Corruzione e malversazione nel XVII secolo

Nell’Europa dell’ancien régime, favoriti, segretari e funzionari si suddivisero favori e lucrarono tramite le loro cariche

Nel corso dell’Età moderna, quando un politico cadeva in disgrazia in genere accadeva perché aveva perduto il favore del monarca o l’influenza politica; raramente per le irregolarità economiche che poteva aver commesso, ciò che oggi chiamiamo corruzione. In Europa ci volle molto tempo perché si consolidassero i principi minimi di onestà nell’amministrazione del denaro pubblico. Di certo già nel Medioevo all’interno dei grandi monasteri si stabilirono regole sulla corretta gestione del patrimonio degli ordini religiosi, e la dilapidazione da parte dell’amministratore iniziò a essere stigmatizzata come comportamento non virtuoso, che causava danno alla comunità. Queste obiezioni morali alla cattiva amministrazione economica si trasferirono a poco a poco sugli ufficiali dell’erario delle monarchie, ma non venne creata una codificazione legale minuziosa che soffocasse la tentazione di appropriarsi dei denari pubblici. Solo a partire dal XIX secolo, con il consolidamento dei regimi liberali, prese forma un ambito giuridico che perseguì tali pratiche in modo sistematico.

Pierre Seguier, nominato cancelliere nel 1635, fu uno degli uomini più potenti di Francia all'epoca di Luigi XIII. Dipinti di Charles Le Brun, 1660

Pierre Seguier, nominato cancelliere nel 1635, fu uno degli uomini più potenti di Francia all'epoca di Luigi XIII. Dipinti di Charles Le Brun, 1660

Foto: Fine Art Images / Age Fotostock

Vite di lusso e opulenza

La ragione per la quale la corruzione non era particolarmente mal vista è da ricercare nelle caratteristiche delle società e degli stati dell’ancien régime. Da un lato, nelle monarchie assolute i re non rendevano conto a nessuno e disponevano liberamente dei fondi pubblici per retribuire i servizi della burocrazia crescente o ricompensare generosamente i loro fedelissimi, specie i favoriti e i ministri, uomini di fiducia dei re che si incaricavano del governo e che ricevevano in cambio ingenti elargizioni.

Qualsiasi personaggio influente, inoltre, era costretto a mantenere un tenore di vita estremamente dispendioso. Le classi sociali più ricche e privilegiate – l’aristocrazia, la borghesia nobilitata o l’alto clero – dovevano sostenere spese enormi per conservare il loro prestigio sociale. Quando qualche appartenente a questi ceti raggiungeva una carica politica elevata era costretto a condurre una vita lussuosa, e allo stesso tempo era obbligato a retribuire familiari e amici per dare anche a loro uno status sociale adeguato. Tutto ciò rende estremamente complicato distinguere, nel comportamento di un ministro, la cupidigia personale dalla necessità sociale che la sua carica implicava.

La giustizia, quindi, interveniva raramente nei casi di corruzione, ma in cambio non mancavano critiche e denunce per gli scandali ricorrenti. Gli esempi sono innumerevoli. Nella Spagna del Siglo de Oro fece scalpore il malcostume di Francisco de Sandoval y Rojas, duca di Lerma, ministro di re Filippo III. L’uomo più potente del regno ammassò un’ingente fortuna personale grazie a malversazioni, frodi contabili, nepotismo e con le speculazioni urbanistiche che portò a compimento approfittando del traferimento della corte da Madrid a Valladolid. Molto celebri furono anche i casi di altri seguaci di Lerma, come Rodrigo Calderón, marchese di Siete Iglesias, sul quale il duca riuscì a far ricadere le proprie colpe e che fu decapitato dopo un processo nel 1621, o il catalano Pedro Franqueza, conte di Vilallonga. Anche il figlio di Lerma, il duca di Uceda, che succedette al padre come favorito del re, fu coinvolto in scandali di questo genere. Tutto ciò finì quando i Sandoval persero influenza a corte con la salita al trono di Filippo IV. Il nuovo favorito, il conte di Olivares, appoggiò un processo che condannò il duca di Lerma a pagare all’erario reale 72mila ducati all’anno, a cui si aggiungevano gli arretrati per i vent’anni durante i quali era stato il favorito del re.

Il palazzo di Vaux-le-Vicomte, dell'intendente di Luigi XIV, che fu arrestato nel 1661 con l'accusa di malversazione di fondi pubblici

Il palazzo di Vaux-le-Vicomte, dell'intendente di Luigi XIV, che fu arrestato nel 1661 con l'accusa di malversazione di fondi pubblici

Foto: Arnaud Chicurel / Gtres

Corruzione senza confini

In Inghilterra, un uomo potente implicato in casi di corruzione fu George Villiers, primo duca di Buckingham. Ebbe una carriera folgorante alla corte di Giacomo I, con il quale si diceva avesse una relazione sentimentale, e si rese indispensabile anche per il successore di Giacomo, Carlo I. Il duca accumulò un patrimonio personale enorme approfittando delle proprie responsabilità, mediante la creazione di nuovi tributi e la vendita di franchigie, oltre a raccogliere denaro sottobanco. Nel 1621 il parlamento inglese aprì un’indagine su di lui, dopo numerosissime denunce, ma il duca ne uscì indenne. Le responsabilità ricaddero su un altro protetto del re, il filosofo Francesco Bacone, all’epoca lord cancelliere del Tesoro, che fu immolato al posto di Buckingham. Bacone perse i propri incarichi, fu messo al bando e dovette versare pesanti somme. Vittima degli intrighi di corte, Buckingham finì per essere assassinato nel 1628, ma poiché era molto abile a poroteggere il proprio nome, la sua onorabilità non fu scalfita ed egli fu il primo inglese non appartenente alla famiglia reale a essere sepolto nell’abbazia di Westminster, accanto a Giacomo I.

L’esempio per eccellenza delle relazioni pericolose fra ricchezza e potere, tuttavia, è la Francia del XVII secolo. I sontuosi castelli della Loira, gioielli del patrimonio architettonico francese, furono costruiti in gran parte da potenti uomini di governo, amministratori dei tributi e del patrimonio della corona, le cui fortune nacquero dalle manovre torbide con cui gestivano cariche e benefici della monarchia.

La regina Anna d’Austria si lamentava della «sordida avarizia» di Mazzarino

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Il potente Mazzarino

Il politico di spicco dell’epoca, il cardinale Giulio Mazzarino, primo ministro di Francia, è passato alla storia per la sua proverbiale cupidigia. Secondo la regina Anna d’Austria, l’avidità del favorito sembrava non avere limiti: «Non abbandonerà mai questa sordida avarizia? Sarà sempre insoddisfatto e mai sazio di oro e denaro?». «Era così attaccato al denaro che si macchiò di bassezze indegne del suo rango. Vendeva tutto, cariche e benefici, e di tutto faceva commercio», scrisse un memorialista dell’epoca.

Mazzarino perde monete mentre fugge. Incisione del 1651

Mazzarino perde monete mentre fugge. Incisione del 1651

Foto: Leemage / Prisma

Il "tiranno in rosso", come lo chiamavano per il colore della veste cardinalizia, fu il privato più ricco mai esistito in tutto l’ancien régime europeo. Il suo patrimonio era pari ai fondi della banca di Amsterdam e a quasi il sei per cento delle entrate annuali della Francia tra il 1651 e il 1660. Si può affermare che 300mila sudditi francesi vissero e lavorarono soltanto per arricchire il cardinale. Mazzarino fece del patrimonio del regno la propria fortuna, a dispetto di tutte le critiche verso la sua persona e dei sospetti sulla sua gestione. Accumulò un’immensa fortuna, nonché una biblioteca che vantava 50mila volumi e una splendida collezione di opere d’arte.

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Un secolo corrotto

In questi stessi anni a Roma la corruzione dilagante in città e nella Chiesa ispirò al pittore e poeta Salvator Rosa la satira Babilonia, dove sotto il nome dell’antica città biblica si cela quello dell’Urbe. Che il seicento sia stato un secolo di corruzione morale e materiale è ben raccontato anche da Alessandro Manzoni nel primo capitolo dei Promessi sposi, che, narrando della dominazione spagnola a Milano, spiega come premessa di ogni sopruso siano la corruzione dei funzionari e l’inefficacia dell’apparato giudiziario, gravato da una pletora di leggi (“gride”) ridondanti e inapplicabili: «L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere».

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Per saperne di più

Il malaffare: breve storia della corruzione. Carlo Alberto Brioschi. Longanesi, Milano, 2010

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