La fine della repubblica di Siena

Nel complesso quadro delle guerre d’Italia che videro Spagna e Francia contendersi il controllo della penisola, la repubblica di Siena divenne una pedina destinata a essere sacrificata a favore della medicea Firenze

La pace siglata fra Enrico II di Francia e Filippo II di Spagna a Cateau-Cambrésis, nell’aprile del 1559, segnò la fine delle interminabili «guerre horrende» d’Italia, iniziate nel 1494, ma anche della storia della repubblica di Siena. L’atto di morte di quella che era stata una delle più splendide città dell’Italia comunale e rinascimentale, patria di banchieri, uomini d’arme, artisti, papi e santi che hanno lasciato un’impronta profonda nella storia europea, finiva così per essere una postilla in un trattato fra grandi potenze transalpine. Repubbliche e signorie italiane, sempre divise da odi e rivalità che risalivano ai secoli del Medioevo, erano infatti ormai solo pedine nella partita fra le grandi potenze europee che aveva come posta in gioco il predominio nella cristianità.

La battaglia di Marciano, nota anche con il nome di battaglia di Scannagallo, dal nome del fosso presso il quale venne combattuta nel 1554

La battaglia di Marciano, nota anche con il nome di battaglia di Scannagallo, dal nome del fosso presso il quale venne combattuta nel 1554

Foto: Fine Art Images / Age Fotostock

La cosiddetta “guerra di Siena”, oltre che l’ultimo capitolo di un confronto che durava da secoli fra le due città toscane, fu anche soprattutto una guerra per procura fra Francia e Spagna. Per comprendere però appieno gli avvenimenti, a queste due dimensioni, regionale e continentale, occorre aggiungerne un’altra, quella cittadina, interna a Firenze. A essere in discussione era infatti il dominio della famiglia Medici, un dominio ancora instabile e al quale molti fiorentini di famiglia spesso più antica e illustre, e talvolta quasi altrettanto ricca, non volevano rassegnarsi. Dunque abbiamo a che fare con tre guerre in una.

Monticchiello e Montalcino

Questo capitolo conclusivo si apre nel 1552, quando Siena era di fatto occupata dall’esercito imperiale. Diego Hurtado de Mendoza, formalmente ambasciatore di Carlo V, era una sorta di governatore, di proconsole, i cui rapporti con i senesi erano tutt’altro che facili. La situazione precipitò quando il Mendoza decise di avviare la costruzione di una fortezza all’esterno della città. Dai senesi l’iniziativa venne interpretata come il tentativo di sottoporre la repubblica a un controllo militare permanente. Consapevoli di non poter sfidare il potere dell’imperatore da soli, i senesi cercarono un appoggio politico nella Francia.

L’insurrezione di Siena venne quindi coordinata con l’intervento di truppe francesi e, nell’agosto del 1552, gli imperiali lasciarono la città. Il filofrancese cardinale Ippolito d’Este, rappresentante di Enrico II, prese quindi il posto del Mendoza come governatore. Più che riconquistare la libertà, la repubblica aveva di fatto cambiato padrone.

Il palazzo pubblico e la torre del Mangia di Siena si affacciano sulla celebre piazza del Campo

Il palazzo pubblico e la torre del Mangia di Siena si affacciano sulla celebre piazza del Campo

Foto: Guido Cozzi / Fototeca 9X12

Spagnoli e imperiali non potevano però lasciare ai francesi il controllo di un territorio strategicamente così importante. E neppure Cosimo I poteva rimanere indifferente, dato che Siena sarebbe diventata una pericolosa base per le trame dei fuoriusciti fiorentini ostili ai Medici. La controffensiva imperiale venne organizzata dal viceré di Napoli, Pedro Álvarez de Toledo, che di Cosimo I era anche suocero. Questo primo tentativo tuttavia fallì grazie all’eroica resistenza del piccolo centro di Monticchiello – in val d’Orcia – e di Montalcino, nella primavera del 1553.

A gennaio dell’anno seguente fecero la loro comparsa sulla scena quelli che sarebbero stati i due principali protagonisti della fase successiva, e più drammatica della guerra: Piero Strozzi e Gian Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano. Il primo, un fuoriuscito fiorentino, era il più acerrimo nemico di Cosimo e prese il posto del cardinale d’Este come rappresentante del re di Francia assumendo il comando delle forze senesi. Il secondo, che nonostante il cognome non era un esponente della famiglia dei signori di Firenze, si presentò invece alla fine di gennaio davanti alle mura di Siena alla testa dell’esercito imperiale e fiorentino.

L’assedio era cominciato. Il Medici tuttavia non disponeva di forze sufficienti per imporre un vero blocco alla città. In giugno Piero Strozzi fu perfino in grado di prendere l’iniziativa e invadere lo stato fiorentino. Lo scopo era quello di ricongiungersi con le truppe di rinforzo che il re di Francia aveva promesso d'inviare, ma la speranza dello Strozzi era anche quella di provocare a Firenze un’insurrezione contro Cosimo. Nessuno dei due obiettivi venne però raggiunto e Piero Strozzi dovette far ritorno a Siena dove, all’inizio di luglio, giunse un altro inviato di Enrico II, il generale guascone Blaise de Monluc.

Blaise de Monluc, uomo d'arme, servì 5 re di Francia. Olio su tela, castello di Beauregerd, Cellettes, Francia

Blaise de Monluc, uomo d'arme, servì 5 re di Francia. Olio su tela, castello di Beauregerd, Cellettes, Francia

Foto: Patrick Lorette / Bridgeman / Aci

La battaglia di Marciano

La situazione nella città si stava nel frattempo aggravando. Le truppe del marchese di Marignano, cresciute di numero, stavano infatti stringendo la morsa, rendendo sempre più difficile far entrare a Siena i rifornimenti necessari. Per alleggerire la pressione, in luglio lo Strozzi decise quindi di compiere un’altra sortita in forze, dirigendosi questa volta verso la Val di Chiana con il grosso dell’esercito: circa 14.500 fanti – tedeschi, guasconi e italiani – e mille cavalieri. Monluc rimaneva a Siena al comando della guarnigione.

Il Marignano si lanciò naturalmente all’inseguimento, con un numero pressoché uguale di fanti ma con cinquecento cavalieri di più, tra i quali trecento “uomini d’arme”, ovvero cavalieri pesanti ai quali lo Strozzi non aveva nulla da contrapporre, come non aveva nulla da contrapporre alla pur modesta artiglieria avversaria. Fu proprio la netta superiorità della cavalleria imperiale a decidere le sorti dello scontro, quando i due eserciti si trovarono di fronte a Marciano, a una trentina di chilometri a sud di Arezzo, il 2 agosto del 1554. Non è tuttavia chiaro se per viltà o per tradimento, la cavalleria dello Strozzi si diede infatti alla fuga non appena venne attaccata da quella avversaria.

A questo punto allo Strozzi rimaneva solo una possibilità: attaccare e sconfiggere con la propria fanteria quella nemica prima del ritorno della cavalleria del Medici. Per far questo però i suoi fanti dovevano attraversare il letto asciutto di un piccolo corso d’acqua, detto Scannagallo, e nel corso della manovra le file dell’esercito dello Strozzi si scompaginarono. In breve lo scontro si trasformò in una rotta catastrofica.

Il trionfo mediceo su Siena dipinto nel 1565 da Giorgio Vasari nel salone dei Cinquecento di palazzo Vecchio a Firenze

Il trionfo mediceo su Siena dipinto nel 1565 da Giorgio Vasari nel salone dei Cinquecento di palazzo Vecchio a Firenze

Foto: Bridgeman / Aci

L’esercito franco-senese lasciò sul campo circa quattromila uomini e altrettanti vennero catturati. La strage indusse a reinterpretare il nome del piccolo fosso presso il quale era stata combattuta la battaglia: Scannagallo, ovvero il luogo dove i francesi – “galli” – erano stati scannati. Da parte medicea la vittoria sarebbe stata celebrata con il grande affresco dipinto da Giorgio Vasari nel salone dei Cinquecento di palazzo Vecchio, a Firenze. La guerra non era certo finita, ma ormai l’esito finale era scontato, nonostante la determinazione di Blaise de Monluc rimasto ad animare la resistenza della città, mentre Piero Strozzi era riparato a Montalcino.

Gli orrori dell’assedio

Per tenere alto il morale vacillante di difensori e cittadini, Monluc continuava a promettere – sapendo di mentire – l’arrivo di ingenti rinforzi francesi in soccorso alla città. La verità era però che ogni speranza di aiuti esterni era venuta meno. Siena era ormai stretta da un assedio sempre più impenetrabile. Per alleggerire la pressione sulle scarse risorse alimentari, Blaise de Monluc fece quindi ricorso a un tipico espediente degli assedi, ovvero l’espulsione dalla città delle cosiddette “bocche inutili”, cioè tutti coloro – donne, vecchi, bambini, soprattutto dei ceti poveri – che consumavano cibo ma non potevano dare alcun contributo alla difesa.

La risposta di Gian Giacomo de’ Medici – «uomo capriccioso e di mala natura» lo definisce un altro cronista – fu spietata: «Si notifica a qualsivoglia soldato del nostro felicissimo esercito, e sottoposto all’autorità nostra, che tutte quelle genti che troveranno che eschino da Siena, li uomini li debbino ammazzare, eccetto che fossero personae da far taglia o soldati che escissero volontariamente, e le donne le debbono tutte svaligiare e farle ritornare dentro Siena - E se trovassero villani o altri, che portassero vettovaglie, o andassero a Siena, gli debbino ammazzare irremissibilmente, e torgli ogni roba…». Centinaia di disperati, cacciati dalla città e respinti dalle truppe assedianti, andarono così incontro a una morte orribile, e i contadini che cercavano di introdurre in città generi alimentari vennero spietatamente trucidati per scoraggiare simili tentativi.

Gian Giacomo de' Medici, marchese di Marignano, guidò le truppe imperiali e medicee durante la guerra di Siena

Gian Giacomo de' Medici, marchese di Marignano, guidò le truppe imperiali e medicee durante la guerra di Siena

Foto: Dea / Scala, Firenze

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La caduta di Siena

In realtà Siena era ormai solo una pedina le cui sorti dipendevano dall’andamento della guerra altrove e dalle manovre diplomatiche. Del resto, fin dall’inizio, per la sua difesa, la città si era affidata a due uomini, certamente capaci e coraggiosi, la cui “agenda” politica e i cui interessi avevano però ben poco a che vedere con quelli della repubblica. Per lo Strozzi la difesa dell’indipendenza senese era solo uno strumento in vista del tentativo di rovesciare il regime mediceo, e Monluc agiva nel nome e per conto di Enrico II re di Francia.

Nei primi mesi del 1555, dopo gli scarsi risultati ottenuti dal Marignano da una parte, e la delusione dei senesi per il mancato arrivo dei soccorsi tante volte promessi, si cominciò a parlare di una soluzione negoziale. Siena era certamente stremata, ma anche Cosimo I e i suoi alleati spagnoli erano inquieti per i successi delle armi francesi in Piemonte. Finalmente, il 7 aprile 1555 vennero sottoscritte le capitolazioni. Le condizioni erano almeno apparentemente miti.

La «Cesarea Maestà» accettava di prendere «la città e la repubblica di Siena sotto la sua protezione et defensione» ma concedendo «alla città e repubblica predetta» la libertà. Naturalmente si trattava di una libertà “vigilata” dato che Siena era costretta ad accogliere una guarnigione imperiale anche se otteneva che non fosse ricostruita l’odiata fortezza, simbolo della sottomissione a un potere straniero. Blaise de Monluc e la guarnigione francese ottennero l’onore delle armi e poterono lasciare la città indisturbati.

Piero Strozzi che capitanò le truppe della repubblica nella guerra di Siena e che, dopo la disfatta di Marciano, resistette a Montalcino

Piero Strozzi che capitanò le truppe della repubblica nella guerra di Siena e che, dopo la disfatta di Marciano, resistette a Montalcino

Foto: Bridgeman / Aci

Siena, che prima dell’assedio contava circa 40mila abitanti, era ridotta a circa seimila. E nei giorni successivi alla resa e all’entrata delle truppe imperiali, in molti, comprensibilmente diffidenti delle reali intenzioni dei vincitori, abbandonarono la città cercando rifugio a Montalcino, dove si era insediato Piero Strozzi, e dove i fuoriusciti senesi proclamarono una «repubblica di Siena ritirata in Montalcino», con la speranza di poter un giorno restituire la piena libertà alla capitale. Queste speranze tuttavia erano, ancora una volta, legate all’andamento del duello franco-imperiale, ora diventato franco-spagnolo.

Con l’elezione, nel maggio 1555, del cardinale Carafa al pontificato come Paolo IV, sembrò che il vento girasse nuovamente a favore della Francia. Il nuovo papa era infatti ostile alla Spagna. Nel 1556 Enrico II inviò in Italia un altro esercito al comando del duca di Guisa. La sconfitta dei francesi nella battaglia di San Quintino, il 10 agosto 1557, mise però fine a ogni illusione. Non solo il Guisa fu richiamato in Francia, ma con lui se ne andarono anche Monluc e lo Strozzi. La difesa di Montalcino venne affidata a Cornelio Bentivoglio, che riuscì a conservare la città fino a quando la pace di Cateau-Cambrésis, nell’aprile del 1559, concluse definitivamente le «guerre horrende d’Italia» e quindi anche la guerra di Siena.

Lo Stato nuovo

Già dal luglio del 1557 Cosimo I aveva ottenuto da Filippo II Siena come feudo coronando il sogno di unire tutta la Toscana, o quasi, sotto il dominio dei Medici. Quasi, perché in realtà la repubblica di Lucca riusciva a salvare la propria indipendenza e perché la Spagna, per motivi strategici, si riservò il controllo di una parte della costa tirrenica – l’Argentario – che divenne lo stato dei Presidi.

Dopo la disfatta di Marciano i fuoriusciti senesi resistettero istituendo la repubblica di Siena riparata in Montalcino

Dopo la disfatta di Marciano i fuoriusciti senesi resistettero istituendo la repubblica di Siena riparata in Montalcino

Foto: CSP_PPI09 / Age Fotostock

Tuttavia il vecchio territorio della repubblica di Siena non fu semplicemente assorbito dallo stato fiorentino, anche per non urtare troppo i sentimenti di una popolazione che si era dimostrata così tenacemente attaccata alla propria indipendenza. Il senese divenne il cosiddetto “Stato nuovo”, con larghi margini di autonomia amministrativa, anche se naturalmente sottoposto alla sovranità di colui che, a partire dal 1569, sarebbe diventato il Granduca di Toscana, titolo appannaggio della dinastia dei Medici fino alla morte dell’ultimo erede, Gian Gastone, avvenuta nel 1737.

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