvenuta nel 1901, è rimasto alla storia per il rigido moralismo e per la riconfigurazione del ruolo della donna. Questa viene identificata con il ruolo di angelo del focolare: il marito guadagna, la moglie rimane a casa con i figli, possibilmente molti. È la stessa regina a dare il buon esempio, con nove figli e una condotta apparentemente austera. Le donne di classe media non hanno diritto di voto, né di proprietà, possono al massimo insegnare o dedicarsi a occupazioni socialmente utili.
Convivere con un uomo sposato in un’epoca del genere è a dir poco un’eresia, ma Marian Evans, ormai atea e libera pensatrice, infrange ogni regola e si stabilisce da Lewes fino alla morte di lui. Oltre a tradurre e a scrivere per The Westminster Review e per altre riviste, inizia a pubblicare racconti e romanzi. Stavolta, però, è costretta a scendere a compromessi, sia perché una donna dovrebbe occuparsi dei figli, e non delle bozze di un libro, sia perché l’unione con Lewes danneggerebbe la sua reputazione di autrice. Se la sua vita dev'essere sofferta e segnata dall’esclusione, almeno i suoi libri dovranno essere liberi. Per questo sceglie lo pseudonimo di George Eliot, e pubblica prima l’antologia di racconti rurali Scenes of a clerical life (Scene da una vita clericale), nel 1857, e poi il primo romanzo, Adam Bede, nel 1859. Il successo dei suoi libri è da subito immenso. In pochi anni George Eliot, il prolifico scrittore, diviene uno dei grandi, un autore da migliaia di copie, osannato per lo stile, l’introspezione psicologica dei personaggi, il realismo nella descrizione dell’Inghilterra rurale. Nulla sembra far pensare che dietro un tale straordinario successo possa nascondersi una donna.

Frontespizio del libro 'Scenes of clerical life' di George Eliot, con illustrazioni di Hugh Thompson. MacMillan, 1906
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Cade la maschera
George Eliot scrive incessantemente, e perfino quando si esprime in versi (The spanish gypsy, La gitana spagnola, 1865), riesce a vendere più di quattromila copie. Già da qualche anno ha abbandonato lo pseudonimo e svelato il suo nome. Superato lo scandalo iniziale, l’autrice continua a vendere, anche se le voci sul suo conto non si affievoliscono e i libri devono continuare a uscire con lo pseudonimo maschile. Nel 1878 muore l’amato Lewes, che l’ha sempre sostenuta, e Marian Evans poggia la piuma per sempre. Due anni dopo, ancora sconvolta per la scomparsa del compagno, dà un ulteriore scandalo. Sposa un amico della coppia, John Walter Cross, di vent’anni più giovane. Per la rigida e conservatrice società britannica è un nuovo colpo. Possibile che questa donna di ormai sessant’anni non capisca qual è il suo ruolo? Come se non bastasse, il giovane marito cade – o si getta – dalla finestra dell’albergo a Venezia durante la luna di miele. Ne esce illeso perché finisce nel Canal grande, ma alimenta non poco le chiacchiere della benpensante società.
Il matrimonio dura poco, perché nello stesso anno George Eliot muore per un problema al fegato. Malgrado l’enorme successo letterario, per via della sua scandalosa vita pubblica e del suo ateismo le viene negata la sepoltura a Westminster Abbey, assieme ai grandi d’Inghilterra.

Ritratto di George Eliot a opera di Samuel Laurence, 1860 ca.
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Le voci dopo la morte
George Eliot è senz’altro un’autrice che è stata letta, riletta, osannata, eppure anche dopo la sua scomparsa continua a essere argomento di pettegolezzi. Se un famoso scrittore come Henry James la definisce «splendidamente brutta, squisitamente ripugnante», le voci sul suo aspetto fisico mirano a sminuirne il valore. Nei primi anni del XX secolo si parlerà persino di una mano destra troppo grande, segno delle sue umili origini e del lavoro manuale svolto nell’infanzia, e non mancheranno altre insinuazioni poco gradevoli sulla conformazione del suo volto. Come se, per una donna, il prestigio dovesse essere messo in relazione all’aspetto fisico: del resto, è sempre avvenuto e avviene ancora oggi. George Eliot cadrà nell’oblio assieme ai suoi romanzi, per essere riscoperta solo alla fine del secolo scorso. Di lei colpisce una frase, scritta nel romanzo Adam Bede, che forse riassume la sua vita e il suo pensiero: «La falsità è così semplice, la verità così difficile». Ed è stata proprio la tensione alla verità a guidarla nelle opere come nell’esistenza, così da farne un bersaglio fin troppo facile in una società convenzionale e maschilista.
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