La febbre della gomma che insanguinò l’Amazzonia

Alla fine del XIX secolo alcuni imprenditori senza scrupoli sfruttarono brutalmente migliaia di indigeni dell’Amazzonia per raccogliere la gomma, l’"oro bianco" dell’epoca industriale

Il 31 dicembre 1896 nel cuore della foresta brasiliana fu inaugurato uno degli edifici più singolari del continente sudamericano: il teatro Amazonas di Manaus. Era stato costruito in poco più di una dozzina di anni con pareti prefabbricate in Inghilterra e i più pregiati materiali dell’epoca, marmo di Carrara e vetro di Murano, mobili francesi e tegole alsaziane. Poteva ospitare oltre settecento persone su lussuose poltrone di velluto rosso. Manaus venne ribattezzata “la Parigi dei tropici”, forse perché, nonostante si trovasse a 1.300 chilometri e a più di venti giorni di navigazione dalla foce del Rio delle Amazzoni, fu la prima città del Brasile ad avere l’illuminazione elettrica e nei suoi negozi si poteva trovare qualsiasi articolo di lusso.

Più di 1.800 chilometri a monte, un’altra città in mezzo alla selva si distingueva per lo sfarzo: la peruviana Iquitos. Era accessibile solamente dopo lunghi giorni di navigazione, ma nel 1905 aveva il tram elettrico, le auto a benzina e vari palazzi decorati con piastrelle italiane e portoghesi, oltre a una casa interamente fabbricata in acciaio progettata da Gustave Eiffel e spedita da Parigi in pezzi da assemblare.

Il teatro Amazonas, inaugurato nel 1896, cadde in disuso negli anni venti a seguito della crisi della gomma. Ha ripreso l’attività nel 1997

Il teatro Amazonas, inaugurato nel 1896, cadde in disuso negli anni venti a seguito della crisi della gomma. Ha ripreso l’attività nel 1997

Foto: Alamy / Aci

L’oro bianco

I soldi che avevano reso possibile questo lusso nel bel mezzo della selva amazzonica provenivano da una pianta, la hevea brasiliensis, ovvero l’albero della gomma. A partire dalla Rivoluzione industriale la gomma era diventata un elemento imprescindibile della vita moderna. Veniva usata per le cinghie di trasmissione delle macchine e per gli pneumatici, per i rivestimenti e gli stivali da pioggia, per i tubi flessibili e per i preservativi. Il caucciù era stato ribattezzato l’“oro bianco” dell’Amazzonia, perché la foresta sudamericana era l’unico luogo al mondo dove si produceva. Nell’Amazzonia peruviana e brasiliana gli alberi della gomma crescevano in modo spontaneo, sparpagliati nella vastità della selva, il che rendeva difficile l’estrazione della materia prima.

La linfa dell’albero della gomma si ottiene realizzando delle incisioni a forma di V sulla corteccia della pianta, da cui cola il lattice che viene raccolto in un recipiente collocato sotto il vertice delle fenditure. Ogni giorno i raccoglitori effettuavano un giro tra i vari alberi, a volte a chilometri di distanza l’uno dall’altro, per recuperare il liquido fuoriuscito durante la notte e riaprire le incisioni. La materia prima veniva portata negli stabilimenti di lavorazione, situati in prossimità dei fiumi, e da lì veniva trasportata a Iquitos o a Manaus. Quindi proseguiva lungo il Rio delle Amazzoni verso la foce, fino a Belém, da dove veniva distribuita al mondo intero.

Tra il 1879 e il 1912 la forte richiesta e il prezzo elevato del caucciù diedero origine alla cosiddetta “febbre della gomma”, con cui si arricchirono alcune famiglie borghesi locali che controllavano l’estrazione e la commercializzazione del lattice. I leader di questa corporazione erano noti come i “baroni della gomma”, e i territori di produzione erano sparsi tra Brasile, Perù, Bolivia, Colombia, Ecuador e Venezuela.

Tre indigeni amazzonici raccolgono lattice in questa incisione del XIX secolo. Le giornate lavorative cui venivano sottoposti erano lunghe e molto dure

Tre indigeni amazzonici raccolgono lattice in questa incisione del XIX secolo. Le giornate lavorative cui venivano sottoposti erano lunghe e molto dure

Foto: White Images / Scala, Firenze

Il paradiso del diavolo

L’azienda più importante nell’epoca della “febbre della gomma” era la peruviana Casa Arana. Il suo fondatore, Julio César Arana, iniziò a estrarre caucciù nel bacino del Putumayo, vicino alla frontiera con la Colombia. Per incrementare i già considerevoli profitti schiavizzò la popolazione indigena locale. Diventato un uomo d’affari implacabile, utilizzò un esercito di mercenari per controllare e opprimere gli indigeni nei suoi centri di raccolta. Nel 1907 Arana fondò a Londra la Peruvian Amazon Rubber Company, società quotata nella borsa britannica che possedeva centinaia di piantagioni di gomma e centri di produzione nella foresta, in particolare a Putumayo. Torture, minacce, stupri e omicidi erano pratiche all’ordine del giorno tra le guardie di Arana, usate per costringere i lavoratori a incrementare l’estrazione di gomma o per impossessarsi di nuovi terreni. Alcune fonti parlano di 40mila indios assassinati dagli uomini di Arana: uno per ogni quintale di lattice estratto.

La famiglia Arana aveva un esercito di mercenari con cui imponeva la sua tirannia

Nel 1909 Walter Hardenburg, un ingegnere statunitense che assistette agli abusi subiti dalla popolazione indigena del Putumayo, descrisse nell’articolo “Il paradiso del diavolo” quello che aveva visto con i suoi occhi: gli agenti della compagnia di Arana obbligavano gli indigeni a lavorare senza sosta, «li frustavano in modo disumano fino a lasciargli le ossa scoperte» e «prendevano i loro figli per i piedi e gli fracassavano la testa contro gli alberi e i muri» per costringerli a lavorare. Hardenburg racconta inoltre che uomini, donne e bambini «erano usati come bersagli per puro divertimento e a volte venivano bruciati con la paraffina perché i dipendenti si divertissero vedendo la loro disperata agonia».

I cosiddetti “crimini del Putumayo” indignarono a tal punto l’opinione pubblica britannica che il lattice fu ribattezzato il “latte maledetto”. La questione giunse al parlamento di Londra e il Foreign Office inviò Roger Casement, ambasciatore a Rio e diplomatico che in precedenza aveva denunciato la schiavitù in Africa, perché indagasse sulle violenze con cui Casa Arana obbligava le popolazioni huitoto, nonuya, muinane, andoque, bora e miraña del Putumayo a lavorare. Nonostante i rapporti di Casement assicurassero la veridicità dei fatti descritti, Arana non fu mai processato per i suoi crimini. Al contrario, ebbe una carriera politica di successo che, finanziata dalle sue fortune, lo portò fino al senato.

Julio César Arana, il principale magnate della gomma

Julio César Arana, il principale magnate della gomma

Foto: Alamy / Aci

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Una nave nella foresta

Un altro grande imprenditore della “febbre della gomma” fu il peruviano Carlos Fermín Fitzcarrald. Figlio di un irlandese-statunitense e di una peruviana, nel 1894 Fitzcarrald organizzò una spedizione per trovare un passaggio tra i bacini dei fiumi Madre de Dios e Ucayali. A questo scopo fu necessario trasportare un’imbarcazione lungo undici chilometri di terreno scosceso, un’impresa che il cineasta tedesco Werner Herzog ricostruì in un celebre film, Fitzcarraldo, interpretato da Klaus Kinski. Fitzcarrald utilizzò centinaia di indigeni, molti dei quali persero la vita nell’operazione. Ordinò inoltre scorribande e razzie contro le tribù che si opponevano alla sua avanzata. La nuova rotta contribuì all’espansione della coltivazione della gomma. Audace, esagerato e stravagante, Fitzcarrald costruì una mansione di venticinque stanze in mezzo alla foresta, con siepi e prati curati da giardinieri cinesi e soffitti con travi di cedro inglese. Ma non poté godere a lungo del suo successo. Nel 1897 l’imbarcazione su cui stava scendendo il fiume, la Contamana, naufragò e lui e il suo socio Vaca Díez annegarono.

Alcune famiglie si arricchirono a tal punto che non sapevano più come spendere i soldi. Importavano beni di lusso dall’Europa e dal resto dell’America e nelle loro abitazioni venivano serviti i liquori più raffinati. Si racconta che alcune signore, per non usare l’acqua sporca del Rio delle Amazzoni, mandassero perfino a lavare i vestiti a Parigi. La “febbre della gomma” passò quando l’Amazzonia perse il monopolio dell’oro bianco. Nel 1876 l’inglese Henry Wickham riuscì a contrabbandare 70mila semi, che furono piantati nei giardini di Kew, a Londra. I britannici inviarono i germogli nei loro possedimenti del sud-est asiatico, dove crearono piantagioni che circa trentacinque anni più tardi iniziarono a produrre gomma in modo più efficiente ed economico. Durante la Grande guerra apparvero poi in Germania alternative sintetiche che diminuirono ancor più la richiesta di lattice naturale. La “febbre della gomma” si concluse bruscamente com’era iniziata.

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