Eracle: l’eroe tra culti e follie

Considerato uno degli eroi più ammirevoli dell’antichità, Eracle o Ercole diviene oggetto di culto in Grecia, in Magna Grecia e a Roma. Città e regnanti si contenderanno la discendenza dal figlio di Zeus, trascurando quella sua vena di follia che si perde nelle brume del mito

Due serpenti strisciano tra le culle dei piccoli Eracle e Ificle, figli della bellissima regina di Tirinto Alcmena. Una regina talmente bella e affascinante che nove mesi prima Zeus, sotto le mentite spoglie del marito assente Anfitrione, l'ha ingannata per unirsi a lei, mettendola incinta di Eracle. Al ritorno dalla guerra, anche Anfitrione ha giaciuto con la legittima sposa, e insieme hanno procreato Ificle, il fratellastro gemello del grande eroe greco. Ora i due bambini dormono tranquilli, ma la gelosa Era, moglie di Zeus, ha ordito un tranello per uccidere l’ennesimo figlio dello sposo fedifrago: due rettili, che avvolgeranno Eracle nelle loro spire sino a soffocarlo. Durante la notte il trambusto sveglia Anfitrione e Alcmena: gli schiavi si sono accorti dei due serpenti e urlano a squarciagola. Appena i genitori accorrono nella stanza, trovano davanti ai propri occhi un’incredibile sorpresa. Eracle stringe tra le mani i due rettili: li ha asfissiati con la sua forza infantile. Ecco la prima impresa di uno degli eroi più amati e venerati dell’antichità.

Eracle – Herklé per gli etruschi ed Ercole per i romani – è uomo, eroe e semidio asceso all’Olimpo dopo la morte. Per questo a lui sono tributati onori, gli vengono dedicati templi e santuari, e il suo mito si propaga in numerose terre per essere narrato da lingue e genti diverse.

Eracle nel giardino delle Esperidi, 1638. Galleria Sabauda, Torino

Eracle nel giardino delle Esperidi, 1638. Galleria Sabauda, Torino

Foto: Cordon Press

Le dodici fatiche

Di Eracle sono impresse nell’immaginario collettivo le dodici fatiche volute dal cugino e sovrano di Tirinto Euristeo; fatiche che l’eroe deve per forza portare a termine perché, in uno dei suoi momenti di violenta follia aizzati da Era, ha ucciso i figli avuti dalla prima moglie, Megara. Le dodici fatiche, dunque, sono tappe di espiazione che, in realtà, ne immortalano le gesta: armato di clava e di arco, Eracle uccide il leone di Nemea e la mostruosa idra di Lerna, ripulisce dal letame le immense stalle del re Augia, cattura il toro di Creta e i leggendari buoi di Gerione... Gli ordini impartiti da Euristeo lo conducono in giro per il mondo allora conosciuto – fino allo stretto di Gibilterra, alle cosiddette colonne di Ercole, non a caso – e, ovunque si trovi, il semidio si scontra pure con altri mostri locali o briganti, contribuendo a salvare le regioni in cui mette piede. Tutto ciò lo rende un eroe civilizzatore, forse il più importante dell’antichità greca e romana.

Se Teseo, suo rivale e amico, è esaltato per aver riunito i villaggi dell’Attica, fondando così l’Atene democratica, Eracle diviene il punto di riferimento per i fasti di molti altri centri, soprattutto della Magna Grecia. A celebrarne la gloria, così come la pazzia che a volte lo coglie, sono in parecchi: le prime testimonianze affondano le radici nei poemi omerici e in Esiodo, dove l'eroe è cantato per la possente forza fisica e per il ruolo civilizzatore contro la barbarie, rappresentata da creature mostruose e banditi.

Statua di Eracle e l'idra databile tra il XVI e il XVII secolo

Statua di Eracle e l'idra databile tra il XVI e il XVII secolo

Foto: Cordon Press

Il teatro classico e la morte di Eracle

Solo nelle tragedie e nelle commedie del periodo classico ateniese – il Prometeo liberato di Eschilo, andato perduto, le Trachinie e il Filottete di Sofocle, l’Alcesti e l’Eracle di Euripide, Le rane di Aristofane – emergono altre caratteristiche del semidio, che compare nei suoi chiaroscuri: deus ex machina a volte buffone, rozzo e passionale, ma più spesso prode salvatore senza macchia né paura, che non esita a scendere nell’Ade per salvare la moglie di Admeto, Alcesti. Al di là dei suoi attacchi di furore, che ne mettono a nudo la fragilità, come avviene in Euripide, Eracle s’impone quale esempio morale, quale benefattore dell’umanità, e la sua biografia si riempie di nuove avventure e vicende, elemento questo tipico del mito e delle sue riscritture. In particolare, ritorna e si amplia il motivo della sua scomparsa terrena.

Nelle Trachinie muore infatti per mano della moglie Deianira che, ingannata dal centauro Nesso, non appena scopre che il marito si sta interessando a un’altra donna gli fa dono di una tunica avvelenata, credendo sia un filtro d’amore: lo condanna invece ad ardere vivo. Eracle accoglie con serenità la sorte a lui assegnata, e chiede al figlio Illo di preparare una pira per gettarvisi. Zeus decide però di portare con sé nell’Olimpo quel semidio che tanto ha sofferto e che enormi benefici ha apportato agli uomini.

Destinato a gloria eterna, addirittura divinizzato, Eracle diventerà un modello e un esempio nei secoli, e la sua numerosa prole – più di trenta figli da varie amanti e mogli – darà illustri natali a diverse dinastie di regnanti. Soprattutto a Sparta, nemica di Atene, i sovrani agiadi ed europontidi (V-III secolo a.C.) individuano in Eracle e negli eraclidi i propri predecessori.

Eracle Farnese, metà del II secolo d.C. Museo archeologico nazionale di Napoli

Eracle Farnese, metà del II secolo d.C. Museo archeologico nazionale di Napoli

Foto: Cordon Press

Eracle italico

È questo lo stesso periodo in cui, nella Magna Grecia, prendono potere le diverse colonie fondate dagli esuli greci e in cui, più a settentrione, fiorisce lentamente un piccolo villaggio sorto sulle sponde del fiume Tevere: Roma. I cammini di Eracle s’incrociano e si ramificano.

Polis come la potente Taranto, fondata nell’VIII secolo a.C. proprio dagli spartani, o Eraclea, voluta dai tarantini nel 434-433 a.C. nell’antica Lucania, rendono a Eracle un culto imponente. Virgilio si spingerà persino a definire Taranto «città di Eracle», sebbene per altri sia Poseidone il nume tutelare della colonia. Il mito del figlio di Alcmena, spesso rappresentato nelle monete con la clava e in lotta contro il leone di Nemea, o in procinto di strangolare i serpenti, si diffonde a macchia d’olio in tutto l’antico Meridione, a volte sovrapponendosi a culti preesistenti. Oltre a Taranto ed Eraclea, è il caso di Metaponto, anch’essa satellite di Taranto, o di Poseidonia, poi chiamata Paestum dai romani, o ancora dell’antica Crotone, nonché di Agrigento e di Siracusa, ciascuna delle quali offre una nuova versione del mito, un nuovo racconto.

Se quindi Eracle è l’eroe per eccellenza, un semidio, le colonie non esitano a dichiarare con lui un legame diretto, sia in virtù della discendenza, sia in virtù dei suoi vagabondaggi di ritorno da un viaggio di ritorno dall’antica Spagna, dove catturò i buoi rossi e uccise il gigante Gerione.

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Eracle ed Ercole

A questa decima fatica s’ispirano anche i romani che, sembra, dell’eroe erano venuti a conoscenza tramite gli etruschi. Ancor prima della nascita di Romolo e Remo, Eracle giunge infatti nelle terre laziali, dove semina il terrore l’ennesimo gigante, Caco. Mentre l’eroe dorme – narrano Virgilio, Tito Livio, Orazio e perfino Dante –, Caco gli ruba i buoi. Destatosi, Eracle l’insegue, lo stana e l’uccide. Finalmente libera da un simile pericolo, la popolazione l’acclama e gli dedica un’ara nel Foro Boario, il futuro tempio di Ercole Vincitore, o Invitto. Eracle, ora Ercole, diviene quindi oggetto di onori anche presso i romani, che lo festeggiano il dodici agosto, suo presunto giorno di nascita, e attorno alla sua figura istituiscono una serie di lunghi rituali.

Se, a dirla tutta, rimane ancora incerta l’esatta penetrazione del mito nel territorio, è certo invece che Ercole assurgerà al pantheon romano, tanto che sono diversi i templi a lui dedicati – quello di Ercole Vincitore a Tivoli, quello di Cori, nell’attuale provincia di Latina, o ancora quello di Ostia antica – e numerose le statue che lo ritraggono. Non solo: più imperatori, tra cui Augusto, Caligola, Traiano, Adriano, Commodo, lo strumentalizzano per elogiare il proprio ruolo di pacificatori e civilizzatori. Due di loro, gli ambigui e controversi Caligola e Commodo, scelgono persino di farsi rappresentare con la clava e la pelle del leone di Nemea, a simboleggiare la forza bruta di Ercole e, insinuano alcuni studiosi, il suo carattere non sempre rassicurante.

Ma la fortuna dell’eroe non si fermerà certo al mondo romano. Declinato in molteplici versioni, come garante ora della virtù, ora del potere e della nobiltà d’animo, resisterà indenne nel Medioevo sino ad approdare al Rinascimento, affermandosi quindi come simbolo di città quali Firenze e di casate quali gli Este. I chiaroscuri e le ombre lasceranno il posto a una visione pacata ed encomiastica, cristallizzata infine nella rappresentazione di un gigante buono e generoso, capace di affrontare ogni sorta di nemico e minaccia per l’umanità. Così pure lo esalta il cinema novecentesco, alla continua ricerca di eroi e di modelli per blockbuster di successo e dalla patinata atmosfera anticheggiante.

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