All’età di sessantanove anni l’imperatore Tiberio decise di ritirarsi sull’isola di Capri. Lì possedeva dodici ville in cui poteva soggiornare dedicandosi a una vita di comodità e piaceri. Di quel luogo lo attraevano soprattutto il clima mite d’inverno e fresco d’estate, e l’impareggiabile vista sul golfo di Napoli. Tuttavia il fattore decisivo nella scelta di Capri fu la sicurezza: l’isola non aveva grandi porti, ma solo alcuni approdi di dimensioni ridotte per imbarcazioni a basso pescaggio. Inoltre, se qualcuno avesse tentato di avvicinarsi, sarebbe stato avvistato dal corpo di guardia mentre era ancora distante. Secondo alcune voci, Tiberio si era allontanato di sua spontanea volontà dal trambusto di Roma e dai suoi doveri di princeps (primo cittadino), l’appellativo con cui erano designati gli imperatori romani. Non aveva mai amato l’idea di succedere al patrigno Augusto e i compiti di governo gli erano sempre risultati pesanti. Le fonti tendono a tracciare un profilo negativo della sua personalità, menzionando la crudeltà e i vizi ai quali amava dedicarsi in luoghi nascosti e appartati. Si diceva poi che in età avanzata si vergognasse del suo aspetto: era alto, esile, ingobbito e calvo, e aveva la faccia ricoperta di piaghe, che tentava di curare con degli unguenti medicinali. Altri invece attribuirono la decisione di Tiberio di ritirarsi alla cattiva influenza esercitata su di lui dal suo braccio destro, l’ambizioso cavaliere Lucio Elio Seiano, il cui potere era allora in crescita. Molti pensavano che Seiano volesse mantenere Tiberio isolato e lontano da Roma per avere le mani libere e mediare ogni contatto con l’imperatore. Ciò era visto con favore dallo stesso princeps, che preferiva lasciare l’esercizio del potere nelle mani del suo ministro e godersi la permanenza sull’isola in un clima di relativa tranquillità.

Statua di Tiberio in toga. Musée du Louvre, Parigi
Foto: Dea / Scala, Firenze
L’ascesa di Seiano
Quella tranquillità fu però scossa verso la fine del 30 d.C., quando Tiberio ricevette la notizia che il suo fedele collaboratore stava cospirando contro di lui. Come osava quell’uomo, che lui considerava il suo socius laborum, il suo “compagno nell’opera di governo”, tramare contro di lui dopo tanti favori ricevuti? Tiberio ricordava chiaramente quello che era successo pochi anni prima, proprio quando iniziava a prendere in considerazione l’idea di lasciare Roma. All’interno di una delle sue ville sulla costa laziale, nei pressi dell’odierna Sperlonga, era presente una sontuosa grotta naturale – decorata con dei complessi scultorei raffiguranti scene dell’Odissea – dove l’entourage dell’imperatore banchettava nelle fresche sere d’estate. Improvvisamente, durante una cena, delle enormi rocce si staccarono dal soffitto uccidendo alcuni servi. I commensali si diedero alla fuga temendo per la loro incolumità, tranne Seiano che, rischiando la vita, rimase accanto a Tiberio e lo protesse con il proprio corpo. Quel gesto gli valse la totale fiducia dell’imperatore.
In realtà l’ascesa di Seiano nella gerarchia del potere romano era iniziata anni prima. Il braccio destro del princeps apparteneva alla classe dei cavalieri; invece sua madre, Cosconia, proveniva da una potente famiglia senatoriale, quindi di rango superiore. Quando Tiberio salì al potere lo nominò prefetto del pretorio. Seiano condivise inizialmente l’incarico con il padre Strabone, per poi esercitarlo da solo una volta che questi divenne prefetto d’Egitto. Una delle prime decisioni di Seiano, assunta tra il 20 d.C. e il 23 d.C., fu quella di riunire in un unico accampamento sul colle del Viminale i quasi 10mila soldati che erano sparsi per la città. In questo modo rafforzò il suo potere, potendo disporre di un’ingente forza militare la cui semplice presenza bastava a intimorire gli avversari politici. Nello stesso periodo morì Druso, figlio di Tiberio, e fu forse allora che Seiano iniziò a ordire le sue macchinazioni. Qualcuno diceva persino che fosse stato lui a uccidere l’erede al trono in collusione con la moglie di quest’ultimo, Livilla, alla quale era legato da una relazione adulterina.
Lo storico romano Tacito fa un ritratto non troppo lusinghiero di questo personaggio astuto, che metteva tutte le sue doti al servizio di un’ambizione segreta: «Esternamente esibiva una riservatezza composta, ma nell’intimo coltivava il desiderio di conquistare il potere, e a questo scopo inclinava ora alla prodigalità e al fasto, più spesso all’accortezza e alla vigilanza, qualità, queste, non meno dannose delle prime, se impiegate ad arte per brama di regnare». Aggiunge ancora Tacito: «Successivamente, irretì con vari espedienti Tiberio, tanto da renderlo incauto nei suoi riguardi, quando invece era molto diffidente nei confronti degli altri».

Seiano salva Tiberio a Sperlonga. Incisione tratta dalla 'Istoria romana' di Pinelli
Foto: Akg / Album
La scoperta della congiura
Non si sa con certezza se Seiano, accecato dalla sua ambizione e dagli onori ricevuti, avesse davvero tramato una cospirazione contro Tiberio. L’unica cosa sicura è la reazione dell’imperatore quando fu informato del pericolo a cui si trovava esposto. Secondo lo storico ebreo Flavio Giuseppe, il princeps ricevette una lettera, che la cognata Antonia minore gli fece recapitare a Capri da un suo liberto di fiducia di nome Pallante; nella missiva figuravano tutti i dettagli della congiura ordita da Seiano. Indeciso e sempre timoroso d’intrighi alle sue spalle, l’imperatore non esitò a dare credito a una lettera che d’altronde proveniva da una persona di cui si fidava ciecamente.
Dal canto suo lo storico Cassio Dione non menziona il messaggio di Antonia, ma riporta il turbamento di Tiberio quando venne a sapere che i senatori e le altre cariche di rilievo trattavano ormai Seiano come il vero sovrano di Roma. Il potere del prefetto del pretorio si era accresciuto a tal punto che sembrava essere lui l’imperatore e Tiberio solo il governatore di una piccola isola. Quando comprese come stavano le cose, il princeps decise di manovrare in segreto contro il suo braccio destro.
Era importante non lasciarsi trascinare dalla fretta, perché Seiano aveva il controllo della guardia pretoriana e nei lunghi anni di gestione del potere aveva acquisito anche una certa influenza su molti senatori, sia tramite favori sia attraverso il timore che incuteva. Tiberio ricorse quindi a una delle sue armi più efficaci: la dissimulazione. Il primo gennaio del 31 d.C. fece nominare Seiano console per fargli credere che godesse ancora della sua completa fiducia. Ad affiancarlo nella più alta magistratura romana sarebbe stato lo stesso Tiberio, che aveva esercitato quella carica altre volte. Poco dopo il sovrano concesse al suo braccio destro di condividere con lui l’imperium proconsulare, un’autorità speciale sulle province e sull’esercito. Ora a Seiano non restava che ottenere la potestà tribunizia, un ufficio civile che avrebbe di fatto reso il suo potere pari a quello di Tiberio.

Gruppo di pretoriani. Rilievo proveniente dal foro di Traiano. Louvre, Parigi
Foto: Erich Lessing / Album
Per accentuare la loro vicinanza, Tiberio lo chiamava «mio Seiano» o «compagno delle mie preoccupazioni». Questo forte legame tra il princeps e il suo secondo fece sì che ai due si dedicassero ovunque statue di bronzo e che i loro nomi fossero scritti uno accanto all’altro nei documenti ufficiali. Ora i sacrifici venivano compiuti anche davanti alle immagini di Seiano e non più solamente a quelle di Tiberio.
Per mandare all’aria il complotto di Seiano, Tiberio ricorse a una delle sue armi più efficaci: la dissimulazione
False promesse e cattivi presagi
Tuttavia a volte l’imperatore si comportava in modo ambiguo: conferiva onori ad alcuni dei protetti di Seiano mentre ad altri manifestava pubblico disprezzo. In qualche occasione lodava il prefetto per poi improvvisamente biasimarlo. Questo atteggiamento ambivalente contribuiva a creare incertezza e a minare il sostegno a Seiano. La messinscena di Tiberio toccò il suo apice quando ricevette il ministro nella sua villa di Capri e, fingendosi malato, gli disse di precederlo a Roma, dove lo avrebbe raggiunto poco dopo. Al momento dei saluti l’imperatore abbracciò e baciò Seiano tra le lacrime, dichiarando che era come separarsi da una parte del suo corpo e della sua anima.
Il prefetto del pretorio non poteva immaginare cosa gli sarebbe successo al suo arrivo a Roma, sebbene nei mesi precedenti si fossero succeduti presagi funesti, che vaticinavano una catastrofe personale. Gli storici romani attribuivano grande importanza a questi eventi straordinari e pertanto li riportavano spesso nelle loro opere. Si dice per esempio che il primo giorno del 31 d.C. il pavimento del triclinio della casa di Seiano fosse crollato sotto il peso degli ospiti.

Questa cavità di circa 30 metri di diametro scavata nella roccia fu inserita nel progetto architettonico della villa di Tiberio a Sperlonga, sulla costa laziale
Foto: Ivan Vdovin / Awl Images
In un’altra occasione il prefetto scese al foro dopo aver compiuto un sacrificio in Campidoglio, e i servi che lo accompagnavano scivolarono e caddero sulle scale Gemonie, il luogo dove venivano gettati i corpi dei condannati. Quando in seguito lo stesso Seiano consultò gli àuguri del foro (per sapere se il destino gli sarebbe stato favorevole), apparve uno stormo di corvi gracchianti che andarono a posarsi sul tetto di casa sua volando in circolo. Tutti segni inequivocabili del fatto che l’onnipotente ministro aveva ormai perso la benedizione degli dei.
Uno stormo di corvi neri si posò sul tetto della casa di Seiano annunciando una disgrazia imminente
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La caduta del favorito
Tiberio programmò il colpo di grazia a Seiano per il 18 ottobre del 31 d.C. Il giorno prima l’imperatore aveva inviato Macrone, prefetto dei vigiles, il corpo di sorveglianza notturna della città, a cospirare con il nuovo console Publio Memmio Regolo. Macrone assunse in segreto il controllo della guardia pretoriana cedendo la carica precedente a un suo uomo di fiducia, Grecinio Lacone. I pretoriani non dovevano sentirsi particolarmente legati a Seiano se si considera la facilità con cui gli voltarono le spalle. O forse si resero conto che la sua caduta era imminente e scelsero di salire sul carro del vincitore in cambio di qualche ricompensa. All’alba Macrone si recò al tempio di Apollo sul Palatino, dove si sarebbe svolta la riunione del senato. Lungo la strada incontrò un esitante Seiano, che rassicurò dicendogli che aveva una lettera di Tiberio con cui gli veniva concessa l’ambita potestà tribunizia. Quando il prefetto fu all’interno del tempio, Macrone fece richiamare la guardia che lo proteggeva e mise al suo posto i vigiles agli ordini di Lacone, quindi si ritirò nel quartier generale dei pretoriani.
Durante la riunione del senato si procedette alla lettura della missiva di Tiberio, un lungo messaggio che si apriva con qualche leggera critica all’operato di Seiano e terminava bruscamente ordinando l’arresto immediato dell’ormai ex prefetto e di due senatori a lui legati. Il console Regolo, forse per ordine diretto dell’astuto Tiberio, decise di non sottoporre a votazione generale la richiesta di condanna a morte di Seiano, perché questi poteva ancora contare su molti sostenitori e parenti in senato. Domandò invece a un solo membro dell’ordine se approvasse quell’arresto, ricevendo una risposta affermativa.

Il popolo romano si accanisce contro il corpo di Seiano sulle scale Gemonie nel 31 d.C. Incisione di Jan Luyken e Jan Claesz ten Hoorn. 1698
Foto: Artokoloro / Age Fotostock
La morale sull’improvvisa caduta di Seiano è racchiusa nelle drammatiche parole di Cassio Dione: «La stessa persona che all’alba era stata accompagnata alla curia in qualità di capo veniva ora scortata in prigione con la forza, come un delinquente comune […] Condussero al supplizio quell’uomo davanti al quale in precedenza si erano inginocchiati e a cui avevano dedicato sacrifici come fosse un dio». Poco più tardi il senato si riunì nuovamente e decretò la condanna a morte dell’ex prefetto. Seiano fu strangolato e il suo corpo venne gettato sulle stesse scalinate dove i suoi servi erano scivolati tempo prima. Lì il suo cadavere fu oltraggiato dal popolo per tre giorni prima di essere gettato nel Tevere. A Capri nel frattempo l’imperatore era inquieto. Se il suo piano fosse fallito Seiano avrebbe assunto il controllo di Roma e lo avrebbe raggiunto sull’isola per regolare i conti. Tiberio fece preparare alcune navi nell’ipotesi che si rendesse necessaria una fuga improvvisa. Quando finalmente gli giunse la notizia della morte di Seiano se ne rallegrò, ma preferì non incontrare né l’ambasciata inviata dal senato né il console Regolo, che voleva organizzare il suo rientro sicuro in città. Scampato il pericolo del complotto, vero o presunto che fosse, Tiberio decise che non sarebbe mai più tornato a Roma. Morì sei anni e mezzo più tardi a Miseno, in Campania.
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Vite dei Cesari. Svetonio. Garzanti, Milano, 2007